Ecco l'agnello di Dio!

News del 15/01/2011 Torna all'elenco delle news

Io ho visto e ho testimoniato: questi è il Figlio di Dio

Dopo la celebrazione del mistero del Natale e dell'Epifania, per introdurci nel ciclo delle domeniche del tempo ordinario, la Liturgia ci invita ad un momento di sosta con la lettura di una pagina del Vangelo di Giovanni.

Con la testimonianza del Battista (Giov.1,29-34), la Liturgia ci fa incontrare Gesù vivendo l'esperienza cristiana fondamentale: la celebrazione liturgica è precisamente il momento nel quale la Parola proclamata si rende attuale, la testimonianza del Battista ci è offerta perché nel mistero liturgico viviamo personalmente l'esperienza della presenza di Gesù per noi.

Così, possiamo accostarci a questo brano, particolarmente ricco per l'intensità della testimonianza del Battista e per il cammino di fede che ci viene indicato e perché ci introduce nello stile particolare del Vangelo ("il lieto annuncio") di Giovanni, ricco di dettagli, osservati e interpretati a livelli sempre più profondi, con parole isolate e dialoghi che all'osservatore superficiale sembrano ripetitivi, e in realtà sono il passaggio obbligato per entrare in pienezza nel rapporto personale con Gesù, il Figlio di Dio.

Non possiamo dimenticare, leggendo Vangelo di Giovanni, che non si tratta della narrazione storica degli eventi della vita di Gesù, ma dell'annuncio della fede della comunità cristiana che crede e fa l'esperienza del Risorto: quando ci parla del Battista è ormai lontana la sua figura storica e l'evangelista intende piuttosto dirci che perché ci sia una comunità credente, è necessario che ci sia uno che "ha visto e ha testimoniato".

Nel quarto Vangelo il Battista non è più il profeta che richiama il popolo alla conversione, quanto piuttosto colui che ha fatto un'esperienza nuova, imprevedibile per lui stesso: ha fatto un incontro e Dio gli ha svelato chi è questa persona che gli si è fatta incontro. L'evangelista sa chi è quel Gesù "che è venuto verso Giovanni": conosce i suoi "segni", le sue parole, lo ha visto in Croce, ha visto un soldato aprire il suo fianco dal quale è uscito sangue e acqua, e "chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero perché anche voi crediate" (Giov.19,34-35). L'evangelista partecipa della gioia provata dai discepoli al vedere il Signore, la sera di quel giorno, primo della settimana, quando venne Gesù e stette in mezzo a loro e disse per due volte: "Pace a voi" e li mandò nel mondo, soffiò e disse. "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro ai quali perdonerete i peccati saranno perdonati…" (Gio.20,19-23) L'evangelista conosce pure l'altra manifestazione di Gesù sul lago di Tiberiade, nella quale i discepoli hanno sperimentato che Lui è il Signore, che dona loro forza nuova, speranza, amore (Giov.21): egli ha scritto perché "crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Giov.20,31).

L'evangelista ha costruito il suo Vangelo come un grande arco che va dall'esperienza del Battista che ha visto e ha testimoniato dando inizio ad una lunga catena di discepoli, sino alla fine, a quel discepolo "che ha visto e ha reso testimonianza e sa che dice il vero". Giovanni è il primo che ha aperto questa catena di persone che hanno visto e hanno testimoniato: poi è nato questo Vangelo, scritto "perché voi crediate".

Il Vangelo di Giovanni è tutto scritto così: come una storia di cui Gesù è l'attore principale, accanto a lui ci sono i personaggi che "vedono" e "testimoniano". E' una storia aperta: "perché voi crediate". In questi "voi", oggi siamo coinvolti noi, "perché noi crediamo" cioè anche noi "vediamo e testimoniamo" e la catena si allunghi di nuovi discepoli. Giovanni battezzava ancora "al di là del Giordano": certo Giovanni è un uomo appassionato di Dio, appassionato di Israele, il popolo che non ha ancora attraversato il Giordano. Giovanni soffre per l'infedeltà del popolo, non tollera l'ipocrisia degli scribi e dei farisei, impegna tutte le sue forze per il suo Israele, lo invita alla conversione, compie il rito della conversione.
"Il giorno dopo vede Gesù che viene verso di lui": che cosa è accaduto che ha cambiato la vita di Giovanni? Apparentemente niente di particolare: eppure tutto è cambiato. E' l'ingresso di Gesù nella storia: Giovanni vede Gesù, che viene verso di lui.

