Per trovare Dio bisogna perdere Dio
News del 04/12/2010 Torna all'elenco delle news
I vangeli della seconda e della terza Domenica d'Avvento ci presentano la figura del Battista.
A quel tempo gli ebrei attendevano con impazienza l'avvento del re dei Giudei. Tutti si aspettavano un condottiero che avrebbe liberato il paese dai dominatori Romani. L'attesa di un personaggio del genere era molto forte.
Il vangelo ci dice che a Gerusalemme circola la voce (Mt 2,3) che il re è nato. Quando tutti aspettano una cosa, quando c'è una grande attesa, è facile proiettare le nostre attese.
Arriva Giovanni Battista, una figura forte e decisa. La domanda che si fanno tutti è: "Che sia lui il nostro re tanto atteso?". I presupposti ci sono, anche se dalla sua predicazione sorgono i primi dubbi.
Farisei e sadducei sono perplessi. Il Battista annuncia il regno dei cieli (Mt 3,1) mentre loro attendevano il regno d'Israele (At 1,6). Regno d'Israele voleva dire: Dio verrà e sceglierà noi come suo popolo. Noi saremo il popolo eletto, noi saremo i privilegiati. Dio sarà con noi e noi saremo i più forti. Regno dei cieli vuol dire, invece: Dio ti è vicino, convertiti, aprigli il tuo cuore e lo incontrerai. Il regno d'Israele si basa su due assunti: un regno politico e un privilegio (essere noi quelli scelti).
Il regno dei cieli invece non è un regno della materia (armi, territori, potenza, influenza, ecc.), è un regno interiore dell'anima. E' un regno che richiede un'adesione personale: se io lo voglio, vi entrerò. E' una proposta che viene fatta: "Ti va di vivere così? Ti va di accettare la presenza del Signore nella tua vita? Ti va di far spazio alla Luce, alla Vita, all'Energia che ti abita?". Il regno dei cieli non si impone, ma si propone. Nessuno è costretto ad abitarvi, ma tutti vi possono accedere se lo vogliono.
Gerusalemme non intendeva affatto essere governata da Dio, ma espandere il suo dominio su altri popoli. Per questo Giovanni Battista fu ucciso; fu così per i profeti e così sarà anche per Gesù. E Gesù, domenica prossima, dovrà constatare amaramente: "Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora, si usa violenza contro il regno dei cieli e i violenti lo vogliono eliminare" (Mt 11,12).
L'istinto di dominio è insito nell'uomo. Tutti noi vogliamo un territorio su cui governare e avere potere.
Perché ci costruiamo case, seconde case e palazzi? Perché, al di là di tutti i motivi ("per andare in vacanza, per il rifugio, per avere un tetto dove proteggerci, ecc."), cerchiamo uno spazio dove poter dire: "Qui comando io; qui gestisco io; qui decido io!". Vero o no che sia, il territorio è fondamentale per la nostra vita. Questo ci fa sentire importanti, potenti, qualcuno; ci fa sentire che abbiamo forza e potere. E più un uomo non è re di se stesso, re del proprio regno, e più cercherà di dominare, di gestire, di influenzare, di manipolare gli altri. Tenterà, cioè, di soddisfare il suo bisogno di dominio, facendo in modo che gli altri facciano quello che lui vuole. Un uomo, invece, che è re di se stesso non ha bisogno di dominare nessuno, se non se stesso.
Il regno dei cieli è il dominio sulla propria vita. E' importante che io sia il re della mia vita, che nessuno o nessun'altra forza governi e comandi la mia vita. Ma fare questo è "un'opera dell'anima", un lavorio interiore che non avviene dall'esterno, ma solo se io vi aderisco, se io lo voglio, se io sono disposto a cacciare tutti i miei invasori interiori.
