Oggi con me, sarai in Paradiso

News del 18/11/2010 Torna all'elenco delle news

Con la festa di "Gesù Cristo re dell'universo", concludiamo questo anno liturgico, nel quale abbiamo letto il Vangelo di Luca.
Quante volte abbiamo avuto l'occasione di sottolineare la meraviglia suscitata in noi dalle splendide pagine di questo Vangelo che ci ha fatto gustare la gioia di essere amati da un Padre che ci avvolge del suo amore unicamente perché siamo suoi figli.
Quante volte Gesù si è seduto a mensa con noi, fragili, deboli, delusi, per infonderci la speranza, il coraggio per rialzarci e riprendere il cammino. Quante volte eravamo smarriti e lui ci ha cercato, eravamo feriti e lui ci ha curato, eravamo soli e lui solo si è avvicinato a noi, eravamo svuotati di tutto e lui ha pagato per noi.
Quante volte è entrato nelle nostre case e ci ha dato la forza di rinnovare le nostre relazioni.
Quante volte siamo rimasti toccati dalla sua tenerezza e dalla sua sensibilità verso i poveri, i peccatori, e verso le donne, Maria, Marta e Maria, Maria di Magdala e le altre donne che lo accompagnano perché trovano in lui la risposta al loro desiderio più profondo. Così abbiamo potuto sperimentare che il Cristo che Luca ci annuncia è "bello", ma di una bellezza particolare perché è il riflesso dell'amore di cui Egli vive. Gesù infatti non è altro che l'incarnazione della bellezza di Dio, dell'amore del Padre. Se nel Vangelo di Luca Gesù è vicino ai poveri, ai pubblicani e ai peccatori, è perché Egli è il volto umano di Dio che si piega sui piccoli. La sua non è una bellezza fredda che allontana, ma è piena di un calore che attira.

Il brano che oggi leggiamo, Lc.23,35-43, (che va allargato a quanto precede e a quanto segue, Lc.23,32-48), rappresenta il vertice, l'esplosione dello splendore della bellezza misteriosa di Cristo che sulla croce dice: "Padre, perdona loro: non sanno quello che fanno.In verità io ti dico: oggi tu sarai con me, in paradiso. Padre, nelle tue mani affido il mio spirito". Gli esegeti ritengono questo brano "il centro e il cuore dell'intero racconto della crocifissione" perché qui Luca ci introduce nel cuore del mistero di Gesù, di ciò che Egli è, fa e dice. Luca presenta la croce come la rivelazione più profonda e drammatica della comunione tra Gesù e il Padre e quindi della preghiera più intensa che ne è la manifestazione, e della più feconda comunione tra Gesù e tutta l'umanità: è il momento in cui si compie la rivelazione di Dio all'umanità, della sua volontà di salvezza, di rispondere al bisogno dell'umanità di trovare il vero significato dell'esistenza. Ma proprio perché è rivelazione divina avviene in modo drammatico: solo la fede può condurre l'uomo a credere lo splendore della bellezza di Dio nella contemplazione di Gesù in croce.
Tutto ha inizio sul monte degli ulivi quando Gesù rivolge ai suoi discepoli l'invito: "Pregate, per non entrare nella tentazione". Li prepara Gesù alla drammaticità di ciò a cui dovranno assistere e chiede loro di pregare, in sintonia con quello che lui stesso farà per rimanere fedele alla sua identità di figlio che fa la volontà del Padre. Da questo momento, per lui tutto è vissuto nella preghiera, in un dialogo drammatico con il Padre ma che non cessa neanche un istante di essere un dialogo di amore. "Padre, se vuoi allontana questo calice da me". E' una preghiera, questa, nella quale Gesù si fa voce di tutta l'angoscia, il dramma, il tormento di tutta l'umanità, di tutta la storia e che è tanto più drammatica perché è la preghiera del Figlio verso il Padre. Come potrebbe un Padre, un Padre onnipotente, non voler allontanare dal Figlio un calice quale quello di Gesù? In questa preghiera è riflesso tutto il mistero insondabile di Dio nel quale Gesù si abbandona, perché di questo Egli è incrollabilmente certo: questo mistero insondabile è un mistero di amore che Egli sperimenta come Figlio amato dal Padre. Per questo la preghiera continua: "ma non la mia, ma la tua volontà avvenga". Il Figlio è tutto e solo ciò che il Padre vuole: occorre che il Figlio si spogli di tutto ciò che non è il dono del Padre, occorre che il Figlio sia solo l'Amore accolto dal Padre. Ma questa spogliazione quanto è terribile! Il racconto della passione, punto di arrivo di tutta l'esperienza umana di Gesù, è la descrizione di che cosa significhi per Lui, aderire, incarnare la volontà del Padre, viverla come volontà di amore che realizza la sua persona e che per questo diventa fonte di amore per tutta l'umanità.
Nel momento nel quale lo crocifiggono Gesù è in colloquio con il Padre: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno".

