L'uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia: colui che fa la volontà del Padre entrerà nel Regno dei cieli

News del 05/03/2011 Torna all'elenco delle news

Nella domenica IX del tempo ordinario, leggiamo il brano conclusivo del "discorso della montagna" (Matt.7,21-27): il discepolo di Gesù, che è chiamato a lasciare tutto ciò che intralcia il cammino della realizzazione della propria esistenza per seguire Lui ed entrare con Lui nel Regno di Dio, è posto con estrema chiarezza di fronte all'urgenza di una scelta radicale, cioè: dire Si o No a Gesù.
"Io dico a voi…": occorre decidere. "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli": la coscienza è posta di fronte ad una alternativa netta, l'impegno è assoluto. Tutte le espressioni usate sono chiarissime: o si entra o si rimane fuori.
Abbiamo già potuto sottolineare la preoccupazione pedagogica del Vangelo: il Vangelo di Matteo è stato chiamato dal Card. Martini il "Vangelo del catechista" proprio perché si presenta come una guida sintetica e completa per l'educatore che vuole condurre alla maturità il credente che ha già compiuto il primo passo ed ha già aderito alla fede. Nel brano che oggi leggiamo, punto di arrivo del discorso, Matteo usa la sua raffinatezza pedagogica, per condurci a verificare la serietà della nostra adesione a Cristo.
Dopo aver insistito sulla necessità di una decisione chiara per Cristo, Matteo sente il bisogno di precisare ulteriormente gli elementi che caratterizzano l'identità cristiana. "Non tutti coloro che mi dicono: "Signore, Signore", entreranno nel Regno dei cieli". Gesù intende portare così l'ultimo tocco al richiamo rivolto al suo discepolo la cui giustizia deve superare quella degli scribi e dei farisei. Gli scribi sono addetti allo studio attento della Legge: presso l'ebraismo la teologia è in realtà sempre un commento della Torah. Anche a questo proposito Gesù non nega la bontà dello studio degli scribi e della loro religiosità, ma la "porta al pieno compimento". "Non tutti coloro che mi dicono…" non è sufficiente essere degli scribi perfetti, per entrare nel Regno dei cieli; non è sufficiente essere dei raffinati teologi, non è sufficiente appartenere a gruppi di preghiera, non è sufficiente ripetere preghiere. E' sempre possibile illudersi di credere. "Ma chi fa la volontà del Padre mio, quello che sta nei cieli…" Gesù vuole portare a "compimento" anche la giustizia dei "farisei": questi sono persone particolarmente impegnate nella applicazione pratica della Legge, ritengono che la loro giustizia, la loro giusta relazione con Dio, consista nella esecuzione perfetta della Legge, espressione della volontà di Dio. Gesù ai suoi discepoli chiede di essere operatori della "volontà del Padre mio, quello che sta nei cieli".

Sta qui la grande novità che Gesù propone ai suoi discepoli: andare oltre la volontà di Dio espressa nella Legge, per essere operatori della "volontà del Padre" che Gesù chiama "Padre mio che sta nei cieli".
Gesù è il Figlio che ha rivelato la volontà misteriosa del Padre. E' una interpretazione riduttiva pensare che Gesù contrapponga il "dire" al "fare" e pensare che Gesù voglia privilegiare il "fare": Gesù chiede ai suoi discepoli di essere operatori della volontà del Padre, ma per essere tali, occorre prima cercarla. Solo chi è prima "uditore della Parola del Padre" entra nella sua volontà e ne diventa "operatore".
Ai suoi discepoli, Gesù chiede di ascoltare Lui, ("Avete udito che è stato detto agli antichi…ma io dico a voi"): è Lui la Parola di Dio che nel suo farsi carne rivela la volontà del Padre. Essere "uditori" di Gesù significa aprirsi a Lui con tutta la propria umanità, seguire Lui, vivere con Lui la sua dimensione filiale e condividere con Lui la dimensione fraterna. Studiare Gesù, cercare Gesù, pregare Gesù è la via per essere con Lui figli che in ogni momento accolgono la volontà del Padre e la rendono viva nella concretezza della storia che a loro è data di vivere.
E Gesù mette in guardia dal rischio di cadere in un raffinato fariseismo che troppo facilmente identifica la "volontà di Dio" con il fare le cose pur buone che la "nostra" volontà (ma non la volontà del Padre) ci spinge a fare. Anticipando il giorno nel quale egli si presenterà come giudice, in realtà per avvertirci già adesso sul discernimento da operare per "fare la volontà del Padre", Gesù proclama: "In quel giorno, molti mi diranno: "Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome, non abbiamo scacciato demoni? E nel tuo nome, non abbiamo fatto molti prodigi?" Ma allora io dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuto. Allontanatevi da me, operatori malvagi". Pronunciare profezie, scacciare demoni, fare prodigi nel nome di Cristo, non è forse "fare" bene? Ma quanto è facile strumentalizzare il nome di Cristo e fare cose buone solo per noi: all'origine di ogni nostra scelta personale o ecclesiale Gesù ci invita a chiederci se stiamo facendo la volontà del Padre o la nostra.