Quali sono i nemici interiori del nostro regno? Contro chi dobbiamo combattere? Ne individuiamo tre, ma ce ne sono tanti. Il nemico è ogni cosa che mi impedisce di essere il sovrano del mio regno. L'accontentarsi. Accontentarsi di sé vuol dire rinunciare a sé, a ciò che si può essere e a ciò che si può vivere. I propri impulsi. Costruire il proprio regno, costruire la propria personalità nella pienezza e nell'espressione massima delle proprie risorse, diventare ciò che la Vita ha in serbo per noi, sentirsi felici e realizzati in ciò che si è e partecipare alla costruzione di un Mondo Nuovo, lasciar trasparire la Luce e la Vita che risiede in noi; vincere le nostre paure interiori, i giudizi che ci bloccano, i demoni che ci frenano, questa è la grande opera per ogni uomo.
Il regno dei cieli è davvero vicino. Il regno dei cieli è dentro di te: realizzalo e vivilo. Sei figlio di Dio: vivi da figlio di Dio, secondo la tua dignità. Diventa ciò che sei; prendi coscienza del tuo potere.
Tu sei l'unico regno su cui hai potere: ogni altro regno che domini è un'usurpazione e una violenza. Domina e sii sovrano della tua vita, sarai felice e non avrai bisogno di gestire e di dominare nessun altro.
Un uomo attraversò terre e mari per verificare di persona la fama straordinaria di un grande maestro. "Quale miracolo ha operato il vostro maestro?", domandò ad un discepolo. Il discepolo rispose: "C'è miracolo e miracolo. Nel tuo paese è considerato miracolo che Dio faccia la volontà di qualcuno. Da noi, invece, è considerato miracolo che qualcuno faccia la volontà di Dio".
Il grande miracolo è fare la volontà di Dio, diventare ciò che si è: re e sovrani della propria vita. Solo questa fedeltà dà la dignità ad un uomo. Poter dire: "Sono rimasto fedele a me, non mi sono tradito né venduto".
Il Battista predicava proprio questo: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2).
Convertirsi, shub in ebraico, meta-noia in greco, indica un cambio totale: da una direzione ad un'altra. Andavi in un senso e adesso ti giri di 180° e inverti la strada. Il Battista proclamava questo: smettetela di dirigervi fuori di voi; smettetela di pretendere che il mondo cambi così voi state meglio; smettetela di pretendere dagli altri quello che voi non riuscite a fare; smettetela di addossare la colpa della vostra infelicità a chi vi sta vicino o lontano; smettetela di giustificarvi. Tornate e guardate dentro di voi: lì c'è il segreto della vita, il segreto della vostra felicità. Perché se un uomo non è felice dentro, qualunque cosa incontri fuori, non lo farà tale.
Come segno di questo cambiamento (da fuori a dentro) il Battista chiedeva il battesimo. Era un gesto che voleva dire: mi immergo totalmente nel Giordano perché si stacchi da me la precedente vita (il vivere fuori di sé, senza valori dello spirito) e perché così io possa iniziare una nuova vita.
La risposta della gente fu sorprendente: "Accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare, da lui, nel fiume Giordano" (Mt 3, 5-6).
Quel verbo "uscire" (ekporeuomai) è lo stesso dell'uscita degli ebrei dall'Egitto. Gli ebrei uscirono e raggiunsero la terra promessa (dove risiedevano al tempo di Gesù). Ma la terra promessa si era trasformata in terra di schiavitù e bisognava uscire di nuovo.
Hai trovato il lavoro che cercavi da tanto tempo: "Adesso sì che sono realizzato!". Stai attento perché la terra promessa diventa terra di schiavitù se non mantieni vivo il tuo cuore.
Ti sei sposato: "Sono proprio felice". Stai attento perché la terra promessa diventa terra di schiavitù se non coltivi l'ascolto, l'intimità d'anime, la comunicazione, la comprensione e la tenerezza.
Hai avuto i figli che desideravi: "Adesso ho tutto!". Stai attento perché la terra promessa diventa terra di schiavitù se ne fai il tutto della tua vita.
Bisogna sempre "uscire", non ci si può mai fermare, non si può mai dire: "Adesso sono a posto. Adesso non devo fare altro. Adesso posso sedermi e riposarmi. Ho raggiunto tutto".
