Quarta Domenica di Quaresima - Io credo, Signore!: l'incontro di Gesù con il cieco nato

News del 02/04/2011 Torna all'elenco delle news

"Tre pericopi relative ai massimi temi della salvezza:
L'Acqua della Vita, la Luce, la Resurrezione
ci aiutano a prendere coscienza della realtà
secondo cui siamo stati creati e poi battezzati,
quella di figli di Dio, di cristiani.
La linea cristologica delle Domeniche I e II
diventa adesso
la linea sacramentale
nelle Domeniche III, IV, V"
(Monaci di Pulsano).

Io credo, Signore!

L'incontro di Gesù con la donna samaritana ci ha fatto rivivere il primo contatto con la fede. La pagina del Vangelo di Giovanni che la Liturgia della IV domenica di quaresima ci presenta (Giov.9,1-41), l'incontro con l'uomo cieco dalla nascita, è un racconto molto articolato e preciso con il quale l'evangelista mostra come la fede passi attraverso prove difficili e sofferenza.
 
"Il Signore illumina i ciechi; - commenta S.Agostino - ora, o fratelli, i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui": l'uomo, cieco dalla nascita, è dunque simbolo di tutta l'umanità che ha bisogno di incontrare Gesù, che ha appena proclamato: "Io sono la luce del mondo: chi segue me, non cammina nelle tenebre" (Giov.8,12).
Sarebbe riduttiva e persino deviante una lettura semplicistica di questa pagina, come se l'incontro con Cristo fosse un'esperienza irenica, e non un'esperienza che cambia radicalmente la vita ma solo a chi ha il coraggio di abbandonarsi totalmente a lui: l'incontro di Gesù con questo uomo, è davvero un incontro difficile, persino drammatico.
Tutto comincia bene, anche molto bene: "Gesù, passando vide un uomo, cieco dalla nascita". Siamo nel Vangelo di Giovanni: per due volte, all'inizio e alla fine, Giovanni richiama la missione che Gesù ha ricevuto da Colui che lo ha mandato. Gesù è disceso dal Padre per camminare nella storia, guardare la realtà umana con gli occhi di Dio, amarla, rivelarne il senso pieno che solo Dio vede, e ricondurla al Padre. Quando gli uomini vedono la sofferenza umana, la collegano con il peccato. Quando Gesù vede l'uomo cieco, è subito interpellato dai discepoli: se lui è cieco, è perché o lui o i suoi genitori hanno peccato, chi dunque? La risposta di Gesù è una luce folgorante: egli separa radicalmente il peccato personale dalla malattia e dalla sofferenza, affermando:"Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che si compiano le opere di Colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte quando nessuno può agire. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo".
E si capisce così quale sia il senso vero dell'incontro di Gesù con l'uomo cieco: la presenza di Gesù nel mondo (il suo giorno), la sua opera, la sua parola, è una luce che risplende perché "in lui si manifestino le opere di Dio". "Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo": senza di lui non riusciamo a percepire il senso del mondo, ne sentiamo il limite, il male e lo interpretiamo come castigo di Dio per i nostri peccati, ma con lui, la Parola di Dio, vediamo la carne dell'uomo e contempliamo la gloria.
Gesù. E' lui che ci rivela che nel suo discendere fino alla morte in croce, l'Amore di Dio raggiunge il suo vertice. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito": nella croce di Cristo risplende la forza della risurrezione. Gesù ci rivela che tutto è Amore, fragile, debole, ma che è tanto più grande quanto più accetta di essere piccolo. Incontrare Gesù significa incontrare l'Amore che ci cambia il senso della vita: nella fragile concretezza di ciò che noi siamo, scopriamo il dono di Dio, che va accolto, vissuto, gustato, donato: ma è solo la fede in lui che ci apre gli occhi perché sappiamo vedere ciò che i nostri occhi da soli non riuscirebbero a vedere. Tutto inizia da Gesù che porta a compimento l'opera di Dio, la creazione di un uomo che sappia entrare in relazione con lui, ascoltare la sua Parola e percepire il senso pieno di ciò che Dio fa. "Va' a lavarti nella piscina di Siloe" - che significa inviato. "Quegli andò, si lavò, e tornò che ci vedeva": l'opera che Gesù inizia, si compie soltanto quando l'uomo ascolta e mette in pratica la Parola di Gesù.