Il "discorso della montagna" si chiude con la duplice parabola, in positivo e in negativo, con la quale Gesù invita ancora una volta alla scelta: Certamente Matteo ha di fronte a sé una comunità colta, attenta ad ascoltare le parole di Gesù: è così facile anche oggi dire belle parole, studiare teologia, fare belle liturgie…Matteo sprona la sua comunità: l'uomo sapiente è quello che sa ascoltare talmente le parole di Gesù, che ne è totalmente afferrato, tanto che la sua vita le rende visibili a tal punto che le opere sono il farsi concreto della Parola di Dio.

Essere uditori e operatori della Parola di Dio, significa essere costruttori del "Corpo di Cristo" che è la Chiesa, che vive della vita di Dio, l'Amore, che è ben altro dall'efficientismo del nostro affannarci.

Il realismo di Gesù è ben lontano dal nascondere quanto l'uomo sapiente si trovi immerso in una situazione che gli è avversa: contro di lui si scatenano tutti gli elementi, dal cielo, dalla terra, dai fiumi, ma, come una casa costruita sulla roccia, non cade. Sottolinea con enfasi, Gesù: "è costruito sulla roccia", e la roccia è la Parola di Dio, è Gesù stesso, è Lui morto e risorto. Non così è per lo stolto: egli "ascolta" la Parola, ma non si lascia afferrare da essa; in lui la Parola rimane infeconda. Costruisce la casa, ma su se stesso, con un suo progetto, con materiali suoi, sulla sabbia. Non può reggere di fronte alla durezza della storia una casa costruita sulla sabbia: "cade, e la sua rovina è grande".
Si conclude così il grande "discorso della montagna", con una vena di amarezza: Matteo ha di fronte a sé la situazione in cui si trova la prima comunità cristiana. E' stupenda la pienezza di vita che Gesù offre al suo popolo: ma molti non hanno il coraggio di affidarsi alla sua Parola, non accolgono il "compimento" che egli è venuto a portare. Si affaticano a costruire sulla sabbia, hanno paura della forza della storia: è così bello lasciarsi afferrare da Colui che ha una Parola nuova, con l'autorità che gli scribi non hanno! 

Testo di mons. Gianfranco Poma (Colui che fa la volontà del Padre entrerà nel Regno dei cieli)


La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia

Con la fine del capitolo settimo si chiude il discorso della montagna, il primo grande discorso di Gesù nel Vangelo di Matteo, quasi il suo programma evangelico. Il confronto con queste pagine è per certi versi decisivo. Infatti, dice Gesù: "Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica, può essere paragonato a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia", mentre "chi non le mette in pratica, può essere paragonato a un uomo stolto che costruì la sua casa sulla sabbia". Continua Gesù: venne la pioggia a dirotto, i fiumi strariparono, soffiarono i venti e si abbatterono su quelle due case; la prima casa, quella fondata sulla pietra, restò salda; l'altra, quella fondata sulla sabbia, crollò. Sono due immagini efficaci con le quali Gesù paragona, e non a caso, gli ascoltatori del Vangelo ai costruttori. Il Vangelo, infatti, non è una esercitazione letteraria e neppure una buona parola che si dice per esortare a qualche buon sentimento: esso è teso a costruire una casa, la casa della propria vita. Ebbene, chi ascolta il Vangelo e lo mette in pratica è un uomo prudente, perché costruisce la sua vita sulla pietra; chi invece ascolta soltanto, e non segue il Vangelo, è uno stolto, perché sarà travolto dalle avversità. Ovviamente è ancora peggio se neppure si ascolta la Parola di Dio.
Sulla sabbia basta un'onda leggera per travolgere tutto quello che si è costruito; di qui anche il detto popolare sui "castelli di sabbia". In verità spesso la vita ci riserva spesso scrosci violenti e venti impetuosi. Per questo l'avvertimento di Gesù è saggio e amichevole. La sabbia non è lontana. Non bisogna fare lunghe file o chilometri di strada per arrivarci. Ce l'abbiamo nel cuore. La sabbia è l'orgoglio di sé, dei propri sentimenti, delle proprie convinzioni, è l'arroganza di chi pretende di avere sempre ragione anche davanti al Signore, è la freddezza di chi è indifferente ai bisogni degli altri. La stagione della sabbia può durare un giorno, un mese, un anno, o anche una vita intera. È il tempo in cui non si ascolta il Vangelo né tanto meno lo si mette in pratica. Quanti uomini, quante donne dovrebbero ammettere che la loro costruzione umana è crollata, e non lo ammettono, perché non vogliono rivelare che nel loro cuore c'è sabbia! Stiamo attenti, perché la sabbia è anche deserto; anzi la sabbia fa il deserto, crea solitudine, amarezza, assenza di vita felice. Il Signore ci ha fatto dono della pietra ove poter costruire la nostra vita. La pietra non siamo noi, è il Signore stesso, è il suo Vangelo, che rimane saldo e non crolla. Anche la predicazione è una piccola pietra per le nostre giornate. È giusto allora stupirsi come si stupirono quelle folle al termine del discorso della montagna: "Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle rimasero stupite della sua dottrina; insegnava infatti come uno che ha autorità". È lo stupore di trovarsi di fronte a una parola autorevole che ci è data per costruire saggiamente la nostra vita di giorno in giorno.
L'avvertenza di Gesù è saggia e severa: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Occorre anzitutto cercare il regno di Dio, che è bontà, misericordia, giustizia, fraternità, amicizia. Questo è l'essenziale da cui promana con certezza tutto il resto. La miopia di molti verso l'accoglienza agli stranieri (ed è davvero triste anche da un punto di vista civile cavalcare l'egoismo e l'intolleranza della gente) rende lontana questa ricerca del regno di Dio e radica nel culto del proprio particolare (è l'idolo di una società ricca e consumistica), che peraltro sarà causa di impoverimento e di angosce. Mammona è un idolo esigente, e non risparmia. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia
 

