28 novembre 2010: Prima Domenica di Avvento - l'Inizio e la Fine

News del 27/11/2010 Torna all'elenco delle news

Ci fu, nella storia dell'uomo, un inizio, che coincide con la sua stessa creazione.
Sappiamo che Dio, dopo aver creato tutte le cose, i famosi giorni della creazione progressiva, alla fine creò l'uomo. Era 'necessario', poiché Dio, creando il mondo, meravigliosamente bello, infinitamente bello, aveva di fronte a Sé una bellezza 'senza cuore', incapace di mettersi in dialogo con Lui e contraccambiare il Suo amore. Dio, 'grande nell'amore', sentiva l'esigenza di partecipare questo Suo amore a qualcuno che ne potesse avere piena consapevolezza, il più possibile. L'Amore 'esige' amore, ma libero per sua natura, ossia capace di dire sì o no. Un rischio che Dio non ebbe paura di correre...
In questa prima domenica di Avvento, che fa memoria della storia della creazione, è bello ricordare da dove veniamo e la ragione della nostra esistenza.

"Alla fine - racconta la Bibbia - Dio creò l'uomo a Sua immagine... lo collocò nel giardino dell'Eden, con l'ordine di saziarsi di tutti gli alberi che erano sulla terra, con la sola eccezione dell'albero che infonde la conoscenza di tutto'.
La fedeltà all'amore ebbe la sua prova con la tentazione del serpente. Questi nella sua malizia cercò di guidare l'uomo a diventare antagonista di Dio e l'uomo e la donna si lasciarono ingannare, per poi, subito, accorgersi dell'errore - quello che noi definiamo il peccato originale -; rinnegando Dio si accorsero di avere perso tutto e quindi di essere 'nudi'.
Quello che stupisce è che, anche se lo stesso peccato ha come conseguenza una 'pena' o 'punizioné, cioè di escluderci dalla comunione con Lui, Dio cercò l'uomo, come continua oggi a cercarci: ' Uomo, dove sei? '. 'Mi sono nascosto, perché sono nudo'.
In quel momento era avvenuta la rottura del nostro necessario rapporto con Dio. E sappiamo tutti, per esperienza, quali siano le conseguenze della storia dell'uomo, dell'umanità senza Dio: è lo stesso smarrimento, inferno, che conobbero i nostri progenitori.

E la vita sarebbe un'impossibile via crucis, se il Padre non fosse rimasto fedele al Suo Amore per noi, lo stesso Amore che lo aveva spinto a crearci.
Lui solo poteva tenderci una mano, Lui solo riaprire le porte della speranza. E lo fece in un modo incredibile, offrendo a noi, come riscatto, la vita del Suo stesso Figlio, Gesù, che accettò di venire da noi, mettersi nei nostri miserabili panni, provare cosa sia vivere senza l'amore del Padre e alla fine pagare il prezzo più alto, per tornare 'nell'Eden', nella 'Casa del Padre', cioè la comunione con Lui, vera ragione del nostro esistere... sempre che lo accettiamo!
Dovremmo ascoltare il profeta Isaia, che oggi così annuncia:
"Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: 'Venite, saliamo al monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le Sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri. Poiché da Dio uscirà la legge e da Gerusalemme la Parola del Signore. Egli sarà giudice fra tutte le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo... Casa di Giacobbe vieni, camminiamo nella luce del Signore". (Is. 2, 1-5)
E' davvero commovente l'invito del profeta a camminare nella luce del Signore.

E l'Avvento è proprio questo tempo di cammino verso la Luce del Signore. Che ci sia bisogno di questo urgente ritorno alla nostra vera origine è sotto gli occhi di tutti. Ci si sente smarriti e confusi, leggendo le cronache che ci svelano, giorno per giorno, a quali aberrazioni può condurci il 'mistero del male' che è in noi, quando si è persa la gioia di conoscere il Padre e di sapersi da Lui amati.
Di fronte a tante miserie della nostra povera umanità, viene davvero da chiedersi: ma chi siamo? Perché esistiamo? Siamo smarriti come gli Ebrei nel deserto... come se avessimo perso la bellezza di sapere che vi è Chi ci ama ed è vicino a noi, giorno e notte: Dio, il Padre.

