Meditazioni sulle Beatitudini nel Vangelo di Matteo 5, 1-12

News del 28/01/2011 Torna all'elenco delle news

La parola di Gesù sulle Beatitudini che Matteo ha attinto dalle sue fonti era condensata in brevi e isolate frasi e l’evangelista l’ha inserita in un discorso di più ampio respiro; è quello che gli studiosi della Bibbia chiamano “discorso della montagna” (capitoli 5-7). Tale discorso viene considerato come lo statuto o la magna charta che Gesù ha affidato alla sua comunità come parola normativa e vincolante per definirsi cristiana.

I vari temi della parola di Gesù contenuti in questo lungo discorso non sono una somma o agglomerato di esortazioni, ma piuttosto indicano con chiarezza e radicalità quale deve essere il nuovo atteggiamento da tenere verso Dio, verso se stessi e verso il fratello. Alcune espressioni di tale insegnamento di Gesù possono apparire esagerate, ma sono utilizzate per dare un’immagine più viva della realtà e quindi realistiche nel contenuto, anche se non nella forma letteraria: per esempio ai vv.29-30: «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna». Tale modo di esprimersi sta a indicare l’effetto che si vuole creare sul lettore, il quale deve intendere rettamente le parole di Gesù per non travisarne il senso.

La nostra attenzione per esigenze liturgiche si sofferma sulla prima parte del “discorso della montagna”, quella appunto che s’apre con la proclamazione delle beatitudini (Mt 5,1-12).

Alcuni particolari:

Matteo introduce il lettore ad ascoltare le beatitudini pronunciate da Gesù con una ricca concentrazione di particolari. Innanzitutto viene indicato il luogo nel quale Gesù pronuncia il suo discorso: “Gesù salì sulla montagna” (5,1). Per tale motivo gli esegeti lo definiscono “discorso della montagna” a differenza di Luca che lo inserisce nel contesto di un luogo pianeggiante (Lc 6,20-26). L’indicazione geografica della “montagna” potrebbe alludere velatamente ad un episodio dell’AT molto simile al nostro: è quando Mosé promulga il decalogo sulla montagna del Sinai. Non si esclude che Matteo intenda presentare al lettore la figura di Gesù, nuovo Mosé, che promulga la legge nuova.

Un altro particolare che ci colpisce è la posizione fisica con cui Gesù pronunzia le sue parole: “e, messosi a sedere”. Tale atteggiamento conferisce alla sua persona una nota di autorità nella mentre legifera. Lo circondano i discepoli e le “folle”: tale particolare intende mostrare che Gesù nel pronunziare tali parole le ha rivolte a tutti e che sono da considerarsi attuabili per ogni ascoltatore. Và notato che il discorso di Gesù non presenta degli atteggiamenti di vita impossibili, né che essi siano diretti a un gruppo di persone speciali o particolari, né mirano a fondare un’etica esclusivamente dall’indirizzo interiore. Le esigenze propositive di Gesù sono concrete, impegnative e decisamente radicali.

C’è qualcuno che ha cosi stigmatizzato il discorso di Gesù: «Per me, è il testo più importante della storia umana. S’indirizza a tutti, credenti e non, e rimane dopo venti secoli, l’unica luce che brilla ancora nelle tenebre di violenza, di paura, di solitudine in cui è stato gettato l’Occidente dal proprio orgoglio ed egoismo» (Gilbert Cesbron).

Il termine “beati” (in greco makarioi) nel nostro contesto non esprime un linguaggio “piano”, ma un vero e proprio grido di felicità, diffusissimo nel mondo della bibbia. Nell’AT, per esempio, vengono definite persone “felici” coloro che vivono le indicazioni della Sapienza (Sir 25,7-10). L’orante dei Salmi definisce “felice” chi “teme”, più precisamente chi ama, il Signore, esprimendolo nell’osservanza delle indicazioni contenute nella parola di Dio (Sal 1,1; 128,1).

L’originalità di Matteo consiste nell’aggiunta di una frase secondaria che specifica ogni beatitudine: ad esempio, l’affermazione principale “beati i poveri in spirito” è illustrata da una frase aggiunta “perché di essi è il regno dei cieli”. Un’altra differenza rispetto all’AT: quella di Gesù annunciano una felicità che salva nel presente e senza limitazioni. Inoltre, per Gesù, tutti possono accedere alla felicità, a condizione che si stia uniti a Lui.

Le prime tre beatitudini:

Il primo grido riguarda i poveri: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Il lettore ne resta scioccato: come è possibile che i poveri possano essere felici? Il povero nella Bibbia è colui che si svuota di sé e soprattutto rinuncia alla presunzione di costruire il suo presente e futuro in modo autonomo per lasciare, invece, più spazio e attenzione al progetto di Dio e alla sua Parola. Il povero, sempre in senso biblico, non è un uomo chiuso in se stesso, miserabile, rinunciatario, ma nutre apertura a Dio e agli altri. Dio rappresenta tutta la sua ricchezza. Potremmo dire con S.Teresa d’Avila: felici sono coloro che fanno esperienza del “Dio solo basta!”, nel senso che sono ricchi di Dio.

