Santo del giorno 11 settembre: sant'Elia lo Speleota

News del 11/09/2024 Torna all'elenco delle news

Sant’Elia Speleota è con San Nilo di Rossano uno dei più importanti rappresentanti del monachesimo bizantino in Italia. La Chiesa Orientale gli ha conferito il titolo di “Sole d’Occidente”. Nato a Reggio Calabria nel 863 da una famiglia agiata, appena diciottenne decide di farsi monaco prima ritirandosi a vita eremitica su un monte presso Taormina, poi in pellegrinaggio sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma, infine rientrato nella sua Reggio con un anziano monaco allora famoso, Arsenio, alla morte del quale diviene la guida carismatica del monachesimo calabrese, fondando presso Melicuccà un cenobio che accoglie sino a 150 monaci.  I resti dell’antico complesso delle grotte eremitiche sono una delle più importanti testimonianze archeologiche della grecità Bizantina nell’Italia meridionale. La grotta più ampia, conosciuta come la “divina e famosa grotta”, oggetto del culto popolare, ospita la miracolosa sorgente detta “acqua del giardino di S. Elia” o àghiasma (“fonte sacra”) una sorta di acquasantiera naturale in pietra, che raccoglie l’acqua che gocciola all’interno della grotta. Sulla parete laterale dell’altare è scolpita  la frase di Sant’Elia: ”L’acqua che gocciola dalla pietra inumidita della grotta ha la virtù di sanare”.

 

Martirologio Romano: Nel monastero di Aulinas in Calabria, sant’Elia, detto lo Speleota, insigne cultore della vita eremitica e cenobitica.

 

Sant’Elia Speleota (così chiamato per distinguerlo dall’omonimo profeta e da S. Elia Juniore) nacque a Reggio Calabria nel 863 da ricchi genitori, Pietro e Leonzia.

All’età di diciotto anni, la madre Leonzia gli propose di sposare una nobile giovinetta e di metter su famiglia. Elia, però, rifiutò la proposta e fuggì di casa andando prima a Taormina di Sicilia, a far penitenza, e poi si diresse in pellegrinaggio a Roma. Qui, nelle vicinanze della città eterna, prese l’abito monastico di S. Basilio Magno (forse nell’abbazia di Grottaferrata).

Tornato a Reggio di Calabria, Elia fuggì di nuovo, stavolta col monaco Arsenio, diretto a Patrasso in Oriente. Nel frattempo i Saraceni irruppero in Calabria fecendo stragi e schiavi.

Al ritorno da Patrasso, Sant’Elia Speleota (=abitatore di grotte), insieme ai monaci Cosma e Vitale, si ritirò a condurre vita di penitenza nella grotta di Melicuccà.

Qui, ben presto, gli abitanti dei paesi vicini, attratti dalla sua fama di santità, venivano a visitarlo, ascoltarlo, a ricevere da lui conforto e incoraggiamento.

L’11 settembre del 960, quando aveva già 97 anni, Elia morì. Fu sepolto nel sepolcro che lui stesso aveva scavato nella grotta con le sue mani.

Lì, il suo corpo rimase sepolto fino al 2 agosto 1747 quando furono scoperte le sue ossa. In quell’occasione, come attesta l’atto pubblico rogato dal notaio Fantoni Carmelo il 12 agosto di quell’anno, Antonio Germanò, giovane di Melicuccà gravemente ammalato, alla sola vista delle ossa di sant’Elia guarì istantaneamente.

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un monaco che il popolo fece santo

Secondo la “Vita”, fonte principale per la sua biografia, scritta da un anonimo monaco e raccolta in unico manoscritto, scritto nel 1308 nel monastero di S. Salvatore in lingua Phari a Messina, Elia nacque a Reggio Calabria da famiglia agiata fra l’860 e l’865. Da bambino in un grave incidente perse una mano e perciò ebbe dai contemporanei il soprannome di μονόχειρ (moncherino).

Appena diciottenne decise di farsi monaco intraprendendo così un lungo cammino spirituale che lo porterà alla santità. La prima tappa di questo percorso è il ritiro a vita eremitica nella chiesa di S. Aussenzio sulle pendici di un monte presso Taormina. Successivamente Elia, condusse un pellegrinaggio per visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo a Roma, dove ebbe la possibilità di conoscere l’esperto Ignazio che lo educò alla vita monastica. Finito questo periodo di apprendistato Elia rientra nella sua Reghion per unirsi ad un anziano monaco allora famoso, Arsenio, che viveva al tempo nel monastero di Santa Lucia, è qui che riceve l’abito monacale.

