Le beatitudini: il segreto della FelicitÃ
News del 28/01/2011 Torna all'elenco delle news
Quelle di Gesù sono le risposte che l'uomo, nel profondo del suo essere, cerca, quando si fa condurre per mano dalla sete di verità e di felicità.
Sono parole, quelle del Maestro, simili ad un eterno arcobaleno, che non sai se parta dalla terra o dal cielo, ma sai che li unisce, infondendo serenità. Ben diverso dai 'fuochi d'artificio' che bucano per un istante il cielo con una luce abbagliante, per poi lasciarti subito e nuovamente nel buio delle illusioni.
Si è scritto tanto sulle Beatitudini, che Gesù lasciò come 'codice' infallibile della felicità e santità, e come 'sentiero' dei passi di vita di chi crede e anche.... se ha buona volontà, di chi dice di non credere!
L'uomo è plasmato da Chi, per sua natura, è Beato: Dio. Lui è tutto e lo è sommamente: la più grande ed inimmaginabile ricchezza di cuore che si possa immaginare; l'Amore più grande che si possa ricevere; la Dolcezza e la Pace e la Misericordia, che tutti vorremmo avvolgesse i passi della nostra vita. Non può quindi l'uomo non sentire come 'suo', il desiderio infinito di beatitudine.
Ecco perché il profeta Sofonìa dice:
"Cercate il Signore voi tutti poveri della terra, che seguite i Suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l'umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore". (Sof. 2,3)
Difficile commentare o esprimere tutta la bellezza delle Beatitudini, che sono il segreto della gioia, qui, ora. Per questo lascio la parola a Paolo VI, vero maestro di santità:
"Giorno benedetto è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Ancora prima di considerarne il senso, la voce che le ha proclamate ci sorprende, piena di forza e di poesia: è la voce del Maestro, che per noi le ha formulate e che ci appare nella sicurezza e nella maestà, semplice e sovrana, di chi sa parlare al mondo e guidare i destini dell'umanità.
Gesù tiene cattedra sulla montagna: lo circondano i discepoli, futuri apostoli e docenti della terra; poi a circoli sempre più larghi nello spazio e nel tempo, uditori o no, gli uomini tutti: ultimi, oggi, noi stessi.
É Cristo che annuncia il suo programma e condensa in sentenze limpide e scultoree tutto il Vangelo.
Il Regno della terra e il Regno del cielo, hanno nelle beatitudini il loro codice iniziale e finale. Ascoltiamo la fine e austera sequenza:
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli". (Mt. 5, 1-12)
Chi non ha ascoltato le beatitudini – continua Paolo VI – non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo.
In altre parole, Cristo ha esaltato nelle beatitudini non tanto delle misere condizioni umane, quasi queste fossero fine a se stesse, ma piuttosto ha predicato delle virtù magnifiche, che dalle misere condizioni umane prendono il nome e che mediante quelle possono fare buono e grande e pio l'uomo pellegrino.
E perciò ha fatto scaturire dal suolo arido e sterile delle nostre deficienze e delle nostre sofferenze, stupende energie morali e spirituali; ha portato a termine la scoperta che i più alti spiriti umani avevano intuito, quella del distacco liberatore dai beni della terra, quella della nobiltà sacra e misteriosa del dolore, quella della inestimabile grandezza dei poveri e dei perseguitati, quella dell'eroismo di chi dà la vita per la giustizia e la verità, quella dell'affermazione trionfante che esistono valori, quelli del Regno di Dio, per cui la vita può essere spesa senza timore.
Chi ha compreso questa difficile lezione e l'ha applicata alla propria vita è santo: è il beato, il perfetto. Resta che la lezione è difficile. La perfezione del Vangelo ha queste due facce, una di rinuncia e di penitenza, qui, e una di pienezza e di gioia, là. La parola di Gesù è una spada a due tagli: ferisce e guarisce, esige e regala, addolora e consola.... Purtroppo il mondo che ci circonda e che pare stia voltando le spalle a Cristo, la dimentica, la deride, facendo della felicità presente (ma possiamo chiamare 'felicità' quella momentanea soddisfazione che a volte cerchiamo tanto?) lo scopo prevalente di ogni umana fatica, mentre gli stessi credenti, partiti per portare un ordine cristiano alla nostra società, talora, sembra che non abbiano altre promesse da fare che quelle di un benessere materiale, legittimo sì, e doveroso, ma insufficiente a fare buona e felice l'umanità, e non sanno offrire agli uomini del nostro tempo, le più alte e più vere promesse, quelle dei beni morali, dei beni spirituali, dei beni religiosi.
E allora ricordare e meditare le beatitudini, per capire che qui è l'umanesimo vero, qui il cristianesimo autentico, qui la beatitudine vera."
