Il Battesimo di Gesù e la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani (18-25 gennaio)

News del 08/01/2011 Torna all'elenco delle news

In questi giorni ricorre la settimana per l'unità dei cristiani e poiché in relazione al Natale, si parla nella liturgia cristiana anche del battesimo di Cristo, è interessante osservare come Piero della Francesca, nella metà del Quattrocento abbia affrontato il tema del dialogo tra Chiesa d'Oriente e di Occidente, discutendo con la sua pittura, al pari di un grande teologo, sulle grandi verità della fede e dell'ordine cosmico.
 
Nell'ambito del Cristianesimo l'episodio del battesimo di Cristo è fondamentale, perché rappresenta «un'investitura» ufficiale da parte di Dio Padre nei confronti del Figlio; durante il rito, si svela poi, la Trinità e quindi uno dei dogmi fondanti della fede cristiana. Inoltre, in questa vicenda si unisce l'antica dottrina e la nuova, l'Antico e il Nuovo Testamento; perciò il gesto del battesimo, praticato all'epoca dagli asceti appartenenti alla setta ebraica degli Esseni, unisce l'ultimo dei profeti con il nuovo messia. Un cambiamento che avviene attraverso l'acqua, come, ad esempio, per il paesaggio del mar Rosso, che rappresenta una nuova fase della storia del popolo ebreo.
 
In questo quadro si addensano, perciò, significati teologici, religiosi e filosofici di grande importanza, ai quali Piero della Francesca aggiunge anche contenuti legati all'attualità del suo tempo.
 
All'epoca, infatti, il concilio di Firenze per la riunificazione della Chiesa d'Oriente e d'Occidente aveva discusso sul difficile argomento della Trinità che, come è noto, è ancora oggi uno dei punti discriminanti per quanto riguarda le differenze tra cattolici ed ortodossi. A questo concilio aveva partecipato il teologo Ambrogio Traversi appartenente all'ordine dei camaldolesi che commissionò la pala a Piero della Francesca nel 1448. Così nel quadro c'è un'allusione a tale importante concilio attraverso la presenza di personaggi in costumi orientali visibili sullo sfondo e nell'immagine, atipica per il mondo occidentale, dei tre angeli che assistono all'evento, i quali si riferiscono alla cosiddetta «antica trinità» venerata soprattutto in Oriente.
 
Si sperava allora in una riunificazione delle due Chiese che poi non fu possibile realizzare. L'atteggiamento di Piero in relazione a questa materia così piena di sollecitazioni teologiche e trascendenti, legate a realtà divine eterne è molto interessante: da buon matematico e cultore della geometria la verità per lui è un concetto basato sulla perfezione formale degli elementi.
 
Ispirato dall'idea che poi ritroveremo nel De divina proportione dell'amico Luca Pacioli, egli trae dalle figure della geometria la legge armonica su cui si basa l'essenza stessa della realtà sulla terra e dei mondi celesti. Così i centri geometrici della composizione sono costituiti da due quadrati sovrapposti nella figura del Cristo, e da un cerchio il cui punto centrale è situato nella colomba dello Spirito Santo. Il centro celeste è lo Spirito Santo, punto focale della discussione del Concilio di Firenze e della sua funzione tra Padre e Figlio (ricordiamo la famosa definizione «procede dal Padre e dal Figlio» mentre per gli ortodossi procederebbe solo dal Padre), mentre il centro della terra è situato nell'ombelico del Cristo intorno a cui tutto ruota. Concetti che ritroviamo anche nei predicatori dell'epoca i quali  vedevano nel Cristo uomo-dio il centro dell'universo. Elemento teologico che per Piero diventa fonte di ispirazione della sua perfetta geometria.
 
La costruzione di figure geometriche perfette diventa quindi specchio dell'assoluto e in questo senso l'esistente per
Piero della Francesca è unicamente realtà dell'Essere, totalmente essenza, tanto che potremmo definire «parmenidea» la sua visione del mondo.
 
A riprova di ciò notiamo la totale assenza di ombre nella composizione, perché tutto è illuminato in valore assoluto da ogni parte; ogni esistente non riceve luce sensibile o solare, ma una luce cosmica che giunge da qualunque punto e che risulta interna alle figure stesse.
 