Per questo la Chiesa offre questo tempo sacro dell'Avvento, come a chiederci di ricreare in noi l'attesa che Dio si faccia vicino - ma lo è, siamo noi che restiamo... lontani! - e sappiamo, dunque, purificare la nostra mente e il nostro cuore, perché si aprano, rendendoci disponibili ad accoglierLo.

Ascoltiamo quanto scrive l'Apostolo Matteo:
"Gesù disse ai suoi discepoli: 'Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.
Infatti nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano, bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca e non si accorsero di nulla, finché venne il diluvio e inghiottì lutti, così sarà anche alla venuta del Figlio... Vegliate dunque perché non sapete in quale giorno il Signore verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi siate pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà". (Mt. 24, 37-44)

Un tratto materno della Chiesa di Dio il dedicare un tempo dell'anno liturgico, anzi il suo inizio, per sollecitare e suscitare in noi l'attesa che Gesù torni.
Proprio come segno di attesa e quindi di penitenza, le celebrazioni liturgiche portano le vesti tipiche del momento di conversione, i paramenti viola.

Così proclamava Paolo VI, la nostra guida,: "Che cosa significa questa implacata inquietudine verso le mutazioni economico-politiche, verso il miraggio di nuove rivoluzioni, se non la disperata attesa di un ordine superiore che l'uomo da sé non sa creare, se non mortificando la libera espressione dell'uomo stesso?
E che cosa significa questa nausea della prosperità risultante dal progresso tecnico-scientifico e respinta dalle nuove generazioni, se non il bisogno di un messianismo dello spirito e non dell'abbondanza materiale? E la tendenza, quasi di moda, di esaltare il popolo come il tipo di bisognoso di una nuova giustizia, che lo sviluppo economico non sa di per se stesso generare, ma piuttosto trascurare ed offendere? Quando verrà il Vangelo dei poveri in spirito? Un mito messianico sembra annunciare follemente, ma non senza una segreta sapienza, un bisogno autentico, quello di UNO che dice con forza di verità: 'Io verrò e lo guarirò'." (Paolo VI, Avvento 1974)
Sarebbe bello che tutti, ma soprattutto rientrassero in se stessi e si chiedessero la ragione della loro insoddisfazione, anche quando non manca nulla nella vita.
Non è forse quella nostra innata natura di figli, che Dio ha creati per condividere il Suo Amore? Se non è così, Chi, non 'quali cosé, può essere?
Fa male anche solo scoprire nei massmedia il silenzio su Dio, come non avesse alcun peso sulle nostre esistenze. Riempiono pagine di cronache, che tante volte disgustano, ma quasi mai vanno alla vera sete del cuore.... come se Dio non esistesse.
Lo stesso Natale, che è la grande festa dell'Amore divino, che si fa vicino a noi, per sempre, con Gesù nato tra noi, a volte è solo poesia, quasi la voglia di tornare bambini, con un'immensa sete di gioia e di pace, ma poi il mercato non fa' che offrire regali, di tutti i tipi, ma nulla che ci porti più vicini a Gesù. È triste, molto triste, sapere che Dio, ancora una volta ci ricorda che Lui è nato tra noi, e noi... Gli offriamo una grotta... lontano da noi!
È di grande tristezza, immensa tristezza, anche solo vedere che il mondo, e non solo l'Italia, per intere giornate abbia potuto seguire la cronaca di un inspiegabile dramma, l'assassinio di una giovane, Sara, non chiedendosi la ragione di fatti così aberranti e, soprattutto, non dedicando neppure un istante a cercare la speranza nel creare una coscienza che abbia il sapore della verità e del bene.

Occorre uscire da questa tristezza, per ritrovare la nostra vera nobiltà di figli di Dio e con Lui, ora tra noi e con noi, ridare alla vita il gusto del cielo, a cui possiamo partecipare, come figli, ma che esige uno stile di vita cristiano, ossia a modello dei figli del Padre.

Questa è la ragione dell'Avvento, che ci mette alla ricerca di Dio, che forse abbiamo smarrito nei meandri del mondo, che non è certamente Cielo e neppure la nostra vera casa.

