6 febbraio V Domenica del Tempo Ordinario: il sale e la luce, radici di vero futuro
News del 06/02/2011 Torna all'elenco delle news
Dio è luce: una delle più belle definizioni di Dio (1 Giovanni 1,5). Ma il Vangelo rilancia: anche voi siete luce. Una delle più belle definizioni dell'uomo.
E non dice: voi dovete essere, sforzatevi di diventare, ma voi siete già luce. La luce non è un dovere ma il frutto naturale in chi ha respirato Dio.
La Parola mi assicura che in qualche modo misterioso e grande, grande ed emozionante, noi tutti, con Dio in cuore, siamo luce da luce, proprio come proclamiamo di Gesù nella professione di fede: Dio da Dio, luce da luce.
Io non sono né luce né sale, lo so bene, per lunga esperienza. Eppure il Vangelo parla di me a me, e dice: Non fermarti alla superficie, al ruvido dell'argilla, cerca in profondità, verso la cella segreta del cuore; là, al centro di te, troverai una lucerna accesa, una manciata di sale. Per pura grazia. Non un vanto, ma una responsabilità.
Voi siete la luce, non io o tu, ma voi. Quando un io e un tu s'incontrano generando un noi, quando due sulla terra si amano, nel noi della famiglia dove ci si vuol bene, nella comunità accogliente, nel gruppo solidale è conservato senso e sale del vivere.
Come mettere la lampada sul candelabro? Isaia suggerisce: Spezza il tuo pane, introduci in casa lo straniero, vesti chi è nudo, non distogliere gli occhi dalla tua gente... Allora la tua luce sorgerà come l'aurora (Isaia 58,10). Tutto un incalzare di azioni: non restare curvo sulle tue storie e sulle tue sconfitte, ma occupati della città e della tua gente, illumina altri e ti illuminerai, guarisci altri e guarirà la tua vita.
Voi siete il sale, «che ascende dalla massa del mare rispondendo al luminoso appello del sole. Allo stesso modo il discepolo ascende, rispondendo all'attrazione dell'infinita luce divina» ( Vannucci). Ma poi discende sulla mensa, perché se resta chiuso in sé non serve a niente: deve sciogliersi nel cibo, deve donarsi.
Il sale dà sapore: Io non ho voluto sapere nient'altro che Cristo crocifisso (1 Corinzi 2 ,1 -5 ). «Sapere» è molto più che «conoscere»: è avere il sapore di Cristo. E accade quando Cristo, come sale, è disciolto dentro di me; quando, come pane, penetra in tutte le fibre della vita e diventa mia parola, mio gesto, mio cuore.
Il sale conserva. Gesù non dice «voi siete il miele del mondo», un generico buonismo che rende tutto accettabile, ma il sale, qualcosa che è una forza, un istinto di vita che penetra le scelte, si oppone al degrado delle cose, e rilancia ciò che merita futuro.
Testo di padre Ermes Ronchi
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini
Nella V Domenica del Tempo Ordinario continuiamo la lettura del "discorso della montagna": il piccolo brano che la Liturgia ci presenta, Matt.5,13-16, segue immediatamente la proclamazione delle Beatitudini, e completando l'introduzione al discorso, delinea con precisione l'identità dei discepoli di Gesù. La preoccupazione di Matteo, all'inizio del suo Vangelo, è proprio quella di esprimere con chiarezza l'identità dei seguaci di Gesù in rapporto all'ebraismo, nel momento nel quale la comunità cristiana si sta immergendo nel grande mondo: essa non rinnega la sua radice ebraica, ma vedendone in Gesù il "compimento", si sente legittimata all'apertura universale.
E' evidente quanto sia importante questa pagina per noi, oggi, che sentiamo l'urgenza dell'annuncio cristiano al nostro mondo globalizzato, e che, proprio per questo sentiamo la necessità di chiarire prima di tutto a noi stessi, in che cosa consista l'identità cristiana.
Il Vangelo di Matteo si chiude con l'invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli convocati "sul monte che egli aveva loro indicato": "Andate e fate discepoli tutti i popoli…Ed ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo" (Matt.28,19). La Chiesa oggi più che mai sente l'urgenza di rispondere all'invito del suo Signore, è cosciente del fatto che la dimensione missionaria è essenziale per la propria esistenza, ma proprio per questo sente di dover rivivere l'esperienza degli inizi: solo con una chiara coscienza della propria identità può presentarsi al mondo intero come portatrice del messaggio di salvezza che realizzi il bisogno più profondo dell'uomo moderno.
