Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra... Questo vi darà occasione di rendere testimonianza

News del 13/11/2010 Torna all'elenco delle news

L'anno liturgico sta avviandosi verso la conclusione e la liturgia della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario ci esorta a riflettere sulle "cose ultime", sul "giorno rovente come un fuoco" che sta per venire, come scrive il profeta Malachia.
Anche il brano evangelico di Luca sottolinea il tema della "fine dei tempi". Ma il linguaggio escatologico usato dall'evangelista non sta ad indicare letteralmente il crollo delle costruzioni e la fine della terra. Con esso si vuole indicare la fine del nostro mondo, la fine cioè di un certo modo di concepire la vita, la fine di comportamenti che obbediscono a certi ideali, a certe priorità lontane dalla giustizia e dal Vangelo.
In tale prospettiva, ogni generazione sperimenta il confronto con la dimensione escatologica della vita, nel senso che deve confrontarsi con la fine del mondo in cui vive, pensa, opera, progetta.
E' qui il messaggio della profezia di Malachia: "sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia", saranno cioè bruciati e di loro non resterà che un pugno di cenere. Per i giusti, invece, in quel giorno "sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia".
Sono parole che suonano gravi anche per il nostro tempo e per l'opera di ognuno di noi: incombe un giudizio. Questa è la sostanza del discorso sulla "fine dei tempi". Noi, già oggi, viviamo un momento nel quale il "sole di giustizia" o ci brucerà come paglia, o ci renderà operatori di un nuovo giorno. Non si tratta di lasciarsi andare ad eccitazioni apocalittiche o a frenetici e inconsulti movimenti, magari sulla scia di un facile millenarismo di fine secolo.

E' necessario comprendere la gravità del tempo presente e rinvigorire la testimonianza evangelica. Anche il brano evangelico richiama la radicalità dell'impegno evangelico per l'oggi. Così fece Gesù con i discepoli. Egli prese spunto dalla maestosa bellezza del tempio di Gerusalemme che doveva suscitare orgoglio e sicurezza nei discepoli: in quel tempio splendente di marmi e decorazioni essi sentivano una sorta di garanzia per il loro futuro e quello del popolo d'Israele. Ma Gesù subito, con gravità, disse: "di tutto quello che ammirate non resterà pietra su pietra". I discepoli, sconcertati da questa affermazione che incrinava anche la loro sicurezza, chiedono quando tutto ciò accadrà, magari pensando che se pur doveva accadere, sarebbe avvenuto in tempi lontani. Gesù non risponde alla domanda dei discepoli, ma dice loro di stare attenti, di non lasciarsi ingannare e di essere fedeli testimoni del Vangelo.

Non c'è dubbio che i nostri tempi siano gravi, basti pensare al moltiplicarsi delle guerre o al risorgente pericolo atomico (a cui nessuno sembra più porre attenzione). Non somigliano questi fatti (e se ne potrebbero aggiungere tanti altri) ai "segni" di cui parla Gesù nel Vangelo? Ascoltiamo ancora il Vangelo: "Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e ci saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze. Vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi nel cielo". Queste parole non sono proiettate verso un lontano futuro. Esse descrivono l'oggi del mondo.
Dio fronte a tutto ciò Gesù afferma: "Questo vi darà occasione di rendere testimonianza". E' a dire che in questi sconvolgimenti il Vangelo chiede ai discepoli una testimonianza coraggiosa e piena. Non è questo un tempo di accomodamenti, di aggiustamenti, di compromessi, di "optionals", come qualcuno ha detto, per salvare il salvabile. C'è bisogno che il Vangelo risplenda chiaro sul volto dei cristiani. In tal senso stiamo vivendo i "tempi ultimi", i tempi nei quali o si brucia come paglia o si risorge ad un giorno nuovo. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia 