Cerchiamo Colui che ci cerca... per diventare veri, aperti... figli e fratelli.
Scriveva don Tonino Bello: "Avvento, attesa, ma di chi? Che cosa aspettiamo? Aspettiamo innanzitutto un cambio per noi, per la nostra vita spirituale e poi avvertiamo che stiamo camminando su sperono pericolosi che possono farci ruzzolare. Attesa di rinnovamento per noi e per la storia dell'umanità. Non siamo ancora capaci di pronunciare una parola forte che dice che la guerra ogni guerra è iniqua. Abbiamo nelle mani il Vangelo, ma siamo ancora cristiani irrisoluti, che camminano secondo le logiche della prudenza carnale e non della prudenza dello Spirito Santo... Siamo gente che riesce a dormire con molta tranquillità pur sapendo che nel mondo ci sono tante sofferenze".
L'Avvento allora dovrebbe svegliarci dal sonno, per essere pronti ad accogliere il Dio con noi, Gesù. 

Testo di mons. Antonio Riboldi, Commento su Matteo 24,37-44

 

Così sarà la venuta del Figlio dell'uomo

Con il tempo dell'Avvento iniziamo un nuovo anno liturgico.
"Avvento" significa "venuta", la venuta del Signore, la venuta di Dio.
Il tempo dell'Avvento è il tempo dell'attesa, del desiderio che il Signore venga. Ma si attende colui che si ama: il tempo dell'Avvento è il tempo dell'Amore atteso, desiderato.
La liturgia dell'Avvento è tutta segnata dalla fresca tonalità della gioia del fidanzamento e ci fa vivere una dimensione essenziale della vita umana e della esperienza cristiana: la vita umana è essenzialmente desiderio, attesa dell'incontro con ciò che ci manca, desiderio di amore.
E l'esperienza cristiana è la risposta a questo radicale bisogno: l'amore che desideriamo ci è donato, quanto più si fa profonda l'attesa e tanto più intensa la gioia dell'incontro con l'Amore.

Il tempo liturgico dell'Avvento vuole risvegliare in noi il desiderio e per questo non è tanto una preparazione al Natale, quanto un pellegrinaggio dentro di noi per risvegliare la nostra attesa di Dio: dalla serietà dell'impegno con cui entriamo nell'Avvento potremo percepirne l'importanza per la nostra vita personale e per la società in cui siamo chiamati a vivere.

L'Avvento è l'attesa, il desiderio di Dio per arrivare a gustarne la presenza. Ma l'uomo di oggi desidera Dio? Noi desideriamo Dio? I cristiani di oggi attendono Dio? Il grido di Teilhard de Chardin è più che mai attuale per noi: "Cristiani, incaricati di tener sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell'attesa del Signore?".

L'uomo di oggi infatti, che ha perso la memoria del passato, non attende un futuro, e si accontenta di un oggi banale, dell'immediato che fugge, perdendo il senso del tempo. La proposta cristiana consiste nel saper vivere il tempo presente come attimo che passa, ma nel quale si rende presente in modo sempre nuovo la memoria di un passato che si realizzerà in pienezza in un futuro che va oltre il tempo.

Per l'esperienza cristiana il tempo è l'oggi continuo del realizzarsi del dono dell'Amore di Dio al creato e all'uomo, un dono concreto, tangibile, e pure inesauribile: quante volte la Liturgia riprendendo le parole del Vangelo proclama questo "Oggi" della salvezza e al tempo stesso suscita la nostalgia del "non ancora" perché ciò che si sperimenta è solo un segno di una realtà che il tempo non può contenere e la storia non può esaurire.

L'Avvento vuole risvegliare in noi il gusto di vivere intensamente il tempo presente, facendoci accorgere di quanto sia pieno dei segni di quel Dio di Amore che non possiamo non desiderare di incontrare pienamente al di là del tempo. E lo fa con la ricca pedagogia della Liturgia che ci fa percorrere la storia del popolo di Dio (in realtà ci fa rivivere la nostra storia), illuminata dalla parola dei profeti, fino all'incontro con Gesù, il Figlio stesso di Dio che entra personalmente nel tempo perché la fragilità della carne diventi l'impronta della ricchezza di Dio, in attesa che il tempo stesso scompaia e tutto sia solo Dio.

