Santi del giorno 31 agosto: Giuseppe di Arimatea e Nicodemo

News del 31/08/2024 Torna all'elenco delle news

Sono ricordati insieme perchè, entrambi discepoli di Gesù anche se di nascosto,  insieme raccolgono il suo corpo dalla croce e gli danno sepoltura. Giuseppe è il consigliere del Sinedrio incaricato delle tombe pubbliche, Nicodemo è un fariseo o capo degli ebrei, anch'egli membro del Sinedrio che interviene in favore di Gesù quando viene giudicato. A lui si attribuisce un Vangelo apocrifo scritto in greco che descrive la passione di Gesù discolpando Pilato. Giuseppe di Arimatea è invocato come ptrono dei funerali e protettore di becchini e pompe funebri. I resti di Nicodemo si trovano in un sepolcro nella Cattedrale di Pisa, dove furono portati durante le crociate.

 

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Martirologio Romano: A Gerusalemme, commemorazione dei santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che raccolsero il corpo di Gesù sotto la croce, lo avvolsero nella sindone e lo deposero nel sepolcro. Giuseppe, nobile decurione e discepolo del Signore, aspettava il regno di Dio; Nicodemo, fariseo e principe dei Giudei, era andato di notte da Gesù per interrogarlo sulla sua missione e, davanti ai sommi sacerdoti e ai Farisei che volevano arrestare il Signore, difese la sua causa.

 

Giuseppe di Arimatea, la cui figura emerge con forza nei Vangeli in occasione della sepoltura di Gesù, è un uomo ricco e onorato, un proprietario terriero che fa parte del Sinedrio. Secondo Marco, «anche lui aspettava il regno di Dio». È cioè un ebreo credente la cui fede nella speranza di Israele si traduce nella simpatia verso Gesù e nel dissenso da coloro che hanno favorito la sua condanna. Matteo va oltre, affermando che era un discepolo del rabbi di Nazaret, Giovanni specifica «di nascosto per timore dei Giudei». Con questo commento l’evangelista vuole evidenziare che egli, primo tra i giudei, dopo la morte di Gesù ha abbandonato ogni precedente, pusillanime esitazione ed è venuto alla luce. Ricorre difatti alla sua posizione altolocata per ottenere da Pilato il corpo di Gesù che, secondo le abitudini dei romani, doveva essere seppellito in una fossa comune. Un gesto di coraggio e di generosità, perché la simpatia per un condannato poteva esporlo al rischio di essere considerato complice del giustiziato e passibile del medesimo supplizio. Inoltre il contatto con un cadavere gli impediva di celebrare la Pasqua giudaica ormai imminente. Aiutato da Nicodemo, che porta aromi in grande quantità, Giuseppe si distacca così dal sistema cultuale degli ebrei e si prepara alla celebrazione della gloriosa vittoria del crocifisso sulla morte in quello stesso giardino dove Gesù apparirà risorto alla Maddalena. Dopo la Pasqua, non abbiamo più sue notizie dai Vangeli canonici, ma solo dagli scritti apocrifi. La sua figura è familiare all’immaginario dei credenti per la presenza nelle innumerevoli rappresentazioni della deposizione e sepoltura di Gesù. Un tempo il Martirologio Romano lo commemorava in data 17 marzo, mentre nell'edizione promulgata da San Giovanni Paolo II è posto al 31 agosto insieme a San Nicodemo.

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Giuseppe d’Arimatea è menzionato in tutti e quattro i Vangeli. Era un uomo ricco, «buono e giusto» di Arimatea (in ebraico Ramathaim, tra Tel Aviv-Giaffa e  Gerusalemme), un consigliere (probabilmente membro del Sinedrio, il consiglio supremo, o del Beit Din, il tribunale minore) che non aveva votato per la condanna di Gesù, al contrario era uno dei Suoi discepoli e viene detto che stava cercando il regno di Dio.

Dopo la morte di Gesù Giuseppe ottenne il corpo da Pilato, comprò dei lenzuoli di lino, ve lo avvolse e lo seppellì nella sua tomba di famiglia nuova, scavata nella roccia (Mt 27, 56-60; Mc 15, 43-46; Le 23, 50-56; Gv 19, 38-42). È stato suggerito che Gesù, ucciso come un malfattore, avrebbe dovuto essere seppellito in una tomba pubblica, e la famiglia avrebbe potuto raccogliere le ossa solo dopo un anno.

Giuseppe era il consigliere del Sinedrio incaricato delle tombe pubbliche  per questo ebbe la possibilità di prendere il corpo, forse non fu solo una “coincidenza fortunata” il fatto che fosse anche un discepolo di Gesù.

