Chi crede vive già la risurrezione

News del 08/04/2011 Torna all'elenco delle news

Gesù piange per il suo amico Lazzaro. Le lacrime sono la ri­bellione di Gesù, la stupen­da «arroganza» dell'amico che si rifiuta di accettare la morte dell'amico. Amore arrogante fino al grido: Vie­ni fuori!
Ciascuno di noi è Lazzaro, amato e malato. Il pianto di Dio è la nostra salvezza; lì Dio dice se stesso: se ami­co è un nome di Dio, il mio nome è amato per sempre.
Chi dice Dio, dice risurre­zione. Perché la morte met­te in gioco la credibilità stessa di Dio: deruba Dio dei suoi figli, lo spoglia dei suoi tesori, riduce Dio in miseria, senza amori. Se questo è per sempre, allora Dio non è più Dio. È solo un Dio di morti. Ma un filo ros­so attraversa tutta la Bibbia:
Dio è il Dio dei vivi e non dei morti. Infatti Gesù dice a Marta: «Tuo fratello risor­gerà». Ma è una frase con­solatoria che Marta ha sen­tito tante volte in quei gior­ni, cui risponde con una punta di delusione: «So be­ne che risorgerà nell'ultimo giorno. Ma l'ultimo giorno è così lontano dal mio de­siderio e dal mio dolore».
Allora Gesù dice di più, af­ferma: «Io sono la risurre­zione e la vita». Prima la ri­surrezione, poi la vita. Non nell'ultimo giorno, bensì o­ra. Risurrezione è un'espe­rienza che interessa il no­stro presente e non solo il futuro. A risorgere sono chiamati i vivi prima che i morti. Gesù ci rivela che c'è morte e morte, come c'è vi­ta e vita. Come Lazzaro «si è addormentato», anch'io molte volte vivo una vita addormentata. C'è una vi­ta morta, propria di chi, nella paura di perderla, si chiude nell'egoismo per trattenerla. E c'è una vita ri­sorta: «da morti che erava­mo ci ha fatti rivivere con Cristo, con lui risuscitati» ( Ef 2,5-6). Il vero risorto non è Lazzaro, tornato alla vita mortale, ma le sorelle di Be­tania e quanti credono in Gesù, passati alla vita di Cristo.
Noi sappiamo cosa è la vi­ta, ne facciamo esperienza. Vita è fatta di pane e di mi­racolo, è fatta di argilla e di amore. Vita è respirare, ri­dere, amare, gioire, lottare con la morte, vincere, per­dere, e l'infinita pazienza di ricominciare. Ma poi c'è la vita risorta, che è la vita stessa di Cristo: «per me vi­vere è Cristo» (Fil 1,21). E come lui lasciarsi catturare dalla pietà, saper piangere il pianto dell'uomo, amare pace e giustizia, riempire la vita di quelle cose che du­rano oltre la morte, riem­pirla di Dio. Allora anche se non parli mai di risurrezione, mo­strerai con tutto te stesso una vita risorta. 

Testo di padre Ermes Ronchi 


La fede che resiste al dolore

Gesù si reca a Betania chiamato dall'amicizia. Di Lazzaro non sappiamo nulla se non che era amico di Gesù. Questa la sua identità: colui che Gesù amava molto.

Di Lazzaro sappiamo anche tutte le lacrime versate per la sua morte: piangono Marta e Maria, i giudei, Gesù stesso. Le lacrime sono l'annuncio che l'amore è sempre minacciato, che la felicità è fragile, perché troppe cose sfuggono al mio controllo: il mio corpo, il mio cuore e il cuore degli altri, il loro corpo, gli accadimenti della storia e la natura.

Io invidio Lazzaro non per la vita che Dio gli ha ridato ma per il fatto di essere circondato da amici, segno di una vita riuscita. La sua santità è l'amicizia, sacramento che conforta la vita.

Eppure a me che cosa importa di Lazzaro, cosa me ne faccio della sua resurrezione? Lazzaro non è mio amico, non è mio padre o mia madre, non è uno dei miei morti. A me non importa Lazzaro, a me importa Gesù e il suo amore per l'amico, amore fino alle lacrime. È questa la salvezza: il pianto di Dio. Io non morirò per sempre, e questo per il suo amore che non accetta di finire. Ognuno di noi è Lazzaro malato e amato. Sono io l'amico che Egli non accetta di veder finire nel nulla della morte. Se amico è un nome di Dio il mio nome è: amato per sempre. Quante volte sono morto! Quante volte mi sono addormentato. Era finito l'olio della lampada, finita la voglia di amare, forse anche la voglia di vivere. E mi dicevo in qualche grotta oscura dell'anima: Dio non mi interessa più. Non mi importa se mi ama. Poi un seme ha cominciato a germogliare, non so da dove, né so perché.