In questo anno la Liturgia ci propone la lettura del Vangelo di Matteo, il Vangelo ecclesiale per eccellenza. Gli studi biblici sempre nuovi, mettono in evidenza che il Vangelo di Matteo, scritto dopo il 70, dopo la caduta di Gerusalemme e del Tempio per opera dei Romani, si propone uno scopo ben preciso: in un momento nel quale la comunità ebraica deve affrontare il problema di una propria identità ritrovata attorno alla Legge, la comunità cristiana non vuole rinnegare la fedeltà alla Legge, ma afferma la sua propria identità nella fede in Gesù, il Messia, il figlio di Davide, il figlio di Abramo, il Signore, il figlio dell'uomo.
La nuova comunità non rinnega la alleanza con Abramo, ma afferma che in Gesù essa trova il suo "compimento", la sua "pienezza". La sorprendente novità di Gesù, che Matteo presenta in modo ben elaborato in rapporto alle sue fonti, soprattutto la sua morte e la sua risurrezione, fanno di lui il Messia che porta a compimento tutte le promesse fatte ad Abramo, dando un senso nuovo all'antica alleanza.
Nella sconvolgente novità di Gesù, tutto raggiunge il suo compimento: egli è "Dio con noi", è "Dio salva", mite e misericordioso, che com-patisce con la folla umana smarrita, che dilata la sua alleanza a tutti i popoli. Per Matteo la comunità di Gesù, la sua Chiesa, è fatta da coloro che non rinnegano la Legge antica, ma entrano con Gesù nel suo "compimento", perché credono che in lui tutto raggiunge la sua pienezza.

La proposta di Matteo è credere che in Gesù che muore in croce si realizza la pienezza di Dio dentro la storia: l'evento decisivo che dà senso a tutto, inaugura la presenza del Regno di Dio: Certo, questa fede in Gesù non è cosa facile: se il Vangelo di Matteo è percorso dalla tensione con la sinagoga ebraica, non lo è di meno dalla tensione all'interno della comunità cristiana, sempre tentata di tornare alla Legge antica.
La proposta di Matteo rimane comunque chiara: con Gesù la storia ha raggiunto il suo compimento, perché Dio è dentro la storia, l'Amore ha vinto la morte. Chi crede in lui, chi ascolta la sua parola, chi si lascia amare da lui, chi comincia a guardare e ad amare gli altri come fratelli perché lui si è fatto nostro fratello, comincia a vivere nel tempo ma è già dentro l'eternità: l'amore che gustiamo oggi, "riempie" il nostro tempo di ciò che sarà "oltre" il tempo.

Quando il brano del Vangelo che oggi leggiamo, Matt.24,37-44, ci dice: "Così sarà la venuta del figlio dell'uomo…" vuole parlarci della venuta di Gesù, che amando fino alla morte ha portato a compimento il senso della storia, viene sempre di nuovo con la forza della sua risurrezione e verrà alla fine perché Dio sia tutto in tutti, una venuta sconcertante e sconvolgente perché si presenta fragile e debole ma ha la forza di Dio che per amore si annienta per donare tutto alla sua creatura.
Il Vangelo vuole educarci a vedere nel nostro "oggi" l'irruzione di ciò che rimane sempre "futuro" perché è talmente grande che è inesauribile; ci invita quindi a non essere banali, distratti, a saper discernere, vedere la bellezza della vita, comprenderne la complessità, la ricchezza, ad entrare in dialogo con Colui che ci ama: quando ci sembra che non ci siano vie di uscita, lui le riapre; quando ci sembra che ci manchino le forze, lui ci rinfranca.

Quando nell'evento che per Matteo anticipa la fine di tutto, la morte di Gesù in croce, "si fece buio su tutta la terra", un angelo ha detto alle donne: "Non temete…E' risorto, vi precede in Galilea… là lo vedrete".
Il Vangelo ci invita: a noi uomini moderni abituati a guardare al mondo in modo appiattito, a misurare il tempo nel suo scorrere sempre uguale, a farci noi misura della storia, il Vangelo chiede un sussulto, un risveglio dal sonno, perché c'è una cosa veramente nuova che infrange l'ineluttabilità dello scorrere del tempo: l'Amore infinito di Dio scorre dentro la nostra realtà quotidiana, è solo Amore, per questo non fa rumore, è fragile, umile… è onnipotente. Chiede di essere creduto. "Uno sarà preso, l'altro lasciato": e noi abbiamo il coraggio di lasciarci afferrare dall'Amore? 

Testo di mons. Gianfranco Poma 

Liturgia della Prima Domenica di Avvento (Anno A): 28 Novembre 2010

Liturgia della Parola della Prima Domenica di Avvento (Anno A): 28 Novembre 2010