Conversione è: “ricevere nella confessione la grazia rinnovatrice del perdono - a cura di don Nicola Casuscelli - V di Quaresima

News del 07/04/2011 Torna all'elenco delle news

“… accogliere, con una sincera revisione di vita,
la Grazia rinnovatrice del Sacramento
della Penitenza
…”

Benedetto XVI

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato.
Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. (Gv 11, 1-45)

La conversione è reale quando conduce a chiedere perdono per i propri peccati e ad invocare la misericordia di Dio. Il battesimo giustifica la nostra vita nel suo momento iniziale, il sacramento della penitenza (la confessione) ci ristabilisce nella grazia originaria della nuova vita ricevuta nel battesimo e ci fa aumentare in essa. Però credo sia bene chiederci: cos’è la grazia? Cos’è il peccato? Preferisco rispondervi ad entrambi i quesiti con il Catechismo della Chiesa Cattolica che sta diventando sempre più familiare.
La grazia è il favore, il soccorso gratuito che Dio ci dà perché rispondiamo al suo invito: diventare figli di Dio, figli adottivi, partecipi della natura divina, della vita eterna”1. Possiamo procurarci noi la grazia divina? Assolutamente no! Possiamo commuovere Dio? Con il nostro pentimento e l’invocazione sincera del suo Nome sì! La grazia è un dono della libera e gratuita iniziativa di Dio, che “sfugge alla nostra esperienza e solo con la fede può essere conosciuta (CCC 2005).
Ed il peccato?
Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. E' stato definito “una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna”.
Il peccato è un'offesa a Dio: “Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto”. Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da questo i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare “come Dio”, conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato  è “amore di sé fino al disprezzo di Dio” Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza. (CCC 1849-1850)
La grazia è il dono di Dio per non peccare, per vincere l’inclinazione al peccato (la concupiscenza) e la tentazione. La grazia ci pone nella possibilità di amare Dio e riconoscerlo qual è veramente, Dio!
Il peccato, invece, è l’opposizione a Dio e ai suoi comandamenti, la non accoglienza della grazia. L’esperienza del peccato fa parte dell’uomo, ma Dio che è infinitamente buono può aver mai concepito l’uomo stesso nello stato peccaminoso?
Il peccato non appartiene alla creazione dell’uomo, perché tutto ciò che Dio crea è buono e giusto. Dio è bontà e giustizia, quindi non può odiare se stesso. Chi odia non ama e chi non ama  o non conosce l’amore oppure, che tristezza!, lo ha obliato.
Il peccato produce in noi, infatti, l’oblio dell’amore.
Per quanto sopra detto “la conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione  dello Spirito di verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della grazia e dell'amore: “Ricevete lo Spirito Santo”. Così in questo “convincere quanto al peccato” scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore”2 .
La Quaresima potrebbe essere un grande periodo di esercizi spirituali, in cui permettiamo alla nostra anima di entrare gradatamente nell’ascolto intenso della Parola, di meditarla a lungo e con profitto, di porci nello stato di grazia per far festa nell’incontro con il Signore Gesù.
La festa del cristiano è perfetta quando permettiamo a Dio di poter far festa. Quando Dio gioisce? Quando gli impediamo di spargere i doni della sua misericordia, oppure quando gli “concediamo” la nostra vita per far di noi la gioia del suo cuore?
Dio amici miei carissimi, fa festa quando perdona i nostri peccati! Accostarci al sacerdote per chiedere il dono della magnanimità della bontà di Dio consiste nel “rubarGli” i tesori della misericordia! Dio sta aspettando che ti sieda accanto ad un sacerdote e gli apra il tuo cuore, per rendere grazie per tutti i benefici che ricevi e chiedere perdono per i peccati che hai commesso. Ha scelto i preti perché la sua salvezza continui ad essere donata. Ha voluto il sacramento della penitenza, perché non vuole  lasciarci soccombere nel peccato commesso e vuol permetterci di respirare di nuovo quella grazia rinnovatrice , che ci da la gioia di essere figli amati.
Il cristiano è consapevole del suo peccato, ma è cristiano quando diventa consapevole di essere peccatore amato! L’assoluzione sacramentale, quando il penitente è sinceramente pentito e pronto a non più commettere peccato, è la garanzia del perdono di Dio.
Che Dio perdona vuol dire che: dimentica e elimina i nostri peccati da se e dalla nostra vita e ci ripone nello stato della grazia battesimale. Accostarsi con frequenza al sacramento della penitenza (vi consiglio vivamente di non lasciar passare più di due mesi da una confessione all’altra) permette di ricevere  grazia su grazia e poter amare sempre con cuore rinnovato.
Vinciamo la pigrizia e la titubanza, non rimandiamo di volta in volta (il “poi” è nemico dell’ “oggi”!), fidiamoci di Dio e della Chiesa. Addirittura, ci sono grandi mistici che dinanzi ai propri peccati piangono terribilmente, perché il solo pensiero di aver offeso Dio, anche minimamente, fa loro capire di aver ucciso Dio in se stessi.
Nella tradizione orientale è comune invocare “il dono delle lacrime”: piangere i propri peccati! Credo che a volte dovrei farlo anch’io, visto il dolore che i miei peccati arrecano al cuore amorevole di Dio.
Diceva un grande santo (Giovanni Climaco): “La compunzione è veramente un dono di Dio. Poiché non è possibile dolcezza spirituale senza amarezza, quando Dio nel segreto consola i contriti di cuore”.
La contrizione è il cuore di pietra che si sbriciola dinanzi alla tenerezza di Dio. Le lacrime ci permettono di entrare silenziosi nel Getsemani e vedere e ascoltare Gesù nella sua dolorosissima agonia. Le lacrime ci accostano a Gesù sopra la croce e a Maria ai suoi piedi. Le lacrime ci permettono di vedere anche il costato trafitto.
Ma le lacrime ci permettono anche di essere al sepolcro il mattino di Pasqua e di gioire dell’incontro tra Gesù risorto e la Maddalena, o di essere nel Cenacolo con Maria e gli apostoli e vedere Gesù apparirci e dire: Pace a voi, ricevete lo Spirito Santo. Le lacrime sono autentiche, e non di donnicciola, quando purificano il cuore, esprimono il dolore per i nostri peccati e l’orrore e l’odio per essi e ci spingono ad invocare perdono per aver offeso Dio, averlo fatto soffrire nel Getsemani e sulla Croce. Ma le lacrime sono anche di gioia ,  perché Gesù mi ama, mi conosce e mi abbraccia.
Il sacramento della penitenza può permettere e causare tutto questo. A noi la scelta: gioire morendo a noi stessi per Dio oppure morire gioendo per noi?

Note
1 CCC 1996. Vi consiglio di leggere tutto il capitolo relativo alla grazia (CCC 1996-2005).
2 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et Vivificantem, 31.

 

Testo di don Nicola Casuscelli, Presidente della Commissione Diocesana per la Pastorale Liturgica - meditazione per la quinta domenica di Quaresima