In questo brano, come nella descrizione del "giorno primo della settimana", quello della risurrezione, tutto si gioca sulle sfumature del verbo "guardare", "contemplare", "vedere". Ciò che è accaduto di nuovo è che in Giovanni comincia un modo nuovo di "vedere": da una visione superficiale, immediata si passa ad una visione profonda, il "vedere credente". Giovanni vede Gesù che viene verso di lui, viene a lui, viene in lui. "Colui che viene" è una definizione di Dio: Giovanni aspettava un Dio giudice forte, adesso vede un Dio che salva, venendo verso di lui. E' radicalmente cambiato il modo di vedere, di aspettare Dio: Dio è qui presente che viene verso di me, è lo sposo che vuole donarsi alla sposa. Adesso Giovanni diventa un appassionato di Gesù: il discorso di Giovanni diventa incontenibile, è tutta una proclamazione di chi è Gesù. "E' l'agnello di Dio che porta il peccato del mondo": Gesù non condanna, si fa carico del peccato del mondo. "Viene dopo di me, perché era prima di me": Colui che è prima, si fa ultimo e servo di tutti". Per due volte Giovanni ripete: "Io non lo conoscevo (non lo vedevo)": fino a quando era chiuso nella sua concezione di Dio, non poteva "vedere" Dio in Gesù che si fa ultimo, che sta con i peccatori. E per due volte ripete che proprio il suo venire a farsi battezzare è finalizzato alla manifestazione nuova ad Israele come il Dio che discende per amarlo.
Che cosa è accaduto? "Giovanni vede Gesù…": anche i verbi sono usati in modo preciso. Qui è il presente: il Vangelo ci sta dicendo che Giovanni è il credente che è tale quando comincia a vedere Gesù e gradualmente entra nel profondo dell'esperienza di chi è Gesù. E il Vangelo continua dicendo che Giovanni, quando "vede Gesù che viene a lui" è afferrato da un'esperienza personale che lega lui con Gesù nello stesso evento di rivelazione: Dio gli parla e gli rivela la presenza dello Spirito di Dio che scende si ferma, rimane con Gesù. L'incontro di Gesù che viene da Giovanni è in realtà l'evento di Dio che entra nella storia, la rivelazione del volto nuovo di Dio che discende per essere con l'uomo, nella carne dell'uomo, perché l'uomo sia con Dio, è l'evento nel quale inizia il cammino di Dio che, donandogli il suo Spirito, può fare di Israele il suo popolo, che passa il Giordano ed entra nella terra promessa. Giovanni è l'annunciatore entusiasta del volto nuovo di Dio: "ha visto e ha testimoniato che Gesù è il Figlio di un Dio che è Padre".

Questo è l'inizio: il Vangelo poi ci mostra la catena di coloro che accogliendo la testimonianza di Giovanni hanno continuato a "vedere Gesù e a rendergli testimonianza". Oggi siamo noi che accogliendo la testimonianza siamo resi capaci di vedere Gesù e di testimoniarlo, perché, con il dono sempre nuovo dello Spirito, continui la catena dei Figli di Dio. 

Testo di mons. Gianfranco Poma 
 

Una lettera d'attualità

Il vangelo di oggi (Giovanni 1,29-34) si collega a quello di domenica scorsa, parlando del battesimo; dice però anche una cosa nuova. Giovanni Battista presenta Gesù alla folla con le parole che il sacerdote ripete in ogni messa: "Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!" Preannuncia dunque la Pasqua, e appunto la sua rinnovazione nella celebrazione eucaristica: Gesù è il mite e innocente agnello, che non si sottrae al sacrificio con cui redime l'umanità.

Accompagna il vangelo, da questa domenica in poi, la prima lettera dell'apostolo Paolo ai cristiani di Corinto. Paolo la inviò da Efeso, dove si trovava intorno all'anno 56, alla comunità da lui stesso costituita alcuni anni prima nell'allora principale città greca, dove si era trattenuto a lungo ad annunciare il vangelo. Con la comunità di Corinto si era poi mantenuto sempre in contatto, ne conosceva i problemi e con questa lettera li affrontò senza reticenze. La lettera apre così una finestra sulla vita dei primi cristiani, i quali non erano certo tutti perfetti: come del resto quelli di oggi, per tanti aspetti che il tempo non ha cambiato; per questo lo scritto dell'apostolo mantiene una viva attualità.
Il brano odierno ne dà l'inizio (1Corinzi 1,1-3): "Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla Chiesa di Dio che è a Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo". Secondo le convenzioni epistolari di allora, troviamo subito la firma, l'indirizzo e i saluti; ma quelli che per noi sono semplici adempimenti quasi burocratici, nella lettera ai Corinzi sono arricchiti di espressioni che danno da riflettere. Nella firma, per cominciare: "Paolo, chiamato a essere apostolo", si presenta con i suoi titoli, nella pienezza della sua autorità, derivatagli da una diretta chiamata divina. Indirettamente è evocato qui l'episodio, certamente noto ai destinatari, della sua clamorosa conversione sulla via di Damasco, quando da zelante ebreo qual era, persecutore dei cristiani, fu dal Signore chiamato alla fede. Subito dopo, al proprio nome egli associa come mittente della lettera quello di tale Sòstene del quale nulla sappiamo; potrebbe essere lo scrivano al quale egli stava dettando la lettera: in ogni caso Paolo lo qualifica come fratello nella fede, dunque un suo pari. Un bel gesto di umiltà.
I destinatari sono tutti quelli che "invocano il nome", cioè credono e pregano il comune Signore Gesù Cristo; tutti, e in particolare i cristiani che formano la Chiesa di Corinto. E' appena il caso di ricordare che con la parola "chiesa" si intende primariamente una comunità cristiana; solo in seguito la parola è passata a indicare il luogo dove la comunità si riunisce: la chiesa-edificio è fatta per accogliere quella che davvero conta, cioè la Chiesa-istituzione, composta dall'insieme dei battezzati: pastori e laici, uomini e donne, quelli di vita esemplare e anche gli altri. A questi ultimi, lo si vedrà, Paolo non lesina i rimproveri; per questo, sin dall'inizio, ricorda a tutti la dignità di cui sono stati investiti: con il battesimo e gli altri sacramenti i cristiani "sono stati santificati in Cristo Gesù", sono chiamati ad essere santi, cioè a vivere coerenti con il dono ricevuto. A tutti perciò il saluto: "grazia e pace" dal Padre e dal Figlio. Nel linguaggio biblico, i due termini hanno quasi lo stesso significato: la pace è la pienezza dei doni divini; la grazia è la partecipazione alla vita stessa di Dio. Il saluto è dunque anche un augurio e insieme un impegno. 

Testo di mons. Roberto Brunelli 

Liturgia della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 16 gennaio 2011

Liturgia della Parola della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A): 16 gennaio 2011