Una pietra si è mossa, è entrato un raggio di sole, un grido d'amico ha percosso il silenzio, delle lacrime hanno bagnato le bende. Ciò è accaduto per palesi, pubbliche, sconvolgenti ragioni d'amore: la resurrezione è possibile per le lacrime di Dio. Perché il Signore prova dolore per il dolore del mondo, perché il suo amore per l'amico non accetta di finire. Se tu fossi stato qui nostro fratello non sarebbe morto. Parole che sono mie: se Tu sei con me, non morirò. Se Tu sei con me, la notte non verrà. Parole gridate da Gesù sulla soglia della morte: Dio mio perché mi hai abbandonato, perché non sei qui con me? Nel giorno delle lacrime Dio sembra essere lontano. Il suo ritardo pesa. Quattro giorni pesò su Marta e Maria. Eppure Lui è qui, eppure siamo noi il cielo di Dio. Lui è qui, non come esenzione dalla morte, ma come resurrezione dentro la morte.

Io lo credo, con la fede dell'anonimo morente che scriveva: credo nel sole, anche se non splende; credo nell'amico anche se non lo sento; credo in Dio anche quando tace. 

Testo di padre Ermes Ronchi 


Dobbiamo risuscitare i morti nel cuore

Le storie del Vangelo non sono scritte solo per essere lette, ma anche per essere rivissute. La storia di Lazzaro è stata scritta per dirci questo: c'è una risurrezione del corpo e c'è una risurrezione del cuore; se la risurrezione del corpo avverrà "nell'ultimo giorno", quella del cuore avviene, o può avvenire, ogni giorno.

Questo è il significato della risurrezione di Lazzaro che la liturgia ha voluto evidenziare con la scelta della prima lettura di Ezechiele sulle ossa aride. Il profeta ha una visione: vede un'immensa distesa di ossa rinsecchite e capisce che esse rappresentano il morale del popolo che è a terra. La gente va dicendo: "La nostra speranza è svanita, noi siamo perduti". Ad essi è rivolta la promessa di Dio: "Ecco io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe...Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete". Anche in questo caso non si tratta della risurrezione finale dei corpi, ma della risurrezione attuale dei cuori alla speranza. Quei cadaveri, si dice, si rianimarono, si misero in piedi ed erano "un esercito grande, sterminato". Era il popolo d'Israele che tornava a sperare dopo l'esilio.

Da tutto questo deduciamo una cosa che conosciamo anche per esperienza: che si può essere morti, anche prima di...morire, mentre siamo ancora in questa vita. E non parlo solo della morte dell'anima a causa del peccato; parlo anche di quello stato di totale assenza di energia, di speranza, di voglia di lottare e di vivere che non si può chiamare con nome più indicato che questo: morte del cuore.

A tutti quelli che per le ragioni più diverse (matrimonio fallito, tradimento del coniuge, traviamento o malattia di un figlio, rovesci finanziari, crisi depressive, incapacità di uscire dall'alcolismo, dalla droga) si trovano in questa situazione, la storia di Lazzaro dovrebbe arrivare come il suono di campane il mattino di Pasqua.

Chi può darci questa risurrezione del cuore? Per certi mali, sappiamo bene che non c'è rimedio umano che tenga. Le parole di incoraggiamento lasciano il terreno che trovano. Anche in casa di Marta e Maria c'erano dei "giudei venuti per consolarle", ma la loro presenza non aveva cambiato nulla. Bisogna "mandare a chiamare Gesù", come fecero le sorelle di Lazzaro. Invocarlo come fanno le persone sepolte sotto una valanga o sotto le macerie di un terremoto che richiamano con i loro gemiti l'attenzione dei soccorritori.

