26 dicembre 2010: Festa della Santa Famiglia di Nazareth

News del 26/12/2010 Torna all'elenco delle news

Un Dio affidato ai sogni degli uomini

La prima domenica dopo il Natale celebriamo per tradizione la Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. L'istituzione di questa festa, che risale al 1921 (è quindi una festa recente), non ha certamente l'intento di prolungare quel clima edulcorato e mieloso di cui a volte è rivestita approfittando delle feste natalizie, anzi. La lettura del vangelo ci porta dentro la drammaticità, dentro la fatica, dentro l'incertezza. Giuseppe, che domenica scorsa appariva come l'uomo del silenzio, oggi ci viene presentato come l'uomo del sogno, meglio: l'uomo dei sogni... tre per la precisione.

Dio, in Gesù bambino si affida ai sogni degli uomini e alla loro capacità di sognare e di ascoltare. Dio si affida alla cura degli uomini perché la sua fragile vita è in pericolo... Difendimi tu, Giuseppe... Difendilo tu, dice l'angelo a Giuseppe e lui non si vergogna di fuggire, di scappare. Come dire che Dio non vuole essere difeso con le armi. Alle volte davvero l'orgoglio ci blocca e provoca dei danni enormi: qui la fuga è presentata non come un atto disonorevole, ma come un atto di discernimento e di coraggio. C'è in questa decisione anche un atto di umiltà (coscienza dei propri limiti), da parte di Giuseppe e di mitezza, di quella mitezza che non si piega al male che rischia di prendere il sopravvento.

Accade qui un qualcosa di molto bello e che è riconducibile a quella vocazione che tutte le famiglie credenti hanno: quella della trasmissione della fede. Il testo evangelico intende certamente mostrare che Gesù ripercorre il cammino di Israele scendendo in Egitto e ritornando poi nella terra promessa. Facendo fare a Gesù il percorso della discesa in Egitto e poi dell'esodo che fece a suo tempo il popolo d'Israele, i suoi genitori narrano il Dio salvatore e redentore al loro figlio. Lo narrano vivendo la loro esperienza di pericolo e di salvezza alla luce della Parola di Dio.
Ogni genitore e ogni famiglia credente ha il difficile compito di narrare (inteso proprio alla maniera dello ziqqaron ebraico, che vuole essere un fare viva memoria), di far fare esperienza del Dio creatore e salvatore ai loro figli. E' necessario farlo così come Maria e Giuseppe lo hanno fatto, senza cercare espedienti sofisticati, ma con la loro stessa vita, con le loro scelte, con le loro decisioni illuminate dall'obbedienza della fede.

Sio avverte, in tutto questo percorso, una scelta ben precisa da parte della Santa Famiglia, quella del nascondimento, confermata dalla decisione di fare casa a Nazareth, perché la minaccia, con la morte di Erode non è cessata per la salita al trono di suo figlio Archelao. Non in Giudea quindi, ma in Galilea, regione periferica e disprezzata della Terra Promessa... il desiderio di ripercorrere la storia del popolo d'Israele si scontra con la minaccia che viene dalla Giudea, custode della tradizione di Mosè: la promessa che Dio ha fatto ad Abramo opera presso il popolo dell'alleanza, non però nelle espressioni più visibili e pubbliche, piuttosto in quelle più nascoste (don Giuseppe Angelini).
Sempre riguardo al tema della fede, mi piace come questa domandi spazio all'interno delle dinamiche famigliari. Tutta la liturgia della parola oggi evidenzia questo... oltre a quanto già accennato sul brano di vangelo, riferendomi alla prima lettura noto che c'è un collegamento tra la carità nei confronti dei genitori, la remissione dei peccati e l'esaudimento della preghiera e la seconda lettura raccomanda che la relazione a due tra marito e moglie sia sempre vissuta "nel Signore".
La seconda lettura, addirittura estende il discorso alla grande famiglia che è la comunità ecclesiale: Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto.
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza.
Cristo e la sua Parola (che deve essere luce che illumina uno stile di vita e le situazioni concrete che si vengono a presentare), restano i riferimenti per il cristiano che vive l'appartenenza ad una comunità... la sua vita deve essere vissuta nell'amore che non è semplicemente un sentimento di simpatia, ma, come dicevo la sera di Natale è il dare la propria vita. Amore per la comunità così come è, (magari anche un pochino scassata...) e non per l'ideale di comunità che ci possiamo costruire nella nostra testa. Perché se amiamo di più il nostro ideale, (come scrive D. Bonhoeffer nel suo libro La vita comune) per quanto siano serie, devote, sincere le nostre intenzioni personali raggiungeremo soltanto l'obiettivo di distruggere ogni comunione.

Signore Gesù, che hai desiderato vivere in una famiglia umana, dona pace e serenità alle nostre famiglie, in particolare a quelle segnate dal dolore, dalla sofferenza e dalla divisione, perché trovino nelle vicende non facili della famiglia di Nazareth motivo di comprensione e di fiducia

Testo di don Maurizio Prandi 
 


La famiglia di Nazareth, un modello per laici e credenti

A pochi giorni dalla celebrazione del Santo Natale, che è tradizionalmente la festa della famiglia, la liturgia della parola di Dio e dell'eucaristia ci fa ritornare nuovamente sul tema della famiglia, ponendo come modello delle nostre famiglie la famiglia delle famiglie, quella di Nazareth, composta da Gesù, Giuseppe e Maria o se si vuole da Maria, Giuseppe e Gesù, la terna perfetta di come va concepita la famiglia secondo il cuore di Dio. E difatti in questa famiglia è presente nella sua umanità lo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo, concepito per opera dello Spirito Santo nel grembo verginale di Maria ed accolto da Giuseppe, sposo castissimo della Vergine Santa, come il dono più bello della sua paternità putativa.

Nel testo del Vangelo di Matteo leggiamo subito il dramma dell'esilio e dell'immigrazione che deve sperimentare la Sacra Famiglia per evitare la strage che Erode porta ad esecuzione nel tentativo di eliminare con la violenza Gesù Cristo, il re atteso dai popoli, che lui considera suo rivale, nonostante la tenera età. Giuseppe è costretto, nella sua responsabilità di marito e padre, a prendere Maria e il bambino e scappare via per salvaguardare l'incolumità dei membri più deboli che compongono la famiglia. Giuseppe così si presenta a noi come l'uomo della responsabilità verso i suoi cari e che si prende cura totalmente di loro svolgendo in toto il ruolo di marito e padre. Esempio per tanti genitori che non avvertono l'urgenza e la responsabilità all'interno delle relazioni coniugali e dei rapporti con i figli.

Parimenti, Giuseppe è anche l'uomo del ritorno alle sue origini. Dopo la morte di Erode riporta la sua famiglia in Israele, segno evidente che il suo impegno è di lasciare crescere e sviluppare soprattutto il figlio nel luogo dove era nato, ovvero in Palestina, anzi nel luogo e nella famiglia che Egli scelse di nascere, visto che era Figlio di Dio. Anche da questo punto di vista Giuseppe è esempio per tutti quei genitori che invece di difendere le proprie origini, soprattutto nel campo della fede, spesso si lasciano trascinare dalle novità di altri credi e luoghi dimenticandosi del loro retroterra umano, sociale e culturale. Qui invece abbiamo la riaffermazione della cultura delle proprie origini che nessuno dovrebbe dimenticare.
Nelle difficoltà e nelle prove della vita un buon rimedio è quello di attingere alle proprie origini culturali e spirituali, soprattutto se hanno indirizzato la persona verso i valori cristiani.