La volontà del Padre? L’amore che libera

La gente ascoltava Gesù e capiva. Capiva che per entrare nel suo sogno ( il regno dei cieli è il mondo co­me lui lo sogna) non serviva­no lunghe preghiere, né i riti e le formule esatte dei dotto­ri della Legge ( «Signore, Si­gnore...» ). Che bastava per­correre una strada più libera e più viva: «la volontà del Pa­dre» .
La gente ascoltava il giovane Rabbi e capiva che la volontà del Padre non era come gliel'avevano sempre descrit­ta. Aleggiava tristezza quan­do i farisei evocavano la vo­lontà di Dio. Era la giustifica­zione di tutte le tragedie, di malattie e dolori, di torri ro­vinate addosso ai costrutto­ri, di sangue versato dai ro­mani nelle mille rivolte di Giudea. Nasceva pace e fidu­cia quando la presentava Ge­sù: volontà del Padre è che nessun uomo sia solo, che fiorisca a immagine di Dio, che abbia compagni d'amici­zia e di festa, che sia creativo e ostinato nell'amore. Non u­na spada minacciosa, ma l'annuncio che gli occhi dei suoi figli, Dio li vuole pieni di dolce speranza.
«In quel giorno» ci sarà folla davanti alle porte chiuse. Quanta gente straordinaria è lasciata fuori: profeti con pa­role di luce, gente che cac­ciava demoni, grandi tauma­turghi! Ma è questo ciò che il Vangelo chiede? È dalle cose eccezionali che riconosce­ranno i suoi discepoli? No. Ma «se avrete amore gli uni per gli altri» .
Nel nostro servizio non con­tano i risultati, ma quanto a­more metti in ciò che fai ( Ma­dre Teresa di Calcutta). Sulla soglia dell'eterno, l'amore cerca in te qualcosa in cui specchiarsi, l'unica cosa che valga a dire Dio.
Nella parabola delle due ca­se, la differenza tra quella che rimane salda e quella che va in rovina è tutta in un verbo solo: mettere in pratica o non mettere in pratica le parole a­scoltate. Non nelle apparte­nenze o in belle liturgie, non in profezie o prodigi, la diffe­renza sta nel «fare» le sue pa­role, nel ricrearle in me. È la crisi del «dire» .
La gente ascoltava Gesù e ca­piva che c'è un combaciare profondo tra l'uomo e la vo­lontà di Dio, più profondo delle parole, più delle con­fessioni di fede, ed è in chiunque «ha creduto all'a­more» ( 1 Gv), e non conta se dentro e fuori le sinagoghe e le chiese. Ascolta e tieni sal­da la sua parola, anche se non la capisci, lascia che entri nel­la tua memoria come seme nel terreno: darà come frutto il combaciare con Dio, una e­sistenza nella consistenza. 

Testo di padre Ermes Ronchi
 

Liturgia della IX Domenica del Tempo Ordinario (anno A): 6 marzo 2011

Liturgia della Parola della IX Domenica del Tempo Ordinario (anno A): 6 marzo 2011