Cosi' risplenda la vostra luce davanti agli uomini
News del 05/02/2011 Torna all'elenco delle news
Una ricca trama simbolica è sottesa alle parole di Gesù sul sale e sulla luce, che Matteo colloca tra le Beatitudini e le antitesi del discorso della Montagna.
Sale e luce sono elementi essenziali per la vita. Più preziosi nel mondo antico, più banalizzati nel nostro. Con un salto al supermercato compri un chilo di sale, con un tocco del dito accendi l'interruttore. Nel mondo antico il sale è un bene prezioso, attorno a cui si sviluppano le rotte commerciali, e la luce è prevalentemente quella del giorno. Lampade a olio e candele costano, e non assicurano certamente una grande illuminazione. La notte è l'ora delle tenebre, del male, in cui i ladri si aggirano indisturbati, in cui si crede che gli spiriti agiscano... bisogna che venga un black-out per riportarci all'epoca in cui buio e tenebra conservano la loro carica originaria di terrore. Oppure un'improvvida dimenticanza, e una pastasciutta scotta e insipida ci ricorda l'importanza di quell'umile pugno di sale disperso nel cibo.
Il linguaggio rivelatore
Le parabole di Gesù hanno la capacità di dire grandi cose con parole semplici, facendo riferimento alla concretezza della vita. Tra il mistero del Regno e i piccoli eventi quotidiani sembra non esserci distanza: ogni cosa può parlare del mistero di Dio. Il senso una volta dischiuso non si cristallizza in un'interpretazione unica, ma resta disponibile, aperto a nuove rivelazioni. Così ogni evangelista riprende le parabole adattandole alle proprie esigenze e al proprio contesto.
Marco ad esempio usa la parabola del sale nel contesto di un discorso sulla comunità, e conclude: "abbiate sale in voi stessi, e state in pace gli uni con gli altri". Per lui il sale è la saggezza e la capacità di comunione, perdendo la quale il discepolo perde la propria identità.
Il discorso di Matteo è invece riferito alla capacità di testimonianza, e riguarda sia i discepoli, sia la folla che ascolta il Discorso della Montagna. Come ogni uomo è destinatario almeno teorico delle Beatitudini, ma solo chi accetta di "farsi povero" entra effettivamente nell'abbraccio della grazia, così ogni uomo è idealmente chiamato ad essere "sale" e "luce", ma solo il discepolo, colui che si decide per Gesù e per il Regno dei Cieli, è effettivamente contrassegnato come colui che dà sapore e luce al mondo.
Matteo dà un'articolazione chiara al discorso, che si divide in tre nuclei: il primo centrato sul sale (voi siete il sale...); il secondo sulla luce (voi siete la luce...); il terzo che definisce con più chiarezza l'ambito di applicazione (così risplenda la vostra luce...). Notiamo l'insistenza sulla seconda persona plurale ("voi"... "vostra luce"... "vostre opere buone"...) e quindi su coloro che accettano di diventare interlocutori di Gesù; in relazione ad essi sta la "terra" o il "mondo", o la massa degli "uomini". E il termine "uomini" è appunto il termine-chiave che all'inizio e alla fine definisce il destino, il risultato della condotta di chi è sale e luce. O è "calpestato dagli uomini", oppure "risplende davanti agli uomini", che possono così "vedere e dare gloria".
Ognuna delle immagini è presentata con una prima affermazione forte "voi siete", in positivo, a cui segue una messa in discussione, in negativo: che accade al sale se "perde sapore"? può "restare nascosta" la luce, o una città costruita sul monte? L'argomentazione procede per assurdo: il sale senza sapore non è più sale, è un non-senso, e lo stesso vale per una luce che resti nascosta.
Lo sforzo della testimonianza
Presentando questo brano a un gruppo di catechisti e catechiste, invitati a dare la loro interpretazione, il primo e fondamentale significato che emergeva era il dovere di dare la propria testimonianza. A volte connesso anche a una nota di fatica e di sforzo: è difficile essere sale e luce. Si tratta di un significato corretto, indubbiamente presente nel testo. Ma la parola di Gesù non ci indica solo che cosa dobbiamo fare: prima di tutto ci rivela chi siamo. Il discepolo "è" sale e luce, indipendentemente dal suo sforzo e dalla sua volontà: vale a dire, porta in sé un dono che è estremamente positivo, bello, buono.
