Vivere tutto senza essere schiavo di niente: il coraggio dell'amore, la libertà della fede

News del 25/02/2011 Torna all'elenco delle news

La pagina del Vangelo di Matteo che la Liturgia della Domenica VIII del Tempo Ordinario ci fa leggere (Matt.6,24-34) è certamente una delle più belle di tutta la Bibbia: dovremmo fermarci ad ogni parola, gustare l'esperienza che ogni espressione suscita nel nostro cuore, sentire la bellezza che nasce dentro di noi e che fa nuova la nostra vita.

Siamo sempre nel "discorso della montagna" nel quale Gesù descrive per i suoi discepoli la "giustizia" a cui essi sono chiamati, che "supera quella degli scribi e dei farisei", che non è più fondata sull'osservanza della Legge ma su una relazione nuova con Dio, il Padre che ama i propri figli. Quella che Gesù descrive dunque, è la vita dei figli di Dio, che nasce dal cuore nuovo che il Padre dona loro, una vita che va oltre la Legge: è la vita secondo lo Spirito, nella quale si manifesta la "pienezza" (la perfezione) che è l'Amore.

La lettura continua che stiamo facendo in queste domeniche, omette (purtroppo) una parte (Matt.6,1-23) che ritroveremo nel tempo di Quaresima. Per la corretta interpretazione di tutto il discorso, è importante sottolineare che la parte omessa è quella centrale, nella quale Matteo mostra come la novità del Figlio di Dio rinnova il senso delle pratiche religiose tradizionali, l'elemosina, la preghiera, il digiuno.
Il vertice del discorso è il momento nel quale Gesù insegna ai suoi discepoli il "Padre nostro", la preghiera dalla quale nasce una vita di totale appartenenza filiale.
A questo punto si colloca il nostro brano: non può non essere affascinante la bellezza della vita che Gesù offre ai suoi discepoli. E' la sua vita di Figlio di Dio: Gesù chiama i suoi discepoli a condividere l'esperienza dell'amore del Padre.

Il "discorso della montagna" è anzitutto questo: è Gesù che chiama i suoi discepoli a condividere la realtà di una esperienza nuova di Dio, Padre nostro che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, che vede nel segreto, che conosce ciò di cui abbiamo bisogno ancora prima che glielo chiediamo, Padre che perdona, che ricompensa, che nutre gli uccelli del cielo e che fa molto di più per noi che siamo figli, pure se poco credenti.

E' Gesù che ci parla della sua straripante e così concretamente umana esperienza della ricchezza inesauribile dell'amore del Padre perché impariamo a fidarci totalmente di lui per iniziare una vita libera da ogni schiavitù. E Gesù parla a noi perché siamo suoi discepoli, perché "abbiamo lasciato tutto e lo abbiamo seguito", perché crediamo in lui: Gesù ci chiede il coraggio della fede. Certo, sarà sempre sproporzionata la gratuità dell'amore del Padre di fronte alla nostra realtà di "credenti piccoli", ma è necessario il nostro coraggio di lasciare la nostra piccola barca, le nostre fragili sicurezze, per poter sperimentare la forza delle braccia del Padre.

E ancora, Gesù parla alla comunità dei suoi discepoli, che si sono staccati dalla folla per stare con lui: se è essenziale la dimensione personale della fede, lo è altrettanto quella comunitaria. Infatti, la novità cristiana l'esperienza dell'amore filiale, non può che essere fatta in dimensione fraterna: solo la fraternità di Gesù con i suoi discepoli rende possibile sperimentare ed annunciare l'amore del Padre.