Le parole che Gesù non dice

Il linguaggio adoperato dal profeta Malachia è del tipo dell'apocalittica ebraica, relativo alla retribuzione degli empi e dei malvagi, alla distruzione definitiva del male e all'esaltazione dei giusti. Linguaggio molto forte, categorico e convincente, il quale tuttavia ci ragguaglia di una speranza che diventerà certezza nei tempi futuri, quando ci si schiuderanno pace e benessere grazie alla giustizia apportata dal Messia e prima ancora dal "profeta Elia" che il vangelo di Marco identifica con Giovanni il Precursore.
La vittoria dei retti e dei puri di cuore è assicurata, come pure la ricompensa per chi è rimasto fedele; lo stato di pace e di giustizia sarà assicurato, tuttavia questo non senza che prima da parte nostra vi sia stata costanza nel bene, perseveranza nella prova, attesa speranzosa nella lotta quotidiana in mezzo alle prevaricazioni e alle ingiustizie.
Ogni cosa è un guadagno e si raggiunge per merito, quindi il successo e la vittoria finale, come tutti i traguardi intermedi, non si ottiene se non dopo un lungo percorso di pazienza e di umile perseveranza. Trionferà il Sole di Giustizia che viene a visitarci dall'alto, il Cristo Re universale che esercita il suo dominio prostrandosi ai nostri piedi, anzi lavandoli, per servire anziché essere servito, sconvolgendo su questo ogni logica e ogni aspettativa umana; nel frattempo però occorre vivere in pace nonostante le minacce e le perversità del quotidiano, eludere le amarezze e le sconfitte del presente e sperare risoluti nel futuro, costruendo l'avvenire un po' alla volta nei continui sforzi di tutti i giorni.
Occorre insomma vivere il presente senza fuggirne i risvolti e senza eluderne la concretezza della realtà e al contempo attendere con fiducia l'avvenire della realizzazione delle promesse del Messia. E' indispensabile impegnarsi tutti i giorni per prepararci con solerzia e responsabilità al domani che Dio ci dischiude, piuttosto che rinnegare il nostro tempo rifugiandoci nella chimera dei paradisi a breve scadenza, nuovi sistemi di vita rinnovati, illusioni di benessere immediato che ormai da secoli, non senza successo sulla massa, ci propongono sette e movimenti millenaristi.
Ci si lascia abbindolare dalla presunta imminenza di una data della fine, si rivolge l'attenzione ai vaticini subdoli degli oracoli e degli oroscopi, si concede l'attenzione alle false profezie di ingannevoli movimenti settari sedicenti cristiani o di altri movimenti che, peggio ancora, realizzano copiosi guadagni economici propinando illusioni, chimere e fantasiose preveggenze e sulla presunta fine del mondo pronosticata dal calendario Maya per il Dicembre 2012, in parecchi si sta adesso tornando sui propri passi attraverso opportune smentite, mentre intorno al tema ha preso consistenza negli scorsi anni un ingente business di libri, video, stampe che ha garantito il successo economico a singoli e a società intere!
Eppure il Signore Gesù Cristo su questo argomento è abbastanza perentorio al punto che sembra strano che lo si possa fraintendere anche in minima parte: nella lettura del vangelo di oggi notiamo come egli tratteggi ai discepoli la fine del tempio di Gerusalemme, che di fatto verrà distrutto nel 70 d. C. e se fa riferimento alla fine dei giorni terreni non lo fa certamente con presunti vaticini e previsioni avveniristiche. Forse questa è l'unica circostanza nella quale risultano più importanti ed edificanti le parole che Gesù non ha detto e che tuttavia illuminano ed edificano, piuttosto che quelle esplicite e dirette perché tacere sul tempo della fine è di sprone certamente alla costanza e alla virtù e scongiura qualsiasi malinteso o falso fraintendimento.

In forza della dottrina del Giudizio Universale, siamo certamente orientati ad attendere l'epilogo dei nostri giorni e la vittoria definitiva del bene sul male con il ritorno visibile del Cristo invitto e glorioso per la resurrezione finale, ma va considerato che lo stesso Signore omette ogni informazione e ogni predizione sul "momento della fine" e piuttosto che soddisfare la curiosità degli interlocutori che gli domandano quale sia il giorno e l'ora, si preoccupa di metterli in guardia, con il severo ammonimento: "lasciate che nessuno vi inganni", poiché infatti qualsiasi predizione è ingannevole e perversa visto che incute la volontà di assumere determinati tenori di vita sulla paura e sul rifiuto ridicolo del presente con conseguenze di fanatismo e di suscettibilità psicologica e l'inganno maggiore consiste nel distoglierci dal vero cristianesimo che impone la lotta e non la fuga, il realismo e non le illusioni passeggere, il guadagno delle ricompense e non regali immeritati che ci verrebbero donati a piene mani purché obbediamo ad un leader o sottostiamo ad un movimento. L'inganno maggiore consiste in definitiva nel farci rinnegare la virtù e la costanza nel bene, nonché il nostro sforzo nel lavorare al presente per costruire il futuro giorno dopo giorno. 