Anche i Sadducei e i farisei vanno dal Battista (Mt 3,7-12). Nemici acerrimi (At 23,6-10) si presentano insieme dal Battista; anche con Gesù saranno compatti contro l'avversario comune (Mt 16,1).
Credono di partecipare ad uno dei tanti riti di purificazione imposti dalla religione per permettere una migliore relazione con Dio (Lv 15,16-18).
Ma il battesimo di Giovanni non è così. Il battesimo di Giovanni non è una delle tante inutili cerimonie che mantengono in vita e giustificano il gran teatro della religione, ma un segno visibile della conversione interiore, di un coinvolgimento personale, di una messa in gioco, di un cambiamento di rapporti tra gli uomini.
Il Battista li investe con parole di fuoco: "Razza di vipere... la scure è già posta alla radice degli alberi... ogni albero che non produce frutti viene tagliato... brucerà la pula con fuoco inestinguibile". Giovanni è tremendo con loro.
In realtà farisei e sadducei (eccetto qualche eccezione) non si convertiranno mai. E Gesù dovrà amaramente constatare: "Non vi siete pentiti e non avete creduto in lui " (Mt 21,32).
Molte persone hanno ancora un'idea della fede: vai in chiesa, si sta bene, non fai del male a nessuno, quando ti senti ci vai perché questo ti aiuta a stare meglio. Quando i figli fanno i sacramenti ovviamente si partecipa alle liturgie così come quando c'è Natale e Pasqua. Tutto questo non è male, anzi è il primo passo verso di Lui; ma non è il Dio di Gesù.
I farisei e i sadducei dicevano: "Abbiamo Abramo per padre" (Mt 3,8). Come a dire: "Noi siamo cristiani: lo erano i miei genitori, i miei nonni e i miei bisnonni; abbiamo anche un parente prete o suora; siamo battezzati in chiesa, frequentiamo ogni tanto la messa, non rifiutiamo mica Dio, i nostri figli li mandiamo a catechismo". E' un Dio non significativo (significativo viene da signum, e vuol dire fare/lasciare un segno), che non lascia segno (signum), non intacca, non interferisce con la vita.
Il Battista lo diceva chiaramente: "Non centra niente tutto questo con Lui".
Dio è come il tuo amore (sia esso tuo figlio o il tuo innamorato): l'incontro con Lui ti ha ribaltato la vita, ti ha fatto diverso, ti è entrato prepotentemente. Vegetavi, ti sentivi vuoto, disperso, sul ciglio del burrone o in caduta libera e Lui è venuto e ti ha risollevato.
Il Dio di Gesù è come il tuo amore: non puoi più vivere senza di Lui. Non è un obbligo, una costrizione, una regola; è un'esigenza del cuore e dell'anima.
Il maestro doveva spiegare ai suoi discepoli la strada per arrivare a Dio. Così li rinchiuse in una caverna senz'acqua per una settimana. Quando tornò erano in fin di vita, tanto che quando gli chiese: "Che cosa volete?", quasi non riuscivano a dire la cosa che bramavano con tutto il loro essere: "Acqua!". Dopo aver bevuto e passato qualche giorno in cui si ripresero, il maestro disse: "Se desidererete Dio come desideravate l'acqua, lo troverete di certo".
Il Dio di Gesù è come tuo figlio: è con te per sempre. Anche se non ci pensi, anche se non lo senti, anche se quando cresci ognuno fa la propria strada, in realtà Lui è sempre nel tuo cuore e tu lo porti sempre con te. Lui ha cambiato la tua vita; da quell'incontro tu sei stato un altro (padre/madre), non sei più stato lo stesso.
Guardate nel vangelo le persone che incontravano Gesù. C'era chi lo seguiva, chi guariva, chi muto o pieno di paura andava in giro ad annunciare a tutti il Signore. Erano incontri che lasciavano il segno per sempre; non si poteva più dimenticarsi di Lui; non si poteva più stare senza di Lui.
