Santo del giorno 14 novembre: santa Veneranda
News del 14/11/2024 Torna all'elenco delle news
Santa Veneranda o Venere giovane martire a Roma al tempo dell’imperatore Antonino (138-161). Nata nel Venerdì Santo dell’anno 100 d. C. nella zona delle terme romane che portano il suo nome vicino Acireale, di cui è patrona, alla morte dei suoi genitori, nobili cristiani venuti dalla Francia, donati tutti i suoi averi ai poveri, comincia a predicare il Vangelo arrivando anche dove oggi sorge l’abitato di Santa Venere con la Parrocchia di Santa Croce in Santa Venere - RC e il suo culto è presente in diocesi nella Parrocchia di santa Veneranda a Pavigliana.
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Il nome è di origine latina e significa ‘degno di venerazione’. Di Veneranda si sa poco, tra l’altro è l’unica santa con questo nome, mentre di Venerando ce ne sono tre.
Nel ‘Catalogo Sanctorum’ redatto negli anni 1369-1372, dal veneziano Pietro de Natalibus, al capitolo 61 è citata s. Veneranda vergine, nata in Gallia (Francia) nel II secolo e martire a Roma durante la persecuzione al tempo dell’imperatore Antonino (138-161).
La celebrazione riportata al 14 novembre è stata trasferita alla stessa data nel ‘Martirologio Romano’. Detto questo ritroviamo la santa in certi episodi che riguardano la basilica di S. Maria a Pugliano in Ercolano (NA);
Verso la metà del secolo XVII all’epoca di papa Alessandro VII, fu donato, come usanza nei secoli passati, al Procuratore Generale dei Carmelitani Scalzi in Roma, il corpo di s. Massimo martire, prelevato dalla catacomba di s. Ciriaca e una reliquia insigne di s. Veneranda martire.
Queste reliquie furono donate a sua volta a padre Simone dello Spirito Santo, anch’egli carmelitano del convento di Torre del Greco, vicinissimo ad Ercolano; essendo egli molto devoto della cappella dello Spirito Santo posta nella antica basilica, dona come attestato di questa devozione le suddette reliquie; i fedeli di Ercolano, che allora si chiamava Resina, accolsero con fede e gioia questo dono, anche con pubbliche feste ed eressero nella Cappella dello Spirito Santo due altari uno dedicato a s. Massimo e l’altro a s. Veneranda e instaurando nel paese una forte devozione per i due santi martiri.
La santa è raffigurata su una grande tela della metà del ‘600 posta sopra l’altare, sta in piedi con sulla testa la colomba dello Spirito Santo, con la destra stringe il crocifisso, con la sinistra impugna un bastone da pellegrino e la palma del martirio.
La reliquia incastonata al centro di un mezzo busto di rame ricoperto d’argento, fu asportata dai francesi insieme all’argento, durante la battaglia del 14 giugno 1799, al tempo della repubblica Partenopea; nella basilica è rimasto solo il mezzo busto di rame.
Nella città di Ercolano vi era una strada intitolata alla santa come pure a lei erano dedicate due chiesette. Sul quadro menzionato vi è la scritta in caratteri greci “Aghia Paraskebe” e poi in italiano “S. Veneranda v. m.”; questo conferma che anche in Oriente vi è un culto per questa santa, che importanti testi agiografici dicono che è Santa Parasceve, martire sotto Antonino Pio verso il 160 e celebrata il 26 luglio e che nell’Italia Meridionale è venerata con i nomi di s. Venera, Veneria o Veneranda.
Che si tratti della stessa persona venerata con due nomi diversi ci sembra non attestabile, anche se certi punti combaciano, del resto la ‘Vita’ di s. Parasceve è tutto un elaborato fantasioso poco attendibile.