E del cammino di ricerca della propria identità che la Chiesa oggi è chiamata a percorrere, fa parte la presa di coscienza di quanto l'esperienza cristiana sia radicata nell'esperienza del popolo ebraico scelto da Dio per essere segno e strumento della sua alleanza con il mondo intero e di quanto la novità di Gesù e quindi la novità cristiana non si possa comprendere se non come il "compimento" della Torah di Israele: il brano di Matteo che la Liturgia ci fa leggere in questa domenica è particolarmente illuminante per la Chiesa, oggi.
Il discorso della montagna è rivolto a coloro che "avendo lasciato tutto, hanno seguito Gesù", hanno trovato nell'incontro con lui, nella relazione con lui, il senso pieno della loro esistenza. "Seguire Gesù" richiede un atto di decisione libera che genera una vita nuova nella quale la relazione con lui si rinnova continuamente producendo frutti coerenti, opere e atti concreti. Gesù è il Figlio che vive totalmente della vita che il Padre gli dona: solo la sua esperienza filiale gli dà il senso pieno della sua esistenza. Egli può essere il povero, può piangere, essere mite, misericordioso, perché sperimenta la consolazione del Padre: chi lascia tutto, per seguire lui, non segue semplicemente un maestro di morale, ma entra con lui nell'esperienza dell'amore del Padre. Chi lo segue e gusta con lui l'esperienza di Figlio, può percepire la verità nuova della vita beata di cui egli apre gli orizzonti. E cominciamo a comprendere in che cosa consista l'identità cristiana: non si tratta di essere più impegnati degli altri per una vita morale più alta, si tratta di una esperienza di relazione con Colui che dà un senso nuovo alla vita e rende capace di viverla. Senza questa esperienza, l'uomo rimane nella sua deludente velleitaria fragilità che genera radicale infelicità sotto gli aspetti più diversi: a chi ha il coraggio di lasciare tutto e di seguirlo, Gesù offre la possibilità di gustare ciò che senza di lui, solo con le proprie forze rischia di cercare invano.
I discepoli di Gesù fanno della relazione con lui la condizione costante della loro vita, non dimenticano la sua parola: "uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli" (Matt.23,8) e l'invito finale: "fate discepoli tutti i popoli". Ai suoi discepoli, che rimangono costantemente tali, che gustano la relazione con lui e attraverso lui, con il Padre e con i fratelli, Gesù rivolge le parole che oggi leggiamo: "Voi siete il sale della terra…voi siete la luce del mondo…" Il sale è indispensabile per l'uomo: serve ad evitare la putrefazione, a condire, a dare sapore, è simbolo della sapienza, di ciò che dà senso all'esistenza. La luce libera dalla notte, illumina il cammino, rende visibile ciò che senza la luce resterebbe nascosto.
Continua così e si precisa la descrizione dell'identità cristiana. E' Gesù che parla: l'identità cristiana non è autoreferenziale. Non sono i discepoli che dicono: "noi siamo il sale della terra". L'identità cristiana dipende dalla relazione continuamente mantenuta con lui, che chiama, che chiede di abbandonare tutto per poter ricevere tutto da lui. Il sale della terra è lui, la luce del mondo è lui: i discepoli lo sono solo rimanendo con lui. "Voi siete il sale della terra…" L'aspetto più caratteristico dell'identità cristiana sta nel fatto che Gesù non dice: voi "dovete" essere ma voi "siete". Il rischio che noi corriamo più frequentemente è proprio questo slittare dalla proclamazione che Gesù fa di una realtà che ci è donata, ad un imperativo affidato a ciò che noi facciamo: questo genera in noi l'affanno delle nostre opere con cui pensiamo di cambiare il mondo, di creare il mondo migliore, di render gloria a Dio, mentre subdolamente cerchiamo soltanto la nostra gloria.