C'è tutta una pedagogia sottesa al "discorso della montagna": Gesù prima mostra tutta la bellezza della vita che egli propone; al culmine pone la preghiera rivolta al Padre perché i discepoli comprendano che tutto è dono e alla fine, ma sempre come risposta piena di stupore di fronte alla infinita grandezza dell'amore del Padre, pone il discepolo di fronte alla scelta che compete alla sua libertà. "Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore": così Gesù ha avvertito i suoi discepoli, chiedendo loro: "Non accumulate per voi tesori sulla terra, ma in cielo", e prosegue: "La lampada del corpo è l'occhio…se la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!" Ai suoi discepoli Gesù chiede anzitutto l'onestà interiore e la coerenza con la propria coscienza, per poter discernere il "tesoro" a cui legare il proprio cuore: chiede di "non oscurare la luce che è in loro". E' meravigliosa questa osservazione di Gesù: in noi c'è la luce, l'ha accesa Dio; l'occhio è la lampada del nostro corpo, è la nostra cattiveria che può spegnere la luce e rendere grande la tenebra. Ma se conserviamo il nostro occhio "semplice", tutto il corpo è splendente.
"Beati i puri di cuore: vedranno Dio": la semplicità del cuore, rende luminoso il nostro occhio e ci fa vedere Dio. Gesù continua quindi a chiarire cos'è la "semplicità del cuore": occorre scegliere tra l'accumulare per sé i beni della terra o i beni del cielo; non è possibile servire Dio e Mammona.
Ed insiste Gesù nell'invitare i suoi discepoli a "guardare", a contemplare con occhi semplici gli uccelli del cielo, il loro volare libero, e i gigli del campo, la loro meravigliosa bellezza, per saper vedere l'opera del Padre e percepirla in tutta la sua intensità nella stupenda esperienza umana: solo la dimensione contemplativa della vita può renderci capaci di gustare l'amore del Padre nello sbattere delle ali di un uccello o nella bellezza del colore di un petalo di un fiore e poi di sentirlo in ogni attimo della nostra vita, in ogni percezione dei nostri sensi, in ogni vibrazione della nostra intelligenza e della nostra volontà.
E continua così, Gesù, a plasmare l'identità del suo discepolo: attraverso la contemplazione e l'esperienza che partendo dalle cose più piccole arriva a gustare la pienezza dell'amore del Padre, Gesù conduce il discepolo alla libertà.

L'uomo è essenzialmente relazione: solo non lasciandosi offuscare gli occhi da ciò che più appare ma è meno vero, l'uomo può entrare in relazione con Dio ed essere libero.
Il discepolo di Gesù, nella relazione libera con Dio, sa mettere ordine nella propria vita verificando le priorità dei valori.

Vivere tutto senza essere schiavo di niente è l'insegnamento che anche Paolo dà ai suoi discepoli (1 Cor.3,22-23). "Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta": Gesù ci presenta questa sintesi programmatica per la vita del cristiano invitandoci a viverla nella comunità, nella Chiesa. Ogni attimo, ogni scelta, nella Chiesa dovremmo viverla chiedendoci se è nella logica del Regno di Dio e rende visibile la sua giustizia.
E alla fine, come vertice della libertà e momento della più grande maturità, Gesù chiede ai suoi discepoli l'abbandono fiducioso nell'amore del Padre, che non è disinteresse, fatalismo…ma è il vero coraggio, è l'audacia di saper osare, è ancora il "compimento" di Matteo, l'andare oltre ogni limite umano, con la pace, la libertà interiore che si misura solo nella relazione filiale con il Padre. Per sei volte in questo piccolo brano ritorna l'invito a non essere frenati dalle preoccupazioni che derivano da uno sguardo rivolto verso noi stessi. La nostra pur piccola fede ci dà il coraggio di guardare in alto e di fidarci del Padre che sta nei cieli. 

Testo di mons. Gianfranco Poma (Guardate i gigli del campo: come crescono!)


Cercate il Regno, trovate la libertà

Gesù rilancia la sua sfi­da per un altro modo di essere uomini: non preoccupatevi delle cose, c'è dell'altro che vale di più. È la sfida contenuta nella pre­ghiera nel Padre Nostro: dac­ci oggi il nostro pane quoti­diano.
Ti chiediamo solo il pane sufficiente per oggi, il pane che basta giorno per giorno, come la manna nel deserto, non l'affanno del di più. È la sfida del monaco: conosco monasteri che vivono così, come uccelli e co­me gigli, quotidianamente dipendenti dal cielo. Ma questa sfida è anche per tut­ti noi, pieni di cose e spa­ventati dal futuro.
La vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Occuparsi meno delle cose e di più della vita vera, che è fatta di relazioni, consape­volezza, libertà, amore. Vuoi volare alto, come un uccello, vuoi fiorire nella vita come un giglio? Allora devi depor­re dei pesi. Madre Teresa di Calcutta soleva dire: tutto ciò che non serve pesa!
Meno cose e più cuore! Non una rinuncia, ma una libera­zione.
Dalle cose, dalla 'roba' diventata padrona dei pen­sieri.
Guardate gli uccelli del cie­lo... Osservate i gigli del cam­po... se l'uccello avesse pau­ra perché domani può arri­vare il falco o il cacciatore, non canterebbe più, non sa­rebbe più una nota di libertà nell'azzurro.
Se il giglio temesse la tem­pesta che domani può arri­vare, o ricordasse il tempo­rale di ieri, non fiorirebbe più.
Gesù osserva la vita, e la vita gli parla di fiducia e di Dio. E a noi dice: beati i puri di cuo­re perché vedranno Dio, ve­dranno in tutto ciò che esiste un punto verginale e fidu­cioso che è la presenza di Dio, vi scopriranno un alta­re dove si celebra la comu­nione tra visibile e invisibile. Allora: non affannatevi, quel­l'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono feste o domeniche, non c'è tempo per chi si ama, per contem­plare un fiore, una musica, la primavera.
Cercate prima di tutto il Re­gno di Dio e queste cose vi sa­ranno date in più. Non è mo­ralista il Vangelo, non si op­pone al desiderio di cibo e vestito, dicendo: è sbagliato, è peccato, non serve. Anzi, tutto questo lo avrete, ma in tutt'altra luce.
«Il cristianesi­mo non è una morale ma u­na sconvolgente liberazione» ( Vannucci). Libera dai pic­coli desideri, per desiderare di più e meglio, per cercare ciò che fa volare, ciò che fa fiorire e ti mette in armonia con tutto ciò che vive. Inse­gna un rapporto fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le più piccole crea­ture e con Dio.
Cercate il regno, occupatevi della vita interiore, delle re­lazioni, del cuore; cercate pa­ce per voi e per gli altri, giu­stizia per voi e per gli altri, a­more per voi e per gli altri.
Meno cose e più cuore! E tro­verete libertà e volo. 