Che importavano a S. Francesco d'Assisi le ricchezze del mondo, una volta che si era fatto possedere interamente dall'amore di Dio? In lui la povertà diventò totale libertà e piena accoglienza della gioia che solo Cristo sa donare. E fa esplodere la sua irrefrenabile gioia nel cantico delle creature, che sembra davvero un'aggiunta alle beatitudini di Gesù.
E grazie a Dio, ancora oggi, ci sono cristiani che le beatitudini le vivono pienamente, da quella della povertà in spirito per farsi dono a chi davvero e povero. Quanti meravigliosi esempi quotidiani e testimonianze delle beatitudini. Quella cara e semplice donna, che venne una sera a donarmi tutto quello che aveva, perché affermava che 'possedere senza essere aperti alla carità è brutto egoismo'.
E nel privarsi di tutto si sentiva davvero beata.
Ma come dimenticare che la povertà di un tempo, spesso anche oggi non lontana da noi, si viveva e vive in tante famiglie: una povertà dignitosa che quasi automaticamente attirava e può attirare a sé tutte le altre beatitudini.
E come non rimanere stupiti dei sacrifici dei martiri - di ieri e di oggi, in tante parti del mondo - che a volte cantavano mentre erano torturati:? O del coraggio degli operatori di pace che hanno dato e danno la vita per portare dignità uguale per tutti?
Forse fa impressione l'arroganza di chi mostra il culto del benessere, senza che nemmeno lo sfiori il dubbio che tante volte il suo 'star bene' è un furto che crea poveri, non di spirito, ma di pane e di vita.... Sono comunque 'i poveri', tutti i poveri, gli umili, coloro nei quali Cristo si è identificato... Se vogliamo conoscere la sospirata felicità, che davanti a Dio diventa santità, occorre almeno `sfiorarle', le beatitudini, per capire che sono la sola via alla vera nostra realizzazione e cosi sapremo voltare le spalle alle 'beatitudini bugiarde del nostro tempo'.
Ne avremo la forza, con l'aiuto di Dio. Ne vale la pena per non diventare schiavi del mondo e delle sue mode.
Scriveva don Tonino Bello:
"Noi viviamo in un mondo che purtroppo attira con i suoi fascini, inganna con le sue lusinghe. Secondo gli ideali del mondo, ogni attività dovrebbe essere in funzione dei divertimenti, della fortuna, nella ricerca e nel conseguimento del successo in tutte le varie attribuzioni della esistenza terrena. Intenti solo a questa caduca finalità, non si fa che tenere gli occhi fissi sulla terra e non si pensa a guardare il cielo. Allorché invece, si vive secondo la fede, quando al mattino al primo suono della campana dell'Angelus, si innalza il pensiero a Dio, e si invoca il patrocinio della Madre Sua, poi in tutte le altre evenienze della giornata, si è animati da quella ispirazione, allora veramente si può dire che la vita è conosciuta nella sua 'beatitudine'."
Testo di mons. Antonio Riboldi
Beati i poveri in spirito
Gesù salì sulla montagna. Dall'alto si può vedere la vita con un orizzonte largo, quello che spesso nella vita ordinaria perdiamo. Gesù parla guardando l'orizzonte della vita; non vuole sia piccolo e limitato a noi stessi. Quante volte infatti riduciamo tutto al nostro piccolo orizzonte: esiste quello che vedo e tocco io, perché vedo ed esisto solo io, le mie sensazioni, quello che ho, che vorrei, che mi è successo. L'orizzonte si restringe e si riempie di paure, di rancori, di inimicizia. Non dobbiamo tuttavia andare molto lontano per trovare il monte ove Gesù parla per aiutarci a vedere in maniera più ampia e profonda la nostra vita ed il futuro. La Liturgia che celebriamo è il monte santo dove ascoltiamo il Signore che parla. È il pulpito della sua parola e l'altare della sua mensa verso i quali tutti dobbiamo alzare gli occhi e soprattutto il cuore. "Beati", ossia "felici".
Gesù nel suo primo discorso parla di felicità; non fa un elenco di doveri, di opere da compiere, di condizioni da rispettare, di regole da osservare. Parla di come essere felici, ossia contenti e in pace, sazi e con il cuore risolto, senza rimorsi o ombre; spiega come essere pieni di amore per gli altri. Gesù sa che in ognuno di noi è nascosta una domanda di felicità. Gli uomini non la considerano per gli altri, perché pensano solo alla propria felicità e così poco la cercano e la trovano negli altri. Ma Gesù prende sul serio questa domanda di felicità di ciascuno, che magari si esprime in modi anche complicati, silenziosi, contraddittori. Non disprezza la ricerca di una vita piena dove nessuno porti via quello cui vogliamo bene. Gesù aveva davanti agli occhi ormai da più giorni quella folla di persone che lo seguivano; possiamo immaginarlo mentre le interroga e le ascolta. Ne ha grande compassione. Ed è proprio da questo sentimento che nasce questa pagina evangelica. Vedendo quella gente stanca e sfinita sale sul monte, Gesù inizia a parlare della felicità.
