Il corpo e l'anima: la resurrezione per la vita eterna
News del 05/11/2010 Torna all'elenco delle news
Le ultime domeniche dell'anno liturgico - questa XXXII è la terz'ultima - invitano a considerare il futuro, le "realtà ultime" del mondo nel suo insieme, e di ciascun uomo in particolare.
E' un invito a regolare il transitorio presente in base all'esito che gli atteggiamenti di oggi produrranno in forma definitiva nel mondo venturo. Con l'episodio narrato dal vangelo odierno, il rapporto tra presente e futuro tocca un tema di forte impatto nella vita di tutti.
Gli avversari di Gesù, in questo caso i sadducei che non credevano nella vita eterna, tentano di mostrare l'inconsistenza del suo insegnamento in proposito, presentandogli un caso-limite, verosimilmente inventato. "Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie".
In verità, per presentare lo pseudo-problema non occorreva fare ricorso alla legge mosaica detta del levirato (a un uomo era imposto di dare discendenti al fratello defunto, sposandone la vedova): qualunque vedova che si rimariti, di quale sarà moglie nell'aldilà? Né occorre precisare che la stessa domanda vale per un uomo, che in questa vita abbia contratto più di un matrimonio. Nella vita eterna, risponde Gesù, non ha più senso parlare di moglie e marito; chi raggiunge la perfezione dell'esistenza, la vive da figlio di Dio: vive cioè l'amore per Lui e per i fratelli, senza più i limiti e i condizionamenti derivanti dall'avere un corpo. Non ci sarà più bisogno di dare dimostrazioni dell'amore al prossimo, né dando un pane a chi ha fame, né passando le notti al capezzale del malato, e neppure - per venire al caso in questione - attraverso l'esercizio della sessualità.
Molti pongono l'amore al centro della propria vita, intendendo per amore l'appagamento degli istinti sessuali. Ma una tale concezione riduce il partner a uno strumento, a una "cosa" di cui servirsi. In altre parole, spesso si dà il nome di amore a quello che in realtà è una manifestazione di egoismo. Sta qui la causa, a ben guardare, del fallimento di molti matrimoni: se si concepisce il coniuge come chi può soddisfare i propri bisogni, si capisce perché, quando non è più in grado di farlo, o si incontra chi si ritiene lo possa fare meglio, lo si accantona.
L'amore invece, nell'ottica evangelica, è l'opposto: è dono di sé, è ricerca del bene dell'altro, che nel matrimonio si esprime in grado eminente attraverso il rapporto sessuale. Questo vale nella vita presente, quando i moti dell'anima si manifestano attraverso il corpo; nella vita eterna, pienezza della comunione con Dio, Amore infinito e perfetto, l'amore umano sussiste e persiste, ma finalmente liberato dai condizionamenti terreni: del tempo, dello spazio, della fisicità.
"Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito", dice Gesù. Il che non significa ignorare chi si è amato: l'amore continua, ma, immersi nell'amore di Dio, tra noi ci si amerà in altro modo, più perfetto e completo, senza aver bisogno di manifestarlo fisicamente. Le parole di Gesù sottintendono la giusta considerazione dell'amore fisico, che trova il suo senso e la sua bellezza nel matrimonio, dove tuttavia non è il fine ma un mezzo: il mezzo dato a un uomo e una donna di manifestarsi reciprocamente il dono di sé.
Testo di mons. Roberto Brunelli
Nesso tra le letture
Qual è e come è il destino ultimo dell'uomo? A questa inquietante domanda cerca di rispondere la liturgia di questa domenica. Gesù ci insegna che il destino è la vita, ma che codesta vita nell'aldilà non si eguaglia alla vita terrena (vangelo). Il martirio della madre e dei suoi sette figli al tempo della guerra maccabea, offre all'autore sacro l'occasione per proclamare vigorosamente la fede nella resurrezione per la vita (prima lettura). Paolo chiede preghiere ai tessalonicesi perché "la parola del Signore continui a propagarsi e ad acquisire gloria" (seconda lettura), una parola che include la sorte finale degli uomini davanti al Giudice supremo, che è Dio.
Mistero e realtà. Conviene affermare sempre che il destino finale dell'uomo non è chiaro come un teorema matematico, né conoscibile come la composizione chimica dell'acqua. Gesù, nel suo ragionamento con i sadducei, sostiene che è un mistero, e per questo non ricorre al raziocinio, ma alla rivelazione. "Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è un Dio di vivi, non di morti".
La storia della salvezza ci aiuta a comprendere che, essendo mistero, la salvezza stessa non è stata oggetto di una conoscenza naturale o di una rivelazione immediata. C'è stato, piuttosto, un processo lungo e pedagogico di rivelazione a partire dall'Antico Testamento fino al Nuovo. I sadducei esagerano tanto il carattere misterioso della resurrezione, che semplicemente la negano. È forse una soluzione facile, ma impropria dell'uomo, che è un eterno ricercatore della verità. Cercare di entrare nel mistero, senza distruggerlo, qui si trova la grandezza dell'essere umano sulla terra.
Ma la resurrezione non è soltanto un mistero, è anche realtà. Una realtà che non è percettibile con gli occhi della carne, ma unicamente con gli occhi della fede. Già Orazio era giunto a formulare, con la sua sola ragione, la credenza nell'immortalità. "Non omnis moriar" (non dovrò morire del tutto). Noi cristiani possiamo formulare la nostra fede nella resurrezione: "Omnis vivam" (vivrò tutto intero), in corpo ed anima, in tutta la mia realtà psicofisica. Evidentemente, non si deve mettere tanto in risalto la resurrezione corporale da giungere ad immaginarla come la vita terrena nel suo grado massimo di perfezione. "Non possono più morire, perché sono angeli" (vangelo). L'uomo sarà trasformato e, senza cessare di essere uomo, esperimenterà e vivrà la sua umanità in un modo adeguato a un mondo infinito ed eterno. Il destino dell'uomo non è che una realtà misteriosa e un mistero imbevuto di realtà. Separare il mistero dalla realtà o la realtà dal mistero conduce a distorcere la verità della fede nella resurrezione dei morti.