Soltanto nel Vangelo di Luca viene messo in risalto il fatto che Giuseppe non avesse partecipato alla decisione di mettere a morte Gesù.  opera una netta distinzione tra il popolo (che segue Gesù) e i loro capi (che si comportano in maniera contraria); questo episodio rappresenta perciò un elemento di compensazione rispetto a questo squilibrio. Non si deve confondere questo Giuseppe con uno dei «fratelli del Signore» (Mt 13, 55; 27, 56).

Questo è tutto quello che si conosce di Giuseppe; egli rimane tuttavia una figura straordinariamente affascinante. Alcuni racconti su di lui hanno una forza letteraria e simbolica considerevole, altri sono noiosi, altri ancora bizzarri. Giuseppe è citato nei tardi vangeli apocrifi: nel Vangelo di Nicodemo (o gli Atti di Pilato; che risalgono a non prima del IV sec.) venne rinchiuso “dagli ebrei” in una cella senza finestre, sigillata con il sigillo di Caifa; una volta liberato aiutò a fondare la prima comunità cristiana a Lidda. Nella Leggenda aurea, gli ebrei lo murano in un muro di mattoni perché continuava a predicare il Vangelo; viene miracolosamente nutrito e sostenuto con cibo dal cielo fino alla liberazione.

I manoscritti più antichi della Storia di Giuseppe d’Arimatea  risalgono al XII secolo: in essi Giuseppe viene imprigionato per aver richiesto il corpo di Gesù a Pilato, viene poi liberato da Gesù e dal buon ladrone e trascorre tre giorni con loro, testimoniando lo stupore di Giovanni, il discepolo amato, al vedere il ladrone innalzato come «un re in grande potenza, rivestito della croce».

Nel racconto dell’Assunzione (15 ago.) di Giuseppe (probabilmente non più antico delgiuseppe d'arimatea XIII secolo), egli viene chiamato da Maria ad assistere alla sua morte, alla rimozione dell’anima da parte di Cristo e all’assunzione del corpo in cielo.

Nella leggenda del Santo Graal, Giuseppe è associato al calice con cui venne raccolto il sangue di Cristo sul Calvario, associazione che si è dimostrata estremamente affascinante per la letteratura, l’arte, la musica e la religiosità popolare. Antropologi, etimologi, scrittori di miti, storici letterari e altri studiosi hanno a lungo discusso sulle origini della leggenda del Graal, proponendo diverse interpretazioni. Tra le teorie più diffuse del XX secolo vi sono quelle che suggeriscono antecedenti antichi nella tradizione pre-cristiana iraniana, egiziana e greca, così come in quella cristiano-bizantina. Gli studiosi oggi concordano sul fatto che la leggenda provenga dalla mitologia celtica e, in particolare, gallica e irlandese e che il Graal fosse in origine uno di quegli oggetti magici che fornivano nutrimento inesauribile e immortalità a chi ne entrava in possesso.

La versione più antica del racconto è francese e fu scritta tra il 1180 e il 1190 da Chrétien de Troyes, che attribuì la storia a Filippo d’Alsazia, che operò in un’epoca nella quale la letteratura francese scaturiva da entrambe le rive del Canale della Manica. Nel primo XIII secolo furono aggiunte varie componenti cristiane in diverse rielaborazioni del testo. La prima (ca. 1215) che menziona Giuseppe fu quella di Roberto de Boron, vissuto in Inghilterra: egli aggiunse dettagli presi da una fonte ignota, probabilmente Glastonbury. De Boron identifica il Graal come il piatto nel quale Gesù mangiò l’agnello pasquale e con cui Giuseppe raccolse il sangue del Signore alla crocifissione. Lo aveva poi portato in Inghilterra, dove i suoi discendenti lo custodivano.

L’ultimo era stato Parsifal, il cui nonno era il “Re pescatore”. L’originale De Antiquitate Glasloniensis Ecclesiae di Guglielmo di Malmesbury (1130 ca.) non fa menzione della leggenda di Glastonbury. Un secolo più tardi una versione ampliata riferisce che S. Filippo Apostolo (3 mag.) andò in Gallia con Giuseppe, inviandolo in Inghilterra con dodici chierici al suo servizio. Essi tentarono di convertire il re, ma non ebbero successo; il monarca donò loro l’isola di Yniswitrin, o Glastonbury, dove l’arcangelo Gabriele ordinò loro di erigere una chiesa in onore di Maria, trentun’anni dopo la morte di Cristo e quindici dopo l’Assunzione di Maria (anche se Glastonbury è con ogni probabilità un insediamento celtico del VII secolo, trasformato in un monastero sassone sotto re Ina nel 708 circa e distrutto dai vichinghi nel IX sec).