La fede è tutta qui: "Ho trovato qualcosa di irresistibile, di meraviglioso, di incredibile e non posso più vivere senza". Non è questione di dovere, di regole, di "bisogna che". E' questione di amore: non posso stare senza di Lui.
Che cosa ha impedito ai farisei e ai sadducei di credere? Dio! Loro avevano già in testa la loro immagine di Dio (il Dio di Abramo) e dicevano: "Dio è così. Chi dice diversamente è falso ed eretico".
Gesù è stato ucciso come un eretico, un falso, un impostore che bestemmiava il nome di Dio (ed era il Figlio di Dio!).
Il mistico fiammingo Jan Ruysbroeck diceva: "Il Dio che lasci è meno sicuro del Dio che trovi".
Il giorno in cui tu dici: "Questo è Dio" e ti attacchi ad una immagine, ad un'idea di Dio, a delle parole e solo quelle sono "Dio", tu ne fai un idolo.
Dio è sempre più grande, sempre oltre, sempre diverso. Dio non è un punto di arrivo è una strada.
Attento allora alle persone che si sono attaccate ad un'idea di Dio e cercano con tutte le loro forze di difenderla, di non cambiarla, non accettando il nuovo che avanza. Diventeranno settarie.
Quand'eri piccolo Dio era come il tuo papà e come la tua mamma. Poi sei cresciuto e hai scoperto che, per fortuna, Dio non è come tuo padre e come tua madre.
Poi hai imparato che Dio è quello che sempre ci vede, che ci punisce se sbagliamo e ci premia se facciamo i buoni. E se nella vita raggiungiamo il "sei" ci manda in paradiso; se raggiungiamo il "cinque e mezzo" ci manda in purgatorio e se prendiamo "quattro" ci punisce all'inferno. Ma per fortuna poi ha scoperto che Dio ama tutti, che Dio non punisce, che Lui accoglie tutti. Ma questo ti ha messo in crisi.
Poi hai imparato che Gesù non era un mago che aveva la capacità di fare miracoli come e quando voleva; che le apparizioni non sono stati degli incontri lungo la strada come quando vai nel supermercato e vedi dei conoscenti; che gli angeli sono dei simboli di Dio, che Maria non ha mai scritto il Magnificat, che Gesù non ha mai camminato sopra le acque e che quando Gesù è nato non c'erano gli angeli che cantavano in cielo, non c'erano il bue e l'asino e che neppure è nato a Betlemme. All'inizio tutto questo ti sconvolge, ti manda in crisi, ma è un viaggio verso Dio sempre più nel segno della verità.
Ogni convinzione che cade ci produce dolore perché noi ci attacchiamo alle nostre convinzioni che divengono le nostre sicurezze, i nostri idoli.
Poi un giorno scopri che Dio non è solo dei cristiani, ma di tutti gli uomini, che la verità abita in tutte le creature anche se poi risplende in maniera molto diversa o proprio non risplende.
Per conoscere Dio bisogna avere il coraggio di "perdere Dio". I farisei e i sadducei non ci sono riusciti perché non ebbero questo coraggio. E così hanno perso per davvero Dio; anzi lo hanno addirittura crocefisso.
Se vuoi veramente conoscerlo, metti in discussione le tue idee riguardo a Lui.
Per conoscere Dio bisogna avere il coraggio di "perdere Dio".
Pensiero della Settimana
Nella "Vita della beata Umiliana de' Cerchi",
di fra Vito da Cortona, si racconta:
"Mentre la santa giaceva nel suo letto, dentro la sua cella nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco più,
dal volto bellissimo: giocava nella sua cella davanti a lei.
Quando lo vide provò una grande gioia e gli disse: «O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare?».
E il bambino rispose: «Che volete che faccia?».
E la benedetta Umiliana disse:
«Voglio che tu mi dica qualcosa di bello su Dio». E il bambino disse: «Credi che sia bene che uno parli di se stesso». E disparve".
Dio è dove non diresti.
Dio è come non diresti.
Testo di don Marco Pedron