Chi è felice? Chi è davvero beato? Il profeta di Nazareth vuole proporre la sua idea di felicità e di beatitudine. Già i salmi avevano abituato i credenti di Israele al senso della beatitudine: "Beato l'uomo che spera nel Signore, beato l'uomo che ha cura del debole, beato l'uomo che confida nel Signore". Quest'uomo può dirsi felice. Gesù continua in questa linea e dice beati gli uomini e le donne poveri di spirito (e non vuol dire: ricchi di fatto, ma poveri spiritualmente), e poi beati i misericordiosi, gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i puri di cuore, i perseguitati a causa della giustizia ed anche coloro che sono insultati e perseguitati a causa del suo nome. Parole così non le avevano mai udite quei discepoli. E a noi che le ascoltiamo oggi paiono molto lontane, da noi e dal nostro mondo. Sono davvero parole irreali. Si, potremmo anche dire che sono belle, ma certamente impossibili. Eppure, non è così, per Gesù. Egli vuole per noi una felicità vera, piena, robusta, che resiste agli sbalzi di umore e che non soggiace ai ritmi della moda o delle esigenze dei consumi. In verità, quel che a noi sta più a cuore è vivere un po' meglio, un po' più tranquilli. E nulla più. Non ci va di essere "beati" davvero. La beatitudine perciò è diventata una parola estranea, troppo piena, eccessiva; è una parola così forte e così carica da essere troppo diversa dalle nostre soddisfazioni spesso insignificanti.
Beati i poveri di spirito, quelli che non coltivano un'idea alta di sé e non nascondono la loro debolezza; felici i misericordiosi, che danno senza calcolo; beati gli afflitti che sanno piangere con chi piange e non scappano davanti al male; beati i miti che non rispondono al male con il male ed hanno un cuore disarmato e paziente; beati gli affamati di giustizia che non accettano lo scandalo del male; beati i puri di cuore, ossia coloro che sono senza malizia e sospetti; e beati anche i perseguitati a causa della giustizia, come pure quelli che sono insultati e perseguitati a causa del suo nome. Queste parole di Gesù non riguardano il futuro. Gesù parla di una vita vera nell'oggi. E sembra suggerire il momento in cui si è felici. Quando siamo felici? Quando siamo stati miti; quando non abbiamo misurato l'amore ed abbiamo avuto misericordia; quando siamo stati vicini a chi era afflitto e ci siamo afflitti per lui. Sì, siamo stati felici, perché l'amore ha vinto il pianto ed il male. E lì abbiamo incontrato la compagnia buona dell'uomo più vero ed umano di tutti, Gesù, che ci ripeteva con dolcezza ed autorità: "Beati". Cerchiamo la felicità per gli altri: saremo motivo di gioia per loro e saremo beati noi. Perché non si è felici da soli. Davvero "beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano".
Testo di mons. Vincenzo Paglia
In sintonia con le beatitudini
Beati.....E' la sintonia con Gesù che fa essere beati.
E chi si mette in questa sintonia, se non chi è nella povertà, nella mitezza, nella purezza del cuore,...?
Chi ha già e è gia di per sè, non ha bisogno di questa sintonia, e quindi non può entrare in questa situazione di beatitudine.
Il venir meno delle realtà umane che stanno in noi e attorno a noi è la porta di accesso per il dono della beatitudine augurata dal Vangelo.
La beatitudine augurata dal Vangelo si realizza già anche come anticipo delle realtà gloriose, caratterizzate non dalle realtà umane e terrene rese perfette, ma dalle realtà della povertà spirituale nelle sue varie sfaccettature, illuminate però dalla presenza di Dio.
Ecco un altro motivo per cui chi non vive la realtà dello spirito non può essere beato: perché non anticipa nella sua vita la realtà della gloria.
Per noi, anche un'altra applicazione: non cerchiamo la beatitudine guardando in cielo, ma sulla terra, nelle realtà della miseria e della povertà che sono segni e anticipazioni di questa presenza di Dio, che offre la dimensione della beatitudine al cammino dell'umanità.
Siamo beati ogni volta che condividiamo gli atteggiamenti che Gesù presenta nelle beatitudini, e ogni qualvolta sappiamo scorgere nel mondo, attraverso la soffererenza e la povertà umana, lo sguardo di Dio.
Testo di don Luciano Sanvito
Liturgia della IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 30 gennaio 2011
Liturgia della Parola della IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 30 gennaio 2011