Testo di padre Gian Franco Scarpitta 


Nesso tra le letture

Il presente e il futuro sono due categorie che si ergono in qualche modo in questa penultima domenica del ciclo liturgico. Gli "arroganti e malvagi" del presente saranno strappati alla radice il Giorno di Javeh, mentre i "fedeli al mio Nome" saranno illuminati dal sole di giustizia (prima lettura). Le tribolazioni e le disgrazie del presente non debbono perturbare la pace dei cristiani, perché, mediante la loro perseveranza nella fede, riceveranno la salvezza futura (vangelo). San Paolo invita i tessalonicesi ad imitarlo nella sua dedizione al lavoro, qui sulla terra, per ricevere poi nel mondo futuro la corona che non marcisce (seconda lettura).

Cittadini di due mondi. Ogni uomo, che lo voglia o no, è iscritto nel registro di due mondi diversi. Uno è il mondo presente, la terra che calpestiamo e l'aria che respiriamo, un mondo passeggero, segnato dal limite e dalla caducità. L'altro mondo è il mondo in cui regna il sempre e l'infinitudine, il mondo futuro verso il quale l'uomo e la storia si incamminano. L'interessante è che questi due mondi si succedono cronologicamente, ma soprattutto si intrecciano e si incrociano nella vita degli uomini. Nessuno di essi ci è estraneo, in nessuno viviamo come se l'altro non esistesse. Nel mondo presente non possiamo non pensare al futuro, e nel mondo futuro non si potrà dimenticare il presente. Le vicissitudini della storia, i suoi conflitti e le sue pene ci rimandano quasi inesorabilmente verso il futuro. La gioia e la pienezza del mondo futuro solleciteranno il nostro interesse, perché tutti gli uomini di questo mondo possano raggiungerli. Come cittadini del presente, dobbiamo essere occupati e dediti al compito del progresso, della giustizia, dell'avanzare dell'umanesimo e della solidarietà, della crescita nei valori. Come cittadini del futuro, dobbiamo guardare verso l'instaurazione del Regno di Cristo e verso la santità dei cristiani. Il presente in cui viviamo è compito di elezione e di rinuncia, il futuro sarà tempo di possesso e di gaudio. Il presente è tempo di ideali e di realizzazioni, il futuro lo sarà di incontro e di intimità. Il presente è tempo di costanza nella lotta, il futuro sarà tempo di riposo nella pace. Il presente è tempo di speranza nella fede e nell'amore, il futuro lo sarà di trionfo pieno dell'amore perfetto. Due mondi distinti, non distanti, ma uniti nel cuore dell'uomo. Due mondi in cui il cristiano deve vivere al meglio, facendo onore al suo nome.

La luce della giustizia. In questo mondo non sempre la luce della giustizia brilla con tutto il suo splendore. C'è anche molta tenebra di ingiustizia. E per questo l'uomo onesto e buono è insidiato dalla tentazione di dire: "E' inutile servire Dio! Che cosa ci guadagniamo, osservarndo i suoi comandamenti?" (Prima lettura). Forse giungono alle nostre orecchie voci di falsi profeti che gridano: "Sono io!", o che predicono con presunzione: "Il tempo sta per giungere". (Vangelo). E giungono a preoccuparci codeste voci, e creano nei cristiani una certa perplessità. All'oscuro circa il futuro, c'erano, anche tra i cristiani di Tessalonica, alcuni che "non lavoravano e si impicciavano di tutto" (seconda lettura). Evidentemente, creavano confusione e perturbavano la vita e la pace della comunità. Codesta tenebra di ingiustizia non è propria soltanto del tempo dell'Antico o del Nuovo Testamento, continua ad essere attualissima nel nostro tempo. Non c'è forse molta gente convinta del trionfo del male sul bene? Non ci sono di quelli che intimoriscono la gente, soprattutto semplice e senza molta cultura, parlando di rivelazioni ricevute sul fatto che la fine del mondo sta per arrivare? Non abbondano i falsi profeti e dottori, che gironzolano qua e là, insegnando dottrine erronee? La rivelazione di Dio, raccolta nei testi liturgici di questa domenica, ci ricorda: "Dio farà brillare la luce della giustizia". Può essere che codesta luce già cominci a brillare in questo mondo, ma certamente il sole della giustizia irradierà i suoi raggi nel mondo futuro. Il cristiano, pertanto, in mezzo alle ingiustizie e alle persecuzioni, deve mantenersi tranquillo, paziente e in grande pace, perché Dio interverrà a suo tempo. "Con la vostra perseveranza, ci dice Gesù Cristo nel vangelo, salverete le vostre anime".