Adesso è sulla Croce, patibolo e trono, piantata nel cuore della storia perché tutti vedano: Luca si sofferma, in una sintesi mirabile che vale per tutti i tempi, sulle diverse reazioni di fronte alla Croce di Gesù. "Il popolo stava a vedere". Luca riprenderà poi la reazione del popolo nel vedere la morte di Gesù: c'è un modo popolare di guardare la Croce, di credere in quel giovane innocente, che ha fatto solo del bene, che ha solo amato, che i capi del popolo, politici e religiosi, hanno messo a morte, in lui la folla trova la forza per la fatica quotidiana del vivere.
Ma i capi del popolo lo deridono; i soldati mentre lo deridono, lo compatiscono; il malfattore anche lui messo in croce lo insulta, perché lo ritiene un venditore di false speranze per il popolo.
Ciascuno lo guarda e lo giudica e vorrebbe che egli realizzasse le proprie attese: "Se tu sei il Messia, l'Unto di Dio, il re dei Giudei, il realizzatore delle attese" e gli chiede una prova: "Hai salvato gli altri, salva te stesso."
Tutti parlano di salvezza: "Salva te stesso". Ma Gesù non salva se stesso: è un fallito, un mentitore? Oppure la salvezza che egli ha portato nel mondo, il suo salvarsi è ben altro? La salvezza di Gesù è l'essere insieme con gli altri, ancora è solo l'Amore: soffrendo, morendo con gli altri. "Questi è il re dei Giudei": dice la scritta posta sulla croce. Ma che re è questo, abbandonato da tutti, senza nessun potere? Il suo potere è solo quello di condividere fin in fondo tutto ciò che è umano. A quel povero malfattore che gli si affida: "Ricordati di me, quando verrai nel tuo regno", Gesù risponde: "Oggi sarai con me, nel Paradiso".

La salvezza che Gesù offre "oggi" a chi si affida è "essere con lui", non essere più solo, essere amato di un amore che riporta l'uomo all'esperienza radicali a cui aspira: il "giardino" della comunione con Dio.
L'ultima parola di Gesù è ancora un dialogo con il Padre: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Sulla Croce noi vediamo solo Gesù nel dramma della sua solitudine e della sua morte: ma ascoltiamo il Figlio che si abbandona nelle braccia del Padre. Il Padre tace ma il Figlio sa che il Padre gli chiede tutto per donargli tutto, perché attraverso Lui passi l'amore che salva il mondo. Nel silenzio del Padre e nell'abbandono totale di Gesù c'è la rivelazione più piena del mistero di Dio.
Gesù è vicino ad ogni uomo, al più povero degli uomini: si è spogliato di tutto ciò che poteva dargli sicurezza, protezione. Egli si mostra fratello degli uomini perché figlio fragile e vulnerabile di un Dio che è possibile afferrare, ferire. Non ha più niente di suo, perché ha fiducia solo in Dio: può mettere la sua vita nelle mani degli uomini, volere unicamente ciò che Dio vuole, rimettere la sua vita nelle mani del Padre, perché è abitato dalla certezza che dalla sua morte Dio trarrà la vita. Così Gesù ci rivela un nuovo volto di Dio, ci fa scoprire il volto bello del Padre che possiamo attendere senza nessuna inquietudine. 

Testo di mons. Gianfranco Poma 


In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso

Con questa trentaquattresima domenica si chiude l'anno liturgico. E' vero che solo chi va in Chiesa se ne accorge. Si tratta, infatti, di una data che non corrisponde a nessun avvenimento amministrativo, scolastico, o di altro genere, che in qualche modo apre o chiude un periodo particolare. In verità l'intero anno liturgico risponde ad una misurazione del tempo ch'è al di fuori delle normali consuetudini degli uomini. Ed è giusto che sia così. Il tempo liturgico, infatti, non nasce dal basso; non è originato dalle misurazioni degli uomini e dalle loro scadenze. E' un tempo che viene dall'alto, da Dio; è il "Tempo" di Dio che entra nel "tempo" degli uomini; è la "Storia" che irrompe nella "storia" degli uomini. Si potrebbe dire che l'anno liturgico è Cristo stesso, contemplato di volta in volta, di domenica in domenica.

In quest'ultima domenica, che chiude il tempo liturgico, lo vediamo, appunto, alla fine dei tempi come "re dell'universo". La Parola di Dio anche in questa domenica, come ha fatto sempre, ci prende per mano e ci introduce nella contemplazione della regalità di Gesù. Non si tratta di una visione da esterni a questo mistero: ci siamo dentro.
L'apostolo Paolo esorta ognuno di noi a ringraziare Dio "che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" (Col 1, 13). Siamo davvero dei "trasferiti", o se volete degli "emigrati", da questo mondo, dove regnano le tenebre, ad un altro mondo, ove regna il Signore Gesù. E che questo mondo di Gesù sia "altro" dal nostro appare evidente dalla scena evangelica che oggi ci viene proposta come immagine della regalità di Gesù: Egli inchiodato sulla croce con accanto due ladri.