L'immagine del sale è nell'ambito simbolico del gusto, dell'invisibile, dell'interiorità.
L'immagine della luce è nell'ambito del visibile, del bello, dell'esteriorità.
Sale e luce non devono fare nessuno sforzo per dare gusto e illuminare, è sufficiente che siano se stessi, e che sia rimosso ogni ostacolo.
Il rischio del discepolo
Quando dunque parliamo della "difficoltà" di dare testimonianza, forse stiamo parlando di qualcosa di più profondo e grave. La testimonianza diventa difficile se si riduce a un "dovere", se si è perso qualcosa del proprio "essere". Se il sale volesse raddolcirsi, non serve più a nulla. Esiste un modo di entrare in contatto con il mondo che diventa, da parte del discepolo "mondanizzazione". Credendo forse di modernizzarsi e di dialogare, si perde il proprio sapore, la propria identità. Senza per questo essere apprezzati, ma anzi, finendo "calpestati dagli uomini". Il dialogo fa parte dell'identikit, anzi, del DNA del cristiano, ma il vero dialogo è sempre anche testimonianza. La luce non può restare nascosta, come una lucerna sotto un secchio soffoca. La testimionianza è difficile se la fede si riduce a fatto privato, come un hobby da coltivare nel proprio intimo, che inevitabilmente viene estromessa da tutti gli ambiti importanti della nostra vita.
L'umile e semplice testimonianza
"Risplenda la vostra luce davanti agli uomini": l'immagine finale ci mostra la testimonianza che ha in mente Gesù. Non manifestazioni chiassose, non la conquista della società, ma qualcosa di semplice e quotidiano, come una lampada che risplende, alimentata dall'interno. Essere se stessi, e lasciarlo trasparire. Non esibire, semplicemente non nascondere. Al termine del brano, c'è un colpo di coda inatteso: "vedano le vostre opere buone, e rendano gloria al Padre". E' la misura dell'autenticità del nostro agire. Non siamo chiamati a fare propaganda, ma a lasciar agire in noi l'amore del Padre, lasciare che sia reso visibile davanti agli uomini, perché essi rendano gloria a lui, non a noi.
Che cosa manca alla nostra testimonianza? Che cosa la impedisce? Quali ostacoli soffocano la luce divina in noi? E' per l'insensibilità degli uomini, o per la nostra insipidità?
Flash sulla I lettura
"Spezza il tuo pane con l'affamato...": la profezia propone un'attiva solidarietà con i bisognosi, che comprende un'effettiva presa di responsabilità. Non si invita ad una generica beneficienza, ma ad un "prendersi cura", a "farsi carico" di alcune concrete situazioni di bisogno
"La tua ferita si rimarginerà presto": è la ferita provocata dalla rottura dell'Alleanza, dall'infedeltà al volere di Dio. La trasgressione della Legge non è solo l'idolatria, peccato contro la fedeltà al Dio unico, ma anche il peccato contro la fraternità. Ciò che in quell'epoca si era dimenticato era che l'Alleanza comprendeva anche la creazione di una comunità nuova, una comunità di fratelli, legati da vincoli di solidarietà. Anche la nostra fede privatizzata, ridotta a "bene di consumo", finalizzata allo "stare bene con se stessi", "in pace con la nostra coscienza" rischia di andare nella stessa direzione.
Flash sulla II lettura
"... ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso". Il riferimento fondamentale a Gesù morto e risorto è il "sapore" del cristiano, di cui si parla nel Vangelo, e il fondamento della sua testimonianza. In ogni epoca si tratta di un evento e di un messaggio che dà scandalo, che appare difficilmente comprensibile, per chi cerca "sublimità di parola o di sapienza". All'epoca di Paolo, "sapienza" significava "discorso filosofico convincente"; nella nostra epoca la "sapienza" è identificata con l'efficienza tecnica, la capacità di produrre risultati tangibili in tempi brevi. La croce, che all'epoca di Paolo poteva apparire un assurdo, oggi non appare tecnicamente plausibile: i problemi dell'uomo e del mondo sembrano aver bisogno di una ben diversa soluzione.
"perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio": eppure, anche nella nostra epoca tecnologica, l'evento di Cristo, morto e risorto, può essere testimoniato come la vera risorsa dell'uomo. Ciò che manca all'uomo non è oggi la capacità tecnica, già aumentata a dismisura, e sempre in corso di perfezionamento, ma la capacità di servirsene per il bene. Non la sapienza per "fare", ma la sapienza per "donare". Quella appunto che è data a chi affida la sua vita al Cristo...
Testo di don Fulvio Bertellini
La luce della testimonianza
Gesù dice ai discepoli che sono sale della terra e luce del mondo. Siamo ancora all'inizio della predicazione evangelica, e senza dubbio i discepoli non possono vantare una esemplare condotta da "uomini delle beatitudini". E tuttavia Gesù insiste: "Se il sale perde il sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?". In questo interrogativo è nascosta una domanda di responsabilità. Gesù sembra dire: "Non ho altro che voi per l'annuncio del Vangelo", oppure: "Se il vostro comportamento è insipido e senza gusto, non ho altro rimedio per l'annuncio evangelico". È quel che accade se la lucerna accesa viene posta sotto il secchio (a volte, rovesciato, serviva anche da mensola). Anche in questo caso non c'è rimedio, si resta al buio. Tutto ciò non era vero solo allora, lo è altrettanto oggi.
La funzione di essere sale della terra e luce del mondo non deve essere mai disattesa. Ognuno di noi sa bene, di fronte a queste parole, di essere una povera persona. Davvero siamo poca cosa, rispetto al compito che ci viene assegnato e alla beatitudine che abbiamo ascoltato domenica scorsa. Com'è possibile essere sale e luce? Non siamo tutti al di sotto della sufficienza? Ma il Vangelo insiste: "Voi siete il sale della terra". È vero, non lo siamo da noi stessi, ma solo se siamo uniti al vero sale e alla vera luce, Gesù di Nazareth. La luce non viene dalle doti personali.
L'apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, ricorda di non essersi presentato in mezzo a loro con sublimità di parole: "Io venni in debolezza e con molto timore e trepidazione". Eppure, malgrado la debolezza, il timore e la trepidazione, difende l'onestà del suo ministero: "Ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi, se non Gesù Cristo e questi crocifisso". La debolezza dell'apostolo non oscura la luce dell'annuncio, non diminuisce la forza della predicazione e della testimonianza. Al contrario, ne è un pilastro, e ne dà la ragione: "Perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana ma sulla sapienza di Dio". In queste parole c'è un profondo senso di liberazione.
I discepoli di Gesù, a differenza di quel che avviene tra gli uomini, non sono condannati a nascondere davanti a Dio la loro debolezza e la loro miseria. Queste non attentano alla potenza di Dio, non la cancellano, semmai la esaltano, consapevoli che "abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi" (2 Cor 4, 7). Il primo a non vergognarsi della nostra debolezza è proprio il Signore; la sua luce non è smorzata dalle nostre tenebre. Non c'è alcun disprezzo per l'uomo da parte del Vangelo; non c'è alcuna antipatia da parte del Signore. Paolo aggiunge: "chi si vanta, si vanti nel Signore"; il nostro vanto non è mai in noi stessi. La grazia di Dio rifulge nella nostra debolezza; non ce ne possiamo appropriare, ci supera sempre e non ci abbandona. Aggiunge il Vangelo: "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, che vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli". È l'invito che il Signore fa a noi perché diventiamo operatori del Vangelo. E il profeta spiega cosa questo significa: "spezza il tuo pane con l'affamato, introduci in casa i senza tetto, vesti chi è nudo senza distogliere gli occhi dalla tua gente". È la carità, la luce del Signore. Essa è diretta soprattutto verso i poveri e i deboli, e nello stesso tempo non dimentica chi ci è vicino. Solo "allora – aggiunge il profeta – la tua luce sorgerà come l'aurora... allora brillerà fra le tenebre la tua luce".