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L’origine del nome del piccolo borgo montano a 23 km da Reggio e a 1110 m di altezza risale alla figura di una martire vissuta nel II secolo d. C., che la tradizione ci dice si chiamasse Santa Venera (sulla quale è tuttavia presente anche la lectio di Santa Veneranda), la cui storia è davvero interessante e complessa. Costei sarebbe infatti innanzitutto nata nel Venerdì Santo dell’anno 100 d. C. nella zona delle terme romane Xiphonie vicino Acireale (dette anche Terme di Santa Venera al pozzo), figlia di due nobili cristiani della Gallia, Agatone ed Ippolita, pii e devoti, dediti alla carità e all’aiuto dei miseri, che dopo 35 anni di preghiere e suppliche a Dio, trasferitisi dalla Gallia prima a Roma e poi ad Aci-Xifonia, poterono finalmente godere della gioia di avere una figlia; la madre, specificamente, voleva che la piccola si chiamasse Venera in ricordo del giorno fortunato della sua nascita, però Agatone, temendo che quel nome potesse essere confuso con quello della dea pagana la chiamò Veneranda; ma i greci della contrada, ispirandosi al nome usato dagli Ebrei nell’indicare il giorno precedente al sabato della Pasqua, nel quale era nata la fanciulla, la chiamarono Parasceve (che nell’antica lingua ebraica significava appunto Venerdì Santo). Consacratasi a Dio, Venera studiò le Sacre Scritture e, dopo la morte dei genitori, all’età di 20 anni, si dedicò per dieci anni all’ascesi e poi, a 30 anni, donati tutti i suoi averi ai poveri, cominciò a predicare il Vangelo spostandosi da un capo all’altro della Sicilia, non trascurando l’assistenza a poveri e malati (cosa che peraltro aveva sempre fatto, ancor fanciulla, sotto la guida della madre). Secondo la tradizione poi, Venera viaggiò allora in tutto il Meridione al fine di diffondere con sempre maggior forza l’euangèllion, la buona novella, il lieto annuncio, sia in Calabria che in Campania, ed in questi anni giunse anche, sempre secondo questa tradizione, in quelle stesse zone in cui oggi sorge l’abitato di “Santa Venere”.
Una volta giunta a Locri, tuttavia, venne denunciata da alcuni giudei all’allora imperator Antonino Pio come ostile alla religione ufficiale, motivo per il quale fu condotta davanti al sovrano in persona che, vanamente, dapprima con promesse poi con minacce, tentò di farla apostatare. Non riuscendovi tuttavia in alcun modo, si dice abbia voluto punirla, e si tramanda che a riguardo abbia fatto riscaldare su una fiamma, fino a renderla incandescente, una specie di elmo metallico che i carnefici le posero poi sul capo senza, tuttavia, arrecarle alcun danno; in seguito a tutto ciò molti pagani, alla vista di questo prodigio, si convertirono, e l’imperatore li fece uccidere o esiliare. Si narra ancora che a questo punto i carnefici siano ricorsi ad un altro supplizio: venne difatti preparata una grande caldaia piena di olio e di pece bollente ed in essa venne immersa la Santa; ed in questa occasione, inoltre, ella gettò con le proprie mani sul viso dell’imperatore uno spruzzo del liquido bollente, ed alla fine ne uscì per di più ancora una volta indenne; l’imperatore in persona, dopo questo avvenimento, si convertì, e lei guarì le sue piaghe e lo battezzò; altre volte fu infine vittima di altre atroci torture, dalle quali però uscì sempre illesa. Secondo la tradizione ufficiale morì poi in Gallia, in seguito ad una condanna alla decapitazione, anche se altre tradizioni attestano che la sua morte sia avvenuta in Sicilia, e precisamente nello stesso luogo dove si presume sia nata; tale leggenda inoltre riporta come, prima di morire decapitata, la santa abbia chiesto ed ottenuto con una voce venuta dal cielo la promessa da Dio che chiunque si fosse rivolto a lei con fede avrebbe avuto concessa la liberazione dalle angosce in cui si fosse trovato.
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