Il tempo della Chiesa. Tra la Pentecoste e la fine della storia si trova il tempo della Chiesa. Questa Chiesa che ha già 21 secoli, che vive il presente cercando di essere fedele al suo Fondatore, e che guarda al futuro con speranza. Gesù Cristo non ha risparmiato tribolazioni a questa Chiesa. Ma non è stato nemmeno avaro con Lei in consolazioni. Nella sua storia passata e presente, vediamo una innumerevole fila di uomini e donne fedeli al loro Signore, e, insieme, defezioni, falsi maestri, apostasia, tradimento. Durante i secoli, in molti luoghi dove non c'era pace, i cristiani santi hanno seminato pace e concordia tra gli uomini, ma ci sono stati anche cristiani, in questi stessi secoli, che hanno sparso discordia, guerra, rivoluzione, disaccordi nella famiglia, nei gruppi, umani, tra le nazioni. Ci sono stati, nella lunga storia del cristianesimo, re e governanti cristiani, estremamente santi, e che hanno fatto tanto bene. Al loro fianco, ci sono stati, allo stesso modo, e continuano ad esserci, re e governanti che hanno perseguitato i loro fratelli nella fede per motivi politici o per interessi ideologici. Nella storia ci sono anche i nemici di Dio e della sua Chiesa. Ricordiamo gli imperatori che, per tre secoli, con maggiore o minore intensità, perseguitarono il cristianesimo come religio illicita, e consideravano i cristiani come atei, perché non adoravano gli dei dell'Impero. Pensiamo ai tormenti che soffrirono i figli della Chiesa in Giappone e in Cina, per il fatto che il cristianesimo fosse considerato come straniero, e come estraneo completamente alle proprie tradizioni religiose. E che cosa dire della brutale persecuzione e dello sterminio del comunismo nei confronti dei cristiani, laddove il socialismo reale fu e continua ad essere un triste ed orrendo incubo dell'umanità nella sua storia? Il tempo della Chiesa è stato e continuerà ad essere così fino alla fine: tempo di tribolazione, e tempo di consolazione e di pace. Questa è la Chiesa in cui viviamo, quella che amiamo, e nella quale lavoriamo per il Regno di Dio!

Vivere il presente dal futuro. Molto spesso, si pensa che si debba vivere il presente con un occhio al passato, per apprendere dallo stesso, dato che "la storia è maestra della vita". Non nego che questo sia vero. Voglio segnalare, tuttavia, un aspetto proprio della nostra fede cristiana. Si deve vivere il presente come chi già avesse percorso il cammino della vita, e si trovasse nel mondo futuro. È chiaro che le prospettive e il modo di vivere il presente sarebbero molto diversi. Ciò vale nella vita dell'uomo: se fosse possibile vivere i venti anni dalla prospettiva dei sessanta, senza alcun dubbio si vivrebbero in un modo diverso. A maggior ragione vale quando ipoteticamente ci collochiamo nell'aldilà. Domandiamoci: dall'eternità, come avrei voluto vivere il giorno di oggi, questa situazione familiare, questo momento personale di crisi, questa relazione affettiva, questo ambiente di lavoro? Codesto futuro crea una distanza tra noi e il nostro presente, e, creando distanza, ci permette di vedere le cose con maggior pace ed obiettività. Codesto futuro, ci mette nel mondo di Dio e, in questo modo, ci concede il potere di pensare alle diverse situazioni del presente e della vita con lo stesso modo di pensare di Dio. A partire dal futuro, conosciamo meglio e sappiamo applicare con maggior esattezza e coerenza al presente la regola della nostra fede e la misura della nostra condotta. Non si deve cadere nell'utopia, ma una scintilla di futuro nel nostro presente è sufficiente per accendere l'anima con nuovo ardore ed entusiasmo. 

Testo di Totustuus 
 

Liturgia della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario: Domenica 14 novembre 2010 

Liturgia della Parola della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario: Domenica 14 novembre 2010