Santo del giorno 12 ottobre: san Serafino da Montegranaro
News del 12/10/2024 Torna all'elenco delle news
San Serafino da Montegranaro (1540 - 1604) fratello laico cappuccino che, come scrive San Giovanni Paolo II, «aveva assimilato così profondamente l’esortazione evangelica a "pregare sempre, senza stancarsi mai" che la sua mente restava abitualmente immersa nelle cose dello spirito, si soffermava a contemplare la presenza divina nel creato e nelle persone e ne traeva spunto per una costante unione con Dio. Lo spirito di convinta minorità, divenutogli connaturale nel corso degli anni, lasciava trasparire la vera grandezza della sua anima». Questo rinnegamento e annientamento di sé è il segreto della sua santità: «la via per andare su è quella di scendere in giù» era il suo motto. E' sepolto nel convento di Ascoli Piceno e a Montegranaro, suo paese natale, sorge un santuario a lui dedicato
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Martirologio Romano: Ad Ascoli, san Serafino da Montegranaro (Felice) de Nicola, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che, vero povero, rifulse per umiltà e pietà.
Serafino nacque nel 1540 a Montegranaro nelle Marche. Era povero: per un periodo fece il custode di gregge. A 18 anni entrò in convento a Tolentino. Fu accolto come religioso fratello nell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini e fece noviziato a Jesi. Peregrinò per tutti i conventi delle Marche, perché, nonostante la buona volontà e la massima diligenza che poneva nel fare le cose, non riusciva ad accontentare né superiori, né confratelli, che non gli risparmiarono rimproveri. Ma egli dimostrò sempre tanta bontà, povertà, umiltà, purezza e mortificazione. Nel 1590 Serafino si stabiliva definitivamente ad Ascoli Piceno. Due i «libri» fondamentali per lui: il crocefisso e la corona del rosario con cui si faceva messaggero di pace e di bene. Aveva 64 anni e la fama della sua santità si diffondeva per Ascoli, quando egli stesso chiese con insistenza il viatico. La morte lo colse il 12 ottobre 1604. Dopo essere spirato, semplice anche nella morte, la voce del popolo che lo diceva santo giunse anche alle orecchie del Papa Paolo V, il quale autorizzò l'accensione di una lampada sulla sua tomba. Fu canonizzato da Clemente XIII il 16 luglio 1767.
l suo motto è: «la via per andare su è quella di scendere in giù». Umile fraticello francescano, analfabeta, mai ordinato sacerdote, non può confessare, né predicare. Felice Rapagnano nasce nel 1540 nelle Marche, a Montegranaro (Fermo) in una povera famiglia di contadini. Mentre gli altri bambini vanno a scuola, lui porta al pascolo le pecore. Come San Francesco d’Assisi, Felice, educato dalla madre Teodora Giovannuzzi ad essere un buon cristiano, impara ad amare la natura. I suoi “libri” sono gli uccellini che cinguettano, il sole, la luna, i fiori, gli alberi, il vento.
Quando muore il padre Girolamo, a quindici anni Felice è manovale assieme al fratello Silenzio che fa il muratore. Nei pochi momenti liberi, il timido Felice si avvicina alla figlia del padrone per cui lavora, non perché sia interessato a lei, ma per farsi leggere ad alta voce i libri che la ragazzina possiede. Questi libri parlano di Gesù. Il ragazzo rimane talmente affascinato dalle parole che ascolta, da voler entrare in convento. Riesce a farsi accogliere dai Frati Minori Cappuccini di Tolentino (Macerata) e Jesi (Ancona). Felice cambia il suo nome e diventa Serafino. Rimane un semplice cappuccino laico perché non sa né leggere né scrivere. Indossati il tipico saio con il cappuccio, stretto in vita da una corda, e i sandali, lo trasferiscono da un convento all’altro a fare il cuoco, l’ortolano o il portinaio. Fra Serafino ha tanta buona volontà, ma è impacciato e maldestro, così spesso viene rimproverato dai superiori e dai confratelli, e lui risponde sempre con dolcezza, umiltà e pazienza.
Nel 1590 si stabilisce ad Ascoli Piceno dove lo mandano a chiedere le offerte per il convento e per i poveri. Serafino si rivela un uomo gradito a Dio. I suoi “libri” diventano il crocifisso e il Rosario che porta sempre con sé. Si fa amare da tutti, ricchi e poveri. Mangia e dorme pochissimo, regala tutto ai bisognosi, soprattutto gli ortaggi che coltiva con un’abbondanza di frutti stupefacente, fa visita ai malati e ai carcerati, fa diventare buoni i cattivi, porta pace nelle famiglie e, se in casa non vede un’immagine sacra, s’infervora. Compie tanti miracoli di guarigione come quelle volte in cui sana la spalla fratturata di suo fratello e guarisce la gamba di un cardinale. Ascoli Piceno insorge contro la decisione di un suo ennesimo trasferimento, riuscendo a farlo rimanere in città. Serafino muore nel 1604 ad Ascoli Piceno dove è sepolto. Nel suo paese natale, a Montegranaro, sorge un santuario a lui dedicato.
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Perfetto osservante della regola della povertà e totalmente conformato alla spiritualità penitenziale, contemplativa e apostolica delle costituzioni dell'Ordine, aveva saputo trasformare la chiesa nella sua cella, perché abitualmente stava più in chiesa, soprattutto di notte, che in cella. E se qualcuno lo spiava ed egli se ne accorgeva, allora fingeva di dormire rumorosamente: "O santino - rispondeva celiando a chi gli faceva notare l'irriverenza - io dormo più in chiesa che in refettorio".
Era letteralmente assetato di messe, di Eucaristia, di sacramenti, di preghiera, di patimenti. Innamorato dei misteri di Cristo e della Madonna, si incantava a meditarli e si estasiava. Avrebbe desiderato di essere posto di famiglia a Loreto o a Roma per poter servire molte messe ogni giorno. Da qui il suo zelo per collaborare con Cristo a salvare le anime, le sue piccole e penetranti esortazioni spirituali, il suo fruttuosissimo apostolato vocazionale, la sua venerazione verso i sacerdoti, la sua compassione per gli ammalati e tribolati e poveri, il suo coraggioso impegno di pacificazione sociale e familiare, il suo ardore missionario e desiderio del martirio. Quasi analfabeta sapeva parlare con straordinaria competenza e unzione delle cose di Dio e quando veniva costretto per obbedienza a sermoneggiare in refettorio, le sue parole che, magari commentavano il salmo Qui habitat in adiutorio Altissimi, o la sequenza Stabat mater dolorosa, si caricavano di commozione che faceva piangere tutti.
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