Dall'incontro con Gesù è nato un uomo nuovo (era stato cieco, ora non lo è più), che ha trovato la sua identità ("Sono io", mentre gli altri stentano a riconoscerlo o dubitano della sua sincerità precedente), libero (non è più mendicante). Ma il delinearsi di questa nuova identità, avviene con degli strappi duri dalla precedente situazione, dalle precedenti garanzie che la sua condizione di uomo cieco comunque gli assicurava: il cammino verso la libertà che inizia con l'irrompere della luce nella sua vita, produce uno scontro violento con "i vicini e con quelli che lo avevano visto prima", con i farisei, con i Giudei, con tutti coloro che in nome della ragione comune o della loro interpretazione della tradizione religiosa, lo avevano definitivamente rinchiuso nei confini ristretti della sua cecità.
E quanto più la luce vince la tenebra, l'uomo che era nato cieco si trova emarginato, rifiutato, scacciato da tutti coloro che, chiusi nell'illusione di possedere la verità sull'uomo, sulla famiglia, su Dio in realtà hanno perso il gusto dell'esperienza di una verità che è continua ricerca, sorpresa e fonte di libertà.
Nel coraggio della solitudine continua il cammino verso la libertà che diventa sempre più vera, quanto più gli occhi si aprono, cadono gli ostacoli, i condizionamenti, le falsificazioni, e l'incontro con Gesù raggiunge la sua pienezza. Sono almeno quattro le tappe che segnano la progressione verso la libertà dell'incontro con Cristo nel quale l'uomo si trova pienamente rinato. Nella prima egli sa soltanto che "l'uomo che si chiama Gesù" lo ha guarito, e di fronte a chi vorrebbe saperne di più, ha il coraggio di dire: "Non lo so". Poi, condotto dai farisei e pressato da questioni teologiche suggerisce: "E' un profeta". In seguito, sotto la minaccia di essere scacciato dalla sinagoga, afferma: "E' un uomo che viene da Dio". Al termine di questo percorso "avendolo scacciato dalla sinagoga ed avendolo trovato, Gesù gli parlò": è bellissima l'avventura di quest'uomo, iniziata con gli occhi che si aprono e che si conclude dopo essere passata attraverso l'esperienza del coraggio della solitudine, della spogliazione di tutti gli orpelli, in nome di una presenza nuova, all'inizio appena intravista e che gradualmente si rivela, di una persona che non chiude, ma apre orizzonti per una esperienza umana sorprendentemente libera e bella. Quando tutti lo hanno allontanato, Gesù lo raggiunge, lo trova e gli parla: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?" Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?" Gli disse Gesù: "Lo hai visto, e colui che parla con te, è lui". Ed egli disse: "Credo, Signore!" Adesso sappiamo che Gesù gli ha davvero aperto gli occhi: vede Gesù e ascolta la sua Parola. Adesso è l'uomo libero che può dire: "Credo, Signore".

La fede è l'esperienza più vera della libertà dell'uomo: liberato da ogni paura, condizionamento, l'uomo che era cieco, si affida a Colui che lo rende capace di vedere il mistero della carne piena di gloria e di ascoltare la Parola di Colui che offre una vita così grande che vince anche la morte. Ma l'uomo che era cieco ha avuto il coraggio della solitudine per lasciarsi incontrare da Colui che è la luce del mondo. 

Testo di mons. Gianfranco Poma


Occhi nuovi per superare il peccato

Dentro la luce del giorno cer­chiamo tutti un'altra luce, come il cieco dalla nascita che scopre progressivamente la ve­rità di Gesù: è un profeta, è il figlio dell'Uomo, è il Signore. Come lui, abbiamo bisogno di fede visibile e vigorosa, di fede che sia pa­ne, che sia visione nuova delle cose. Gesù, dopo un gesto iniziale carico di simboli e di tenerezza, scompa­re, lasciando la scena alla dialettica degli altri, tutti a difendersi, ad at­taccare, a parlare senza sosta e sen­za gioia. E nessuno che provi pena per gli occhi vuoti del cieco; nessu­no che si entusiasmi per i nuovi oc­chi illuminati. Gesù non ci sta, non ha nulla da spartire con un mondo fatto di parole e di teorie. Egli è la «compassione», non la spiegazione. Esattamente ciò che cerca la muta speranza del cieco: mani che lo toc­chino, e qualcuno che sugli occhi spenti metta qualcosa di proprio, come quella piccola liturgia di ma­ni, di fango, di saliva, di cura, che Gesù celebra. Cerca partecipazione, non spiegazione.
Invece i farisei hanno edificato un mondo di parole e di sofismi, che non sa più ascoltare la vita. Come loro anch'io talvolta chiudo l'uomo vivente e dolente dentro la griglia della teoria religiosa o della norma etica. È un mondo cieco, dove colo­ro che si dicono sapienti non sanno più parlare alla speranza. Burocrati delle regole e analfabeti del cuore.
Infatti nelle parole dei farisei il ter­mine più ricorrente è peccato: «noi sappiamo che quest'uomo è un pec­catore»; «sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». Prima anco­ra i discepoli avevano chiesto: «chi ha peccato? Lui o i suoi genitori?».
La loro è una religione immiserita a questioni di peccato. E il peccato è innalzato a teoria che spiega il mon­do e interpreta la realtà. E perfino l'agire di Dio.
Ma il peccato non è rivelatore, ren­de ciechi, davanti all'uomo e davanti a Dio. E Gesù capovolge immedia­tamente questa mentalità: l'uomo non coincide con il suo peccato, ma il bene possibile.
E non parlerà di peccato se non per dire che è perdonato; e per assicu­rare che Dio non spreca la sua eter­nità in castighi, che non può essere appiattito sul nostro moralismo.
Egli è compassione, futuro, approc­cio ardente, mano viva che tocca il cuore e lo apre, porta luce e fa na­scere. Egli vive per me e dalle sue mani la vita fluisce per me, come fiume e come sole, gioiosa, inarre­stabile, eterna. 