Con Arsenio in fuga verso la Grecia

Per sfuggire ad un attacco dei Saraceni contro la città, i due monaci si rifugiarono in Grecia a Patrasso, dove vissero asceticamente per ben otto anni in una torre solitaria. Elia e Arsenio vissero ben voluti dalla comunità locale e dal vescovo che a malincuore li lasciò partire per rientrare in Calabria. Dopo la morte di Arsenio, Elia divenne la guida carismatica del monachesimo calabrese che si andava diffondendo nella regione delle Saline. Gli studi hanno dimostrato che questa località è oggi identificata col territorio della Piana di Gioia Tauro che è attraversato dal fiume Petrace, pressappoco la zona compresa tra i centri di Oppido Mamertina, Palmi e Gioia Tauro. 

Dalla grotta al cenobio

All'inizio visse con l'eremita Cosma ed il suo discepolo Vitalio in una grotta. Crescendo la sua fama l’esperienza calabrese, attirò monaci e fedeli da ogni dove, per questo Elia fu costretto, suo malgrado, ad interrompere la sua vita eremitica e a fondare un cenobio in una grotta più grande e accogliente, dove poter accogliere una comunità monastica che via via andò crescendo sempre di più. In questo luogo morì novantaseienne, dopo ben settantun anni di vita eremitica. Il 960, è tramandato convenzionalmente come anno della morte, da allora il monastero fondato da Elia assunse il titolo di "imperiale monasterium", segno di particolare attenzione da parte dell'imperatore. L'importanza di Elia lo Speleota nel monachesimo greco dell’Italia medievale è testimoniata anche dal fatto che il suo nome è accostato ad altri grandi del tempo, come San Fantino il Giovane e San Luca d'Armento, che di Elia furono suoi discepoli e San Nicodemo di Cellarana che lo raccomandò ai fedeli come autore di miracoli.

Là dove si compirono i miracoli

Nel territorio del comune di Melicuccà, il cui nome deriva dall’insediamento fondato dagli abitanti della zona tra ampi boschi dei bagolari, in greco melikokkos, nel cuore della Piana di Gioia Tauro, su una ripida parete di tufo con cavità e anfratti, sorge l’antico complesso delle grotte eremitiche che ospitarono nell’alto medioevo il cammino ascetico di Sant’Elia. Il sito rappresenta una delle più importanti testimonianze archeologiche della grecità Bizantina nell’Italia meridionale. Risalente al X secolo, conserva i resti del cenobio e delle fabbriche annesse (cantina, mulino, palmenti, necropoli) nei periodi di massimo splendore le strutture ospitarono oltre centocinquanta monaci.

La grotta più ampia, conosciuta come la “divina e famosa grotta” oggi è oggetto del culto popolare ed l’unica lasciata intatta dai terribili terremoti. Alta oltre quattro metri e profonda diciotto ospita la miracolosa sorgente detta “acqua del giardino di S. Elia” o àghiasma (“fonte sacra”) una sorta di acquasantiera naturale in pietra, che raccoglie l’acqua che gocciola all’interno della grotta, e alla cui fonte si compirono diversi miracoli. 

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SANT’ ELIA SPELEOTA E L’ ACQUA MIRACOLOSA A MELICUCCA’

Secondo le fonti nacque a Reggio Calabria nell’864, figlio   di Pietro e Leonzia.

Apparteneva ad una nobile famiglia.

Quando era bambino, Elia fu spinto a terra da un compagno di giochi e cadendo si fratturò una mano, un medico sprovveduto gli legò la mano ferita così forte che gli caddero le dita, per cui fu chiamato monochiro “con una sola mano”.

I suoi volevano farlo sposare con una giovane nobile, ma lui si oppose fermamente. Seguì la vita eremitica prima sulla collina di San Nicone sopra Taormina e in seguito raggiunse Padre Arsenio presso la chiesa di Santa Lucia a Mindino di Reggio. Perseguitato si trasferì a S. Eustrazio presso il paese di Armo(Sant’Agata).

Si rifugiò a Patrasso per scampare ai Saraceni, dove visse otto anni.

Rientrò non senza problemi in Calabria, arrivò alla Saline, dopo la morte del suo maestro e amico Arsenio, desideroso di conoscere Elia il Giovane.

Deciso a seguire una via solitaria, si trasferì alla grotte di Melicuccà al seguito di Cosma e Vitalio.

In principio visse nella “grotta piccola” che in un secondo tempo fu adibita a cantina e in seguito a cimitero.