Martirio e vita. Il martirio, perfino per i non credenti, ha un potere di seduzione assai notevole. Un martire per la propria fede non è soltanto gloria della sua religione, ma dell'intera umanità. È un eroe e, se è cristiano, è anche un santo, un eroe della grazia e un evangelizzatore, perché trasmette la fede cristiana con l'offerta della sua vita. La madre e i sette figli di cui ci parla la prima lettura sono stati per i giudei e per i cristiani un esempio permanente di fortezza spirituale e di fede nella resurrezione. "Il Re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a una vita nuova ed eterna", così formula la sua fede il secondo dei fratelli.
Il martirio di tante centinaia di migliaia di cristiani, nel corso di 21 secoli, è il segno di credibilità più probante della resurrezione dei morti. Un martirio che si radica nel grande Martirio di Gesù Cristo sulla croce per redimerci dal peccato ed ottenerci la vita eterna. La "breve pena" della sofferenza si scambia con la "vita perenne" e infinita (prima lettura). Poiché in verità martire è chi preferisce il Dio della vita all'amore della vita, chi è disposto a chiudere la porta della vita per fedeltà a Dio, e ad aprire il cancello del Paradiso per stare sempre con il Signore.
Questa è la Parola del Signore, che dobbiamo annunciare, e che dobbiamo propagare in ogni luogo. In un mondo non poco secolarizzato, ed abbastanza miope per le cose della fede, è assai necessario che noi cristiani sigilliamo la nostra fedeltà alla vita, su questa terra in cui stiamo e nell'eternità, con una vita di fedeltà.
Continuità, non uguaglianza. La nostra fede ci dice che l'essere umano resusciterà nella sua integrità. C'è, pertanto, una continuità innegabile tra l'uomo storico, che muore e torna alla polvere, e l'uomo risorto. Non risusciterà una "entelechia" umana, ma l'uomo e la donna che hanno calpestato questa terra, che hanno amato, che hanno fatto il bene, che hanno procreato ed educato i loro figli, che hanno lavorato per poter vivere, che sono morti baciando un crocifisso o recitando il rosario. Se qualcuno ponesse in dubbio o negasse questa continuità, in che cosa consisterebbe allora la resurrezione dai morti? Non sarebbe, tale espressione, un semplice flatus vocis, un suono senza senso? Allo stesso tempo la nostra fede ci dice che la continuità non equivale ad uguaglianza. La nostra polvere rivivrà, ma trascesa.
Saremo integralmente uomini, ma la nostra vita non sarà sottomessa alla condizione storica. Nell'eternità non si lavora, né si mangia, non si procrea, né si muore. "Sarete come angeli" (vangelo). Resusciteremo identici, ma diversi in ragione della stessa diversità del mondo in cui si entra e in cui si vivrà per sempre. L'uomo intero vivrà nella condizione degli angeli, perché la sua stessa dimensione corporea resterà penetrata e come trasformata dalla dimensione spirituale, e principalmente dallo Spirito di Dio.
Tutto ciò è importante per la catechesi, la predicazione, e l'accompagnamento spirituale. Non è male che ai bambini si parli del cielo in un linguaggio immaginativo e sensoriale. Ciononostante, credo che si debba elevarli a poco a poco, gradualmente, da una concezione sensoriale a una concezione sempre più spirituale della vita eterna. Effettivamente, voler piantare la terra nel cielo è sempre stata una grande tentazione dell'uomo. Non succede a volte che ci siano persone di 50 e 60 anni, la cui concezione del cielo continua ad essere la medesima dell'infanzia? Non sarà, questa, una, tra le altre cause, per cui si trova in crisi la fede nella resurrezione dei morti e nella vita futura?
Un messaggio di speranza. Se ragioniamo con fede, non c'è dubbio che la resurrezione dei morti sia un messaggio di speranza. Per il credente, il tesoro più prezioso non è la vita che si ha, ma quella che si aspetta. Ciononostante, la vita attuale è preziosissima. Come non lo sarà, se in essa l'uomo si gioca tutta l'eternità? La speranza cristiana non fa vivere lontani dalla realtà del mondo e della storia, ma interamente dediti a fare storia: storia di salvezza. Costruire la storia non è soltanto compito dei non credenti, è ancora a maggior ragione compito di chi crede nel Signore della storia e nella marcia della storia verso il suo sbocco finale. Sì, come cristiano, spero che Dio aprirà le porte dell'eternità alla mia mente, al mio cuore, al mio corpo, alla mia vita. Perché la speranza cristiana nella resurrezione è messaggio di vita in pienezza, di presenza viva davanti allo stesso Dio vivo. È vivere senza orologio né cronologia, stando sempre con il Signore, come sommersi nell'oceano stesso della vita.
Il messaggio cristiano è un messaggio di speranza, perché annuncia il trionfo della vita sul tempo e sul male, il trionfo di Dio su tutti i suoi nemici, l'ultimo dei quali è la morte. Questo messaggio non se lo è inventato la Chiesa, proviene dal Dio "che ci ha dato gratuitamente una consolazione eterna e una speranza beata" (seconda lettura). Vale la pena di testimoniare con parole ed opere questo messaggio di speranza!
Testo di Totustuus
Liturgia della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (anno C): 7 novembre 2010
Liturgia della Parola della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (anno C): 7 novembre 2010