Testo di padre Ermes Ronchi 
 

Risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà testo di mons. Vincenzo Paglia

Cristo è la luce della nostra vita testo di don Roberto Rossi 


Liturgia della IV Domenica di Quaresima (Anno A):
3 aprile 2011

Liturgia della Parola della IV Domenica di Quaresima (Anno A): 3 aprile 2011

Lectio Divina sulla IV Domenica di Quaresima dei Monaci della Abbazia di S. Maria di Pulsano, Monte Sant'Angelo (Fg) (collegamento audio)


Note sull'immagine

La guarigione del cieco nato, dal Codex Purpureus Rossanensis

Descrizione
Nella miniatura sono dipinte due scene della guarigione del cieco. Nella prima, a sinistra, Cristo, seguito da Andrea e da un discepolo più giovane, incontra il cieco, che chino in avanti, appoggiato su un lungo bastone sul petto, tocca la mano destra di Gesù portandola verso i suoi occhi. Nella scena a destra, il cieco si spinge sull'orlo della vasca per lavarsi il viso e, davanti ad una folla di persone, il miracolo si compie e gli occhi si aprono.

tratta dal sito dell'Arcidiocesi di Rossano Cariati

"La guarigione del cieco nato e' tratta da Giovanni e sono in essa rappresentati da due momenti: Cristo tocca l'occhio del cieco, e il cieco si lava, togliendo il fango che Cristo vi ha poggiato e riacquista la vista dinanzi a spettatori meravigliati. Nell'uomo che mette la mano nel pozzo e nella donna che gli sta vicino si sono riconosciuti il padre e la madre del cieco".(Nota bibliografica: Guerriera Guerrieri, Il codice Purpureo di Rossano Calabro, Estratto da "Napoli" Rivista Municipale, edita a cura del Comune di Napoli - 1950 Articolo collocato c/o Biblioteca Civica di Cosenza)

Il Codice Purpureo di Rossano, bene artistico dell'umanità

Il Codex Purpureus Rossanensis è un Evangeliario greco miniato, che, contiene l’intero Vangelo di Matteo, quasi tutto quello di Marco, del quale  mancano solo i versetti 15-20, e  una parte della lettera di Eusebio a Copiano sulla concordanza dei Vangeli.

Si tratta di un testo adespoto(se ne ignorano, infatti, gli autori) e  mutilo, di cui rimangono, degli originari 400, 188 fogli di pergamena lavorata, tinta in colore purpureo. La grafia in cui è redatto è la maiuscola biblica o greca onciale, con termini in scriptio continua (senza separazione delle parole), privi di accenti, spiriti, segni di interpunzione, eccetto il punctum che segna il passaggio da un periodo all’altro. 
Il testo è distribuito su due colonne di venti righe, di cui le prime tre, che costituiscono l’incipit dei Vangeli, presentano i caratteri   in oro, mentre il resto è in argento.  Le miniature conservate nel Codice sono quindici. Di esse, dodici(I, II,III,IV, V, VI, VII, VII, X, XI,XII, XIII) raffigurano episodi della vita di Cristo, una riproduce il Canone della concordanza degli evangelisti (IX) , mentre l’ultima(XV) è un ritratto di Marco.
Non ci sono elementi per poter stabilire con sicurezza la datazione del Codice Purpureo, il luogo in cui fu realizzato e l’identità di chi lo portò a Rossano. La maggior parte degli studiosi, basandosi sullo stile del manoscritto, per quanto concerne la datazione, concordano su un periodo compreso tra il IV e il VI-VII secolo. Il secolo più accreditato è il VI. Dal confronto con altri manufatti coevi, di localizzazione certa, si evince che, probabilmente, il Codex è stato realizzato in Siria, forse ad Antiochia. Si ipotizza anche che l’ondata migratoria dei monaci greco-orientali avvenuta nel VII, a causa del primo iconoclasmo, abbia condotto a Rossano un gruppo di monaci che custodivano il prezioso Testo Sacro. Ma non è da escludere anche che sia stato un nobile aristocratico della corte di Bisanzio a recarlo a Rossano.
Il testo fu segnalato per la prima volta nel 1846 dal giornalista Cesare Malpica e fu scientificamente studiato nel 1879 dai tedeschi Oscar von Gebhardt e Adolf Harnack, che lo sottoposero all’attenzione della cultura internazionale.
Il Codex Purpureus Rossanensis è nell’elenco delle candidature per essere riconosciuto dall’UNESCO fra i beni eccellenti del patrimonio artistico mondiale.