Subito attorno a Lui si formò una schiera di fedeli così numerosa da indurre gli eremiti Cosma e Vitalio ad allontanarsi.

Una notte Elia ebbe una premonizione che lo spinse ad aprire un cenobio.

Elia sognò uno sciame d’api che  gli girava intorno, senza però pungerlo, tanto che lui decise di raccoglierle tutte in un vaso che sistemò in un orto.

Alcune di quelle api però gli rimasero attaccate alla barba, segno che  non volevano andare via.

Sant’Elia capì così che era volontà di Dio che lui restasse lì e aprisse in quelle caverne in monastero.

Fu allora che  venne scoperta la ”grotta grande”

Con il passare degli anni i discepoli aumentarono, rendendo necessaria la costruzione di un cenobio vicino la sorgente chiamata “acqua di Sant’Elia”.

Sant’Elia morì  l’11 settembre del 960 e fu sepolto nella grotta.

Il 2 agosto del 1747 furono ritrovate le ossa attribuite a Lui.

Un corpo senza testa insieme a quello di un altro monaco nella “grotta piccola”.

Secondo i racconti in quella circostanza avvennero fatto prodigiosi.

Quello più conosciuto riguarda Antonio Germanò che da ben 11 anni era preda del Demonio il quale aveva promesso di liberarlo, solo nel caso in cui venissero ritrovate le ossa di Sant’Elia.

Quando furono ritrovate l’abate Grillo per oltre un’ora esorcizzò Antonio, che alla fine del rito iniziò a correre verso la grotta più piccola, dicendo che si sarebbe fermato solo nel punto esatto in cui era stato sepolto Elia.

Arrivato all’interno della grotta cadde al suolo sfinito. Lì dove si accasciò, secondo la leggenda, furono ritrovate le ossa e il giovane guarì.

Il 24 maggio del 1754 un’immagine di Sant’Elia custodita nella grotta iniziò a sudare.

Si narra anche che sotto l’occhio sinistro comparve un rivolo di sangue.

Veniamo ora al complesso delle grotte che come ha ben sottolineato il parroco don Paolo Martino è il luogo più santo di tutta la Calabria(meta di pellegrinaggi di cattolici e ortodossi), non solo perché scelto da Sant’ Elia per il suo eremitaggio e per i 150 monaci che lo seguirono, ma anche perché è stato calpestato da molti Santi  tra cui:  San Luca da Melicuccà, San Nicodemo di Sicri (città prima di Melicuccà), San Fantino di Lubrichi, San Filarete di Seminara e sembra sia passato anche Sant’Elia il giovane.

Le grotte scelte dai monaci si aprono lungo il fianco di una montagna nei pressi di quello che fu il tracciato ferroviario, a pochi chilometri dal centro urbano di Melicuccà.

Le celle furono ricavate nel tufo vicino a una sorgente e sono i resti di un importante complesso scavato nella roccia.

Della “lavra” insieme alle celle dei monaci rimane l’aulion (una nicchia piccola) e la grotta di Sant’Elia dove si arriva percorrendo una scalinata.

Si narra che i monaci costruirono una salina, un mulino, il palmento, la cantina e c’era anche lo scriptorium dove Sant’Elia si dedicava alla copiatura di testi sacri e naturalmente le necropoli.

Questa era la più grande delle caverne. All’interno c’è un altare in marmo costruito nel 1953.

C’è una falda acquifera da cui gocciola l’acqua di una sorgente spostatasi, con il passare dei secoli, settanta metri più a valle e chiamata ”L’acqua di Sant’Elia” che secondo i  devoti è capace di guarire gli ammalati.

Sulla parete laterale dell’altare è scolpita  la frase di Sant’Elia: ”L’acqua che gocciola dalla pietra inumidita della grotta ha la virtù di sanare”.

Inoltre si trova  sulla parete di fondo della grotta la lapide in marmo che ricorda la visita del vescovo di Mileto Filippo Mincione, nel 1855, dove si legge anche “Helias fugat demones”.

Nei pressi della grotta ci sono i ruderi del monastero costruito dopo la morte del santo, costruito alla fine del X inizio XI secolo.

Fortissima è la devozione a Sant’Elia, la sua grotta è visitata da migliaia di fedeli, e tantissime sono le guarigioni  ad opera dell’acqua miracolosa.

A Sidney in Australia i melicucchesi emigrati hanno fondato  nel 1976 un’Associazione ”S. Elia Speleota” e ogni anno l’11 settembre viene festeggiato con la processione della statua per le vie del quartiere dove risiedono gli italiani.

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