"Voi siete il sale della terra… la luce del mondo": Gesù vuole che noi rimaniamo sempre fratelli, discepoli dell'unico Maestro, figli dell'unico Padre, condotti dall'unica Guida. Gesù vuole che "noi", la sua Chiesa rimaniamo sempre un "voi" a cui Lui parla. L'essere sale e luce non è l'esito dei nostri sforzi, dei nostri progetti, misurabile dai risultati che noi ci siamo prefissi di ottenere, ma è la condizione nuova della nostra esistenza quando ci siamo lasciati ricreare dalla Parola creatrice di Gesù, operante in noi. Rimanere discepoli di Gesù significa sperimentare con lui la tenerezza infinita del Padre che ci rende partecipi della vita che egli comunica al Figlio, gustare l'amore senza limiti del Figlio che per noi ha attraversato l'oscurità della morte, sperimentare la grazia sovrabbondante dello Spirito che muove il profondo del nostro cuore e significa poter amare il mondo come Gesù lo ama solo perché egli ha trasformato il nostro cuore nel suo cuore di Figlio.
L'identità cristiana è tutta ricevuta dal Cristo e diventa tanto più vera quanto più sa spogliarsi di se stessa per essere piena di Lui. Il sale dà sapore sciogliendosi e la luce deve illuminare la casa: l'identità cristiana è quella di Cristo che deve morire per generare nuova vita. I discepoli di Cristo sono chiamati a seguire lui che come il seme muore per generare vita nuova.
La comunità di Matteo che sta cercando la propria identità per immergersi nel grande mondo sa che la trova soltanto non con il progetto di creare un altro mondo, ma, vivendo con Cristo e di Cristo, entrando nel cuore del mondo, della storia sempre nuova, morendo con lui, per svelare al mondo che solo il suo amore dà sapore e luce ad una realtà che da sola, rischia di continuare a vagare nella tenebra.
Testo di mons. Gianfranco Poma
Nesso tra le letture
Nelle letture di oggi l'enfasi è posta sul modo di vivere la fede cristiana nella nostra vita. Nel Vangelo di san Matteo, siamo chiamati ad essere sale e luce per gli altri, per il mondo. La nostra vita, quel che facciamo ed il modo in cui lo facciamo, dovrebbe essere fonte di luce e di significato per gli altri. Le nostre azioni dovrebbero essere per gli altri un segno visibile della presenza di Dio nel mondo. Entrambe le successive scritture di Isaia e il Salmo 111 sottolineano cos'è che rende autentica e gradita la nostra adorazione di Dio; la nostra generosità, la nostra sollecitudine per i poveri, i senzatetto e gli affamati.
San Paolo affronta un tema lievemente diverso. Egli sostiene che è il cristianesimo non è soltanto una dottrina o una teoria circa la vita, ma la persona di Gesù Cristo ed il potere dello Spirito Santo nella vita delle persone. C'è, perciò, un nesso tra il potere di Dio e le nostre opere di bene.
La persona di Gesù Cristo. Si è detto molte volte che il cristianesimo è imperniato sull'incontro personale con Cristo. Questo era vero in modo visibile per gli apostoli e per i primi discepoli, ed è vero anche per noi, in modo spirituale. Siamo in grado di sperimentare il contatto personale con Gesù. È questa esperienza personale che cambia la nostra vita. Solo così, infatti, possiamo vivere una vita cristiana. Riferimenti nel Catechismo: i paragrafi 422 -451 si riferiscono al cuore della catechesi, che è il riconoscimento di Gesù Cristo come Figlio di Dio e come Signore.
Il sacrificio gradito. Nel giudaismo e nel cristianesimo è notevole il riguardo per la giustizia verso gli altri, specialmente il povero ed il bisognoso. Non è solo nella preghiera e nel culto, ma anche attraverso il servizio agli altri che adempiamo i nostri doveri religiosi verso Dio. Solamente servendo gli altri saremo ascoltati e otterremo risposta da Dio. Riferimenti nel Catechismo: i paragrafi 2443-2449 si riferiscono all'amore per i poveri e le opere di misericordia.
Sale e luce. È nella natura della fede cristiana che i cristiani siano strumenti per la conversione degli altri, così che questi possano "rendere lode al vostro Padre che è nei cieli" (v. 16). Dobbiamo riconoscere la nostra responsabilità verso gli altri e la Provvidenza che unisce la nostra vita alla salvezza degli altri. Riferimenti nel Catechismo: i paragrafi 863-865 trattano della missione apostolica della Chiesa.