Un grande autore spirituale del nostro tempo ha così descritto il senso vero di povertà: «Finché l’uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell’atto che vivi, la Presenza pura di dio che è l’Eternità» (Divo Barsotti).
È la prima beatitudine, non solo perché dà inizio alla serie, ma perché sembra condensarle nella varie specificità.

 “Beati gli afflitti perché saranno consolati”. Si può essere afflitti per un grande dolore o sofferenza. Tale stato d’animo sottolinea che si tratta di una situazione grave anche se non vengono indicati i motivi per identificarne la causa. Volendo identificare nell’oggi l’identità di questi “afflitti” si potrebbe pensare a tutti quei cristiani che hanno a cuore le istanze del regno e soffrono per tante negatività presenti nella Chiesa; invece, di attendere alla santità, la chiesa presenta divisioni e lacerazioni. Ma possono essere anche coloro che sono afflitti per i loro peccati e inconsistenze e che, in qualche modo, rallentano il cammino della conversione. A queste persone solo Dio può portare la novità della “consolazione”.

“Beati quelli che sono miti, perché erediteranno la terra”. La terza beatitudine riguarda la mitezza. Un atteggiamento, oggi, poco popolare. Anzi per molti ha una connotazione negativa e viene scambiata per debolezza o per quella imperturbabilità di chi sa controllare per calcolo la propria emotività. Qual è il significato del termine “miti” nella Bibbia? I miti vengono ricordati come persone che godono di una grande pace (Sal 37,10), ritenute felici, benedette, amate da Dio. E nello stesso tempo vengono contrapposte ai malvagi, agli empi, ai peccatori. Quindi l’AT presenta una ricchezza di significati che non ci permettono una definizione univoca.
Nel NT il primo testo che ci viene incontro è Mt 11,29: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. Un secondo è in Mt 21,5, Matteo nel riportare l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, cita la profezia di Zaccaria 2,9: “Ecco il tuo servo viene a te mite”. Davvero, quello di Matteo, potrebbe essere definito il vangelo della mitezza.
Anche Paolo ricorda la mitezza come un atteggiamento specifico dell’essere cristiano. In 2 Corinti 10,1 esorta i credenti “per la benignità e la mitezza di Cristo”. In Galati 5,22 la mitezza è considerata un frutto dello Spirito Santo nel cuore dei credenti e consiste nell’essere mansueti, moderati, lenti nel punire, dolci, pazienti verso gli altri. E ancora in Efesini 4,32 e Colossesi 3,12 la mitezza è un comportamento che deriva dall’essere cristiani ed è un segno che caratterizza l’uomo nuovo in Cristo.

E infine, un’indicazione eloquente ci viene dalla 1 Pietro 3,3-4: “Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati in collane d’oro, sfoggio di vestiti -, cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace ecco ciò che è prezioso davanti a Dio”.
Nel discorso di Gesù che significato ha il termine “miti”? Davvero illuminante è la definizione dell’uomo mite offerta dal Cardinale Carlo Maria Martini: “L’uomo mite secondo le beatitudini è colui che, malgrado l’ardore dei suoi sentimenti, rimane duttile e sciolto, non possessivo, internamente libero, sempre sommamente rispettoso del mistero della libertà, imitatore in questo, di Dio che opera tutto nel sommo rispetto per l’uomo, e muove l’uomo all’obbedienza e all’amore senza mai usargli violenza. La mitezza si oppone così a ogni forma di prepotenza materiale e morale, è vittoria della pace sulla guerra, del dialogo sulla sopraffazione”.
A questa sapiente interpretazione aggiungiamo quella di un altro illustre esegeta: “La mitezza di cui parla la beatitudine non è altro che quell’aspetto dell’umiltà che si manifesta nell’affabilità messa in atto nei rapporti con il prossimo. Tale mitezza trova la sua illustrazione e il suo perfetto modello nella persona di Gesù, mite ed umile di cuore. Infondo tale mitezza ci appare come una forma di carità, paziente e delicatamente attenta nei riguardi altrui” (Jacques Dupont).

per meditare:
a) So accettare quei piccoli segni di povertà che possono riguardarmi? Ad esempio la povertà della salute, piccole indisposizioni? Ho pretese esorbitanti?
b) So accettare qualche aspetto della mia povertà e fragilità?
c) So pregare come un povero, come uno che chiede con umiltà la grazia di Dio, il suo perdono, la sua misericordia?
d) Ispirato dal messaggio di Gesù sulla mitezza so rinunciare alla violenza, alla vedetta, allo spirito vendicativo?
e) So coltivare, in famigli e sul posto di lavoro, uno spirito di dolcezza di mitezza e di pace?
f) Rispondo con il male alle piccole malignità, alle insinuazioni, alle allusioni offensive?
g) So essere attento ai più deboli, che sono incapaci di difendersi? Sono paziente con gli anziani? Accogliente verso gli stranieri soli, i quali spesso sono sfruttati sul lavoro?