Per diverse ragioni, alla fine del XII secolo l’abbazia di Glastonbury entrò in competizione con altre abbazie, poiché sosteneva, come Canterbury, di possedere le reliquie di S. Dunstan (19 mag.). Le leggende che legavano Giuseppe e Re Artù all’abbazia,  procurarono vantaggi considerevoli: infatti era importante dare alla monarchia plantageneta origini cristiane più antiche di quelle dei governatori capetingidi Francia. La pretesa scoperta delle tombe di Artù e di Ginevra a Glastonbury nel 1191 fu utile sia alla corte che all’abbazia: Glastonbury rivendicò il potere sulle abbazie dei frati benedettini neri in Inghilterra, e al concilio di Costanza (1414-1418) e di Basilea (1434) i delegati inglesi sostennero che il loro paese era stato il primo in Occidente ad accettare la fede cristiana.

La Storia di Giovanni di Glastonbury (1400 ca.) collegava Giuseppe e Artù all’abbazia, la quale possedeva passi del testo scritti su un grande A4pannello (la magna tabula) per l’edificazione dei pellegrini. Giovanni afferma che non furono solo Giuseppe e dodici chierici a passare il Canale della Manica, ma che centocinquanta altre persone passarono il canale sul mantello di Josephes figlio di Giuseppe. Yniswitrin non viene identificato solo con Glastonbury ma anche con Avalon.

La Vita di Giuseppe di Arimatea (1502), un poema in versi, amplia il racconto di Giovanni di Glastonbury con storie di guarigioni miracolose operate da Giuseppe e per primo menziona la Santa Spina, che pare sia spuntata dai resti di Giuseppe e fiorisca a Natale (la pianta a cui si fa riferimento è una discendente del biancospino tagliato da uno dei soldati di Cromwell; fiorisce due volte all’anno, verso Natale e in maggio). Si dice che la tomba di Giuseppe fosse a Glastonbury ma non fu mai trovata. In un certo periodo l’abbazia di Moyenmoutier nei Vosgi, in Francia, sostenne di possedere le reliquie di Giuseppe.

 

Nicodemo «sapiente nella legge», era un fariseo, o «un capo degli ebrei» (Gv 3,1), e perciò forse 31-San_Nicodemoanche un membro del Sinedrio. L’incontro con Nicodemo è fondamentale per l’idea del giudizio spiegata da Giovanni. In tutto il quarto Vangelo il tema del giudizio viene presentato attraverso il modo in cui la gente reagisce a Gesù: uno giudica se stesso a seconda di come si comporta con Gesù. Prima i discepoli a Cana lo accettano e vedono la sua gloria, poi i giudei alla purificazione Tempio lo rifiutano, poi arriva Nicodemo con il suo comportamento ambiguo: egli fa visita a Gesù di notte segretamente, e comprende che è un inviato di Dio.  Questa visita è il punto di partenza per il discorso sul battesimo in Gv 3, 1-20. Nicodemo è scelto per ricevere il messaggio della rinascita attraverso lo e per rappresentare una specifica reazione alla situazione.Viene per sempre associato alle memorabili parole: «Se uno non rinasce di nuovo non può vedere il regno di Dio» e «Il vento soffia dove vuole, e puoi sentirne il suono, ma non puoi dire da dove viene e dove va», e la sua domanda: «Come possono accadere queste cose?».

Egli parla a favore di Gesù nel consiglio, dicendo che la legge dà diritto all’accusato di essere ascoltato (Gv 7, 50ss.). Aiuta a seppellire Gesù e porta degli aromi molto preziosi per imbalsamare il corpo (Gv 19, 39-42). Di lui non si conosce null’altro.

Presumibilmente divenne un discepolo di Gesù. Il simbolismo della sua visita e SanNicodemodell’ambiguità del suo atteggiamento sono spiegati da S. Agostino: «Anche se si è recato da Gesù, proprio perché vi andò di notte, egli parla a causa delle tenebre della carne. Non intende quello che ode dal Signore, non capisce quello che sente dalla Luce […]. Questo uomo non conosceva che una nascita, quella di Adamo ed Eva, e non conosce ancora quella che viene da Dio e dalla Chiesa» (Vangelo di Giovanni, 1, pp. 155-158).

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