Una personale esperienza di Gesù Cristo. È facile ridurre la nostra fede cristiana ad un assortimento di tematiche o ad un'identità sociale semplicemente esteriore. Gli altri forse vedono e giudicano il cristiano in questo modo. Dobbiamo ritornare alla fondamentale, personale esperienza di Gesù Cristo, per poter dire di conoscere Gesù, quale nostro Signore e nostro Dio. Questo è andare al centro del cristianesimo. Come ci si arriva? Riservare del tempo per entrare in contatto con Gesù nella preghiera, allenandosi a valutare la propria vita e i propri problemi alla luce della verità cristiana, decidendo di abbandonare quelle che sappiamo essere piste false, cercando il consiglio di una guida spirituale. Oggi. ´Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio invisibileª (Redemptoris Missio, n.18).
Testimoni. I cristiani sono necessariamente testimoni di Cristo. La nostra fede non è solo un'esperienza interiore della persona di Gesù Cristo, ma è nella natura della nostra fede vivere il cristianesimo in modo pubblico. È abitudine diffusa oggi considerare le religioni come partiti che dividono e, quindi, che è meglio limitarne l'espressione al contesto privato. È vero che la credenza religiosa può essere distorta e usata per servire fini ideologici. Questo è accaduto nella storia ed accade oggigiorno. È anche vero che il rifiuto, implicito o esplicito, della libertà di espressione religiosa mette in pericolo la vita sociale. Il vuoto lasciato dalla fede, viene subito riempito da altri "assoluti". "Quando la religione riconoscibile viene esclusa, il vuoto viene colmato dal surrogato religioso, dalla religione spacciata nell'ambito pubblico sotto altri nomi" (cfr. Richard J. Neuhaus). Come cristiani, abbiamo il compito di mostrare che l'autentica convinzione religiosa costruisce la società e favorisce la comunione.
Un modo cristiano di vivere. Uno degli effetti dell'incontro personale con Gesù è il ripensamento di tutto ciò che facciamo nella nostra vita. Inevitabilmente, la nostra vita assume un significato più alto. Ciò richiede che pensiamo ad ogni cosa che diciamo e facciamo, per riflettere nella nostra quotidianità quel che crediamo nei nostri cuori. Occorre uno stile di vita cristiano, che rispecchi un senso di povertà. La dedizione amorevole della nostra vita agli altri, l'attenta apertura alla Sapienza di Dio e alla Provvidenza, si dovrebbero riflettere tanto nelle decisioni fondamentali della nostra vita come pure nei nostri impegni quotidiani. Ciò richiede che esaminiamo accuratamente il modo in cui stiamo vivendo, le nostre motivazioni e i nostri interessi fondamentali. Dobbiamo rigettare l'irriflessione e l'avventatezza, così come i valori e i modelli terreni che la società ci impone. Dobbiamo "rivestirci di Cristo" nel modo in cui ci vestiamo, nel come e cosa guardiamo alla televisione, nel tempo appropriato per la preghiera, nel modo di parlare, dando un significato religioso ai nostri pasti, al nostro riposo e al nostro lavoro. Occorre che viviamo un'identità cristiana.
Servire il sofferente. È specialmente necessario che il cristiano sia sollecito nel servizio al prossimo, in particolar modo di coloro (e sono molti) che soffrono. Un cristiano è chiamato a rispondere con amore effettivo alle sofferenze degli altri. Forse pensiamo alla carità cristiana come a un qualcosa di fortuito, rispetto alle preoccupazioni principali della nostra vita. Come cristiani, infatti, siamo chiamati a fare del benessere temporale ed eterno del prossimo lo scopo della nostra vita. Ciò richiede che rivalutiamo le nostre attività così che, pure nel mezzo delle nostre necessarie preoccupazioni di ogni giorno, serviamo gli altri in maniera concreta. Ciò significa scoprire uno scopo ulteriore nel nostro lavoro e nelle nostre ambizioni, in modo che le nostre attività quotidiane servano ad uno scopo più alto. Ciò può voler dire un completo, seppur forse graduale, cambiamento di criterio e di attività.
Testo di Totustuus (Commento Matteo 5,13-16)
Liturgia della Parola della V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 6 febbraio 2011