Se questo non bastasse a creare un'opera eccezionale, il nostro Piero, aggiunge anche le altre realtà di fede implicite nell'episodio evangelico e sempre alla sua maniera, ovvero per mezzo della costruzione formale, questa volta ricorrendo alla creazione dello spazio. La profondità spaziale è ottenuta dall'Albero della Vita, che si trova tra il Cristo e gli angeli, e dalla disposizione a semicerchio di questi ultimi. Il fiume Giordano resta dietro, e sebbene ci sia una persona che si sta togliendo le vesti per ricevere a sua volta il battesimo, il Cristo non è immerso nell'acqua, come tradizionalmente avveniva soprattutto nei dipinti bizantini.
 
Piero nella sua opera intende sottolineare che la novità del Nuovo Testamento ha superato il Vecchio, rappresentato dagli angeli e dal Giordano, ma la rivelazione vetero-testamentaria ne è la base irrinunciabile, poiché crea lo spazio in cui agirà il Nuovo.
 
Inoltre, l'Albero della Vita al centro, secondo il Physiologus, sarebbe il peridexion l’albero indiano dove i colombi si posano, ma al quale il drago (serpente) non si può avvicinare (in antitesi all'Albero della Conoscenza del Bene e del Male nel giardino dell'Eden). Esso protegge dal drago i colombi che vivono nella sua ombra, inoltre quando l'ombra dell'albero è proiettata verso Occidente, il drago fugge ad Oriente, quando invece è proiettata verso Oriente, esso fugge ad Occidente, elemento che potrebbe spiegare l'assenza di ombre nel quadro: il drago, cioè, è fuggito da Oriente e da Occidente, con la pacificazione delle due Chiese. “Il frutto celeste dell’albero è la saggezza dello Spirito Santo ricevuto dall’uomo coi sacramenti”, recita il Physiologus, identificando così l'albero stesso con la funzione della Chiesa.
 
Sullo sfondo, poi, i personaggi con un vesti e copricapi orientali, alluderebbero, secondo le interpretazioni più recenti, alla presenza in quel concilio dell'imperatore bizantino Michele VIII Paleologo e di alte personalità della Chiesa d'Oriente.
 
La presenza che unisce tutte queste realtà, cioè Antico e Nuovo Testamento e i due Patriarchi di Roma e di Costantinopoli è una sola: Cristo, la cui verità viene mostrata nella perfetta integrità del suo corpo, elemento fisico e metafisico insieme.
 
In questa visione perfetta ogni elemento risulta fondamentale, come la presenza dei tre angeli che ricorda, come abbiamo detto, la definizione vetero-testamentaria della Trinità (i tre angeli che si recano da Abramo e Sara) ripresi poi i molti dipinti orientali (ricordiamo quello famosissimo di Rubliev) e allude al dogma in senso dottrinale, ma anche cosmico.
 
I tre angeli si tengono per mano, ad indicare che ognuna delle persone nella Trinità effettua un mutuo scambio con le altre senza alcuna gerarchia. Suggerisce, inoltre, l'idea di una superiore concordia ed armonia (come nell'immagine pagana delle Grazie) su cui si basa l'universo creato, immagine impressa nell'essenza divina.
 
A riguardo possiamo far riferimento anche a Dante, il quale nell'ultimo canto del Paradiso scorge all'interno della mente di Dio proprio una forma geometrica perfetta, unione di tutte le geometrie fisiche e metafisiche.
Inoltre la mancanza di ombre appare come un ulteriore omaggio all'arte bizantina, poiché in essa, si tratti di affreschi o di icone, la luce è sempre «divina», mai basata sui dati sensibili. La luce di Piero, però, è quella di un uomo del Rinascimento, del tutto convinto che il cosmo rifletta in ogni suo elemento la Sapienza: le cose non appaiono smaterializzate, ma colte secondo un potenziamento dei sensi, evidenziate con la massima chiarezza possibile.
 
Così Piero della Francesca diventa il geniale interprete della natura divina del cosmo quale frutto della mente trinitaria  che si manifesta tanto nella fragile apparenza del filo d'erba quanto nella metafisica verità della sezione aurea.
 
 
Testo di Rossana Cerretti (La Genesi della bellezza - Geometria, luce, spazio nel "Battesimo di Cristo" di Piero della Francesca)