Testo di padre Ermes Ronchi 


Non preoccupatevi del domani

Gesù dice ai discepoli: "Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro?". Sono parole molto chiare che dovrebbero farci riflettere su come la maggioranza di noi pensa alla propria vita, sulle preoccupazioni che abbiamo sul nostro presente e sul nostro futuro. Non ci lasciamo prendere dall'angoscia dell'oggi e del domani? Il Vangelo ci invita a guardare gli uccelli del cielo e a stupirci di come essi sono aiutati dal Signore. Ebbene, se è così per gli uccelli del cielo, che senza dubbio contano molto meno delle persone, quanto più sarà per noi? Eppure noi viviamo preoccupandoci proprio di ciò che nella nostra vita non mancherebbe comunque, anche se noi non ce ne curassimo. "Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta".
Voi - sembra affermare il Vangelo - siete nati per il Signore. Egli lo sa bene; la vostra vita gli sta molto a cuore, più di quanto stia a cuore a voi stessi. Voi siete fatti per lui e per i fratelli. Eppure noi di questa fondamentale verità, che è il senso stesso della vita, ce ne occupiamo davvero poco (tanto meno ce ne preoccupiamo). E se molti restano senza cibo e vestito è perché altri non cercano il regno di Dio e la sua giustizia, bensì solo il proprio tornaconto.

Gesù, all'inizio di questo brano evangelico, chiarisce che nessuno può fare il servo contemporaneamente a due padroni, con un servizio totale, infatti "o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e trascurerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza". Tornano in mente le parole del Deuteronomio che definiscono il "servizio" all'unico Signore con questi termini: amarlo "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Dt 6,4-5). In nome di questa dedizione totale a Dio si contesta l'idolatria, che è appunto servire altri dei, altri signori. È la pretesa di un diritto assoluto da parte di Dio. Non è difficile che questo ci sembri eccessivo. E in base ai nostri calcolati giudizi, alla nostra misurata e accorta gestione dei sentimenti, certamente lo sentiamo tale. È proprio così: Dio è eccessivo. Ma è l'eccesso di amore che rende ragione della sua pretesa. È già ben chiaro nelle parole del profeta Isaia: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai" (Is 49,15). Mai una madre dimentica il proprio figlio piccolo. Ebbene, anche se per assurdo una madre operasse così, il Signore non lo farebbe mai. Per questo e solo per questo il salmista dice: "Solo in Dio riposa l'anima mia" (Sal 62,2).
Questo brano evangelico non è, ovviamente, una sorta di manifesto contro la civiltà del lavoro, o un nostalgico appello alla serenità della vita in una romantica cornice naturistica. Gesù si rivolge ai discepoli per invitarli a vivere con radicalità e integrità il loro rapporto con Dio. Il servizio alla ricchezza (un vero idolo) è come donargli l'anima, perché diviene il motivo assorbente della vita. È un idolo effimero, eppure per molti è motivo sufficiente per essere spinti a servirlo con la vita. Servire la ricchezza è dunque perdere la vita dietro l'incanto dell'effimero. L'avvertenza di Gesù è saggia e severa: "Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Occorre anzitutto cercare il regno di Dio, che è bontà, misericordia, giustizia, fraternità, amicizia. Questo è l'essenziale da cui promana con certezza tutto il resto. La ricchezza ci offre qualcosa ma non ci dà l'essenziale. Tuttavia è un idolo esigente, che non risparmia. Se cercheremo anzitutto il regno di Dio, il resto non ci mancherà, ne mancherà a quanti non hanno neppure il necessario. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia
 

Liturgia della VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A):27 febbraio 2011

Liturgia della Parola della VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 27 febbraio 2011