Spesso le persone che si trovano in questa situazione non sono in grado di fare niente, neppure di pregare. Sono come Lazzaro nella tomba. Bisogna che altri facciano qualcosa per loro. Sulla bocca di Gesù troviamo una volta questo comando rivolto ai suoi discepoli: "Guarite gli infermi, risuscitate i morti" (Mt 10,8). Cosa intendeva dire Gesù: che dobbiamo risuscitare fisicamente dei morti? Se fosse così, nella storia si contano sulle dita i santi che hanno messo in pratica quel comando di Gesù. No, Gesù intendeva anche e soprattutto i morti nel cuore, i morti spirituali. Parlando del figliol prodigo, il padre dice: "Egli era morto ed è tornato in vita" (Lc 15, 32). E non si trattava certo di morte fisica, se era tornato a casa.

Quel comando: "Risuscitate i morti" è rivolto dunque a tutti i discepoli di Cristo. Anche a noi! Tra le opere di misericordia che abbiamo imparato da bambini, ce n'era che diceva: "seppellire i morti"; adesso sappiamo che c'è anche quella di "risuscitare i morti". 

Testo di padre Raniero Cantalamessa 


Si può sempre risorgere

Dopo l'episodio della samaritana al pozzo, letto due domeniche fa', e quello della guarigione del cieco nato, letto domenica scorsa, oggi si completa la "trilogia della vita" che la quaresima di quest'anno trae dal vangelo secondo Giovanni: Gesù risuscita il suo amico Lazzaro, morto ormai da quattro giorni (Giovanni 11,1-45), e a beneficio suo e nostro pronuncia una clamorosa promessa: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno". L'episodio sembra introdurre il tema proprio della Pasqua, la risurrezione di Gesù; ma in proposito occorre fare chiarezza, anche considerando in quanti sensi si usano i termini connessi col verbo risorgere.
Alessandro Manzoni, ad esempio, sintetizzò le fortune politiche di Napoleone nella lapidaria espressione "Cadde, risorse e giacque": risorse in senso traslato, appunto politico, dopo la sconfitta di Lipsia e prima di quella definitiva di Waterloo. Così si dice che "risorge" da una fase difficile un'impresa commerciale, una pubblica istituzione, un intero popolo. Nella prima lettura il Signore, per bocca del profeta (Ezechiele 37,12-14), preannuncia la liberazione degli ebrei deportati in Babilonia, in termini di risurrezione: "Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d'Israele". Qualcosa di simile sta accadendo ai popoli del Nordafrica, in lotta per "risorgere" dopo lunghe tirannie, e noi italiani stiamo celebrando i 150 anni dal coronamento di quello che non a caso si è chiamato risorgimento, parola che ha lo stesso significato di risurrezione. Talora si dice che risorge anche chi, prostrato dalle vicende della vita (una grave malattia o altre sventure), aveva perso la speranza e invece la ricupera.
In senso proprio, risurrezione è ritorno alla vita dopo la morte, miracolo straordinario come quelli compiuti da Gesù a beneficio della figlia di Giàiro (Matteo 9,18-26), del ragazzo di Nain (Luca 7,11-15) e di Lazzaro: tuttavia, si tratta qui di tre ritorni alla vita ordinaria, temporanei; non si sa dopo quanti anni, ma tutti e tre questi risorti poi sono morti come tutti, definitivamente. Ben diverso è il caso di Gesù, risorto il terzo giorno dalla morte in croce: risorto e da allora vivo per sempre. Diverso, anche perché della sua vita senza fine egli vuole far partecipi gli uomini. A cominciare da ora, dalla vita presente, elargendo, a chi si pone nella condizione di accoglierla, la sua grazia, cioè la sua stessa vita, che comincia qui per poi consolidarsi senza più rischi nel mondo venturo, per sempre. E' quanto ricorda anche la seconda lettura di oggi (Romani 8,8-11): "Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi"
Quando l'apostolo Paolo parla della "carne", come fa qui scrivendo ai cristiani di Roma, intende riferirsi a tutti quegli interessi terreni (egoismi, sensualità, bramosie di ricchezze fama potere eccetera) che legano l'uomo alla terra e gli impediscono di guardare in alto, di guardare oltre, alla vita nei suoi valori più nobili che costituiscono la vera e unica eredità da portarsi nella vita ventura. Questi valori, nella sua bontà è lo stesso Signore ad indicarli, e a sostenere quanti si propongono di conseguirli; per questo - dal battesimo in poi - lo Spirito di Dio, la sua grazia, abita in noi. E, meraviglia delle meraviglie, se l'uomo nella sua fragilità torna alla ricerca dei meschini interessi terreni e così perde la grazia, Dio gli concede - con la confessione - di ricuperarla, consentendogli di tornare alla vita vera. Anche questa è una risurrezione. 

Testo di mons. Roberto Brunelli