Testo di mons. Vincenzo Paglia
Il cristiano è luce del mondo
Collocare la lucerna sotto un moggio, considerando gli usi e le abitudini ebraiche, corrispondeva per noi a coprirla con un grosso vaso ermeticamente chiuso, in modo da renderla inutile anche quando fosse accesa. Si tratta quindi di un'ipotetica azione insensata e ridicola, che nessuna persona di criterio e di sano raziocinio sarebbe mai disposto a compiere. Che il sale possa perdere il suo sapore è inverosimile e inammissibile, a meno che non si tratti (cosa non rara specialmente per l'epoca in cui si scrive) di sale misto a polvere di gesso, per il quale il primo potrebbe essere disperso e restare intatta la seconda: in tal caso il sale perderebbe di sapore semplicemente perché non sarebbe più presente; ma in tutti i modi, che il sale possa perdere la sua efficacia di esaltare il sapore dei cibi, è materialmente impossibile.
Quale sia l'accostamento delle due parabole suddette con la vita cristiana è riscontrabile dalla lettura dei medesimi racconti: il cristiano è "luce del mondo", perché partecipa della luce che illumina ogni uomo che è Cristo. Il battesimo, incorporandoci al Signore Gesù Cristo via, verità e vita, ci ha rivestiti della luce che illumina ogni uomo(Gv 1,9), la quale spiana il nostro cammino dissipando le tenebre dell'errore e del peccato. Tuttavia, come il padrone di casa non dovrebbe avere difficoltà a collocare una lucerna sul lampadario, così ciascuno di noi è tenuto ad apportare la luce alimentando il proprio lucerniere e collocandolo in modo da poter irradiare a tutti la medesima luce riflessa. Come il sale non può mai perdere il proprio sapore, così neppure noi dobbiamo diventare insipidi e insignificanti.
Il monito è insomma alla testimonianza della nostra appartenenza piena al Cristo, della gioia di vivere interamente radicati in lui e del fervore dello zelo missionario che ci rende cristiani effettivi.
Ciascuno di noi possiede delle risorse ed è beneficiario di talenti, doni, peculiarità specifiche, e soprattutto ciascuno è insignito della vocazione alla radicalità evangelica nella vita di santità e di perfezione sulle orme di Cristo; chi omette di considerare tali prerogative e benefici che gli appartengono, agisce come colui che appositamente colloca la lampada sotto il moggio, cioè smentisce se stesso, la propria identità davanti a Dio e arriva a banalizzarsi di fronte agli altri. Ma soprattutto viene meno alla sua vocazione e al senso reale della sua appartenenza a Cristo, contravvenendo alla missione che Egli stesso affida a tutti. Chi invece dice di dimorare in Cristo deve comportarsi come lui si è comportato (1Gv 2,6) e proprio questa è la rampa di lancio della testimonianza della luce di cui siamo un riflesso.
Isaia (I lettura) offre un'esortazione alla concretezza perché siffatta testimonianza sia verace, continua ed effettiva, indicando nella carità sincera e operosa la certezza di poter noi essere "luce del mondo" e testimoni del Signore: "dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri e i senza tetto, vestire chi è nudo", cioè uscire dalla mediocrità e optare per il coraggio apostolico di testimonianza attraverso opere concrete e riflessive di, espressive carità che scaturisce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (1 Tm 1, 5).
In tal modo si brillerà di luce riflessa il cui riverbero illustrerà quella che è la vera Luce, quella del Risorto che si fida ancora della nostra sensibilità sfruttando le nostre risorse per continuare nella Chiesa la sua opera di salvezza.
Luce e tenebre costituiscono un binomio di contrasto e di rivalità che viene superato insomma dal buon senso e dalla rettitudine dell'uomo stesso, quando prescinde dal proprio orgoglio e dalla presunzione, per fare di se stesso una lucerna capace di illuminare il mondo con una luce che non gli è propria ma della quale si fa riflesso, la luce di Cristo che illumina e salva.
Testo di padre Gian Franco Scarpitta