Qualcuno, scusandosi per la vena dissacrante nel paragone, ha detto che questa è la foto ufficiale del nostro re (è vero che l'abbiamo messa in tanti luoghi, ma l'abitudine con cui la guardiamo gli ha fatto perdere il suo valore di scandalo, di pietra d'inciampo, per divenire spesso unicamente un oggetto di ornamento). Non c'è dubbio che si tratta di uno strano trono (la croce), e di una corte ancor più strana (due ladri). Eppure Gesù afferma senza mezzi termini che lui è re, e che lo è proprio in questo modo.

L'apostolo Paolo raccolse questa convinzione e la trasmise alle Chiese, ben sapendo dello scandalo che avrebbe provocato. Ai cristiani di Corinto scriveva: "Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani" (1Cor 1, 23).

Gesù è re da crocifisso; in questo modo egli esercita il suo potere regale. Gesù, del resto, l'aveva detto più volte ai discepoli nei tre anni che era stato con loro. Poco prima di morire disse loro: "I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia così" (Lc 22,24-26). E Gesù lo mostra per primo con la sua stessa vita e la sua stessa morte.

Mentre sta inchiodato sulla croce gli arriva un identico suggerimento da più parti: "Se sei il re dei Giudei, salva te stesso!" (Lc 23,35-43). Glielo dicono i capi dei sacerdoti, glielo gridano i soldati, e glielo urla anche uno dei ladri appeso accanto a lui. Le persone sono diverse, ma il ritornello è sempre lo stesso: "Salva te stesso!". In queste tre semplici parole è racchiuso uno dei dogmi che fondano più radicalmente la vita di ognuno di noi. E questa dottrina l'abbiamo appresa fin dall'infanzia. In essa è racchiusa la regola di vita, è sintetizzato il metro per giudicare ogni cosa, è simboleggiata la discriminante che ci fa accettare questo e rifiutare quello.

Ebbene, su quella croce è sconfitto questo dogma. L'amore ha annientato la convinzione più profonda che presiede alla vita degli uomini. Tutti salvano se stessi in questo mondo. L'unico che non ha salvato se stesso è stato Gesù. In tal senso il potere regale trova proprio sulla croce il suo punto più alto. E ne vediamo immediatamente l'effetto.

Gesù-re, non cedendo all'ultima tentazione, appunto quella di salvare se stesso, salva uno dei due ladri che gli stava accanto solo perché questi ha intravisto fin dove l'amore lo aveva condotto.

La festa di Cristo re dell'universo, è la festa di questo amore, un amore che ha dato tutto se stesso per gli uomini. Su di esso è fondata tutta la nostra speranza, il nostro oggi e il nostro domani. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia 


Il giudizio della croce

A destra e a sinistra di Gesù ci sono due malfattori. Non è un caso: essi sono immagine di tutta l'umanità, che è colpevole, che è prigioniera nelle maglie del male e della morte; crocifissa, appunto.
In mezzo c'è Gesù di Nazareth, che pretende di essere l'inviato di Dio, il Messia Salvatore.
Questo Messia e questa regalità sono segno di contraddizione e motivo di divisione: di fronte al Cristo re crocifisso non si può restare neutrali, si deve prendere una posizione.

Egli svela i pensieri dei cuori, perché ognuno di noi, parte di questa umanità crocifissa, deve decidere se un Salvatore così lo vuole o no, lo accetta o lo respinge e ne cerca altri. Ognuno è di fronte ad un'alternativa: affidarsi a lui o metterlo in ridicolo.
Questa alternativa è perfettamente rappresentata dai due malfattori.

Non c'è il "buono" e il "cattivo": tutti e due sono delinquenti, meritevoli della pena capitale.
Uno però non sa che farsene di un Cristo così: "se sei il Messia salva te stesso e noi. Altrimenti non lo sei".
L'altro non sa molto di Gesù, ma intuisce che davvero è un re che sta per andare nel suo regno, e si affida al lui: "Ricordati di me quando sarai nel tuo regno".

Non c'è altro, la sostanza della vita (e della morte) stanno in questa scelta.
Per questo Gesù aveva detto: "Pensate ch'io sia venuto a metter pace in terra? No, la divisione". La croce di Gesù attira gli uni e respinge gli altri, genera i cristiani e urta il mondo.

Ma anche dentro il cuore di ciascuno si crea questa divisione, i due atteggiamenti convivono e si combattono, in un conflitto nel quale si affrontano fede e orgoglio.
 

Celebrare la festa del Cristo Re significa schierarsi, riconoscere la propria salvezza nel gesto d'amore di un Dio che afferma la sua regalità non con la forza ma con l'amore. Noi non scambiamo l'amore crocifisso per debolezza. Sappiamo invece che proprio lì c'è la forza massima, una forza che governa la storia e che nessuna potenza umana o spirituale potrà mai sopraffare.

Testo di don Marco Pratesi