Santo del giorno 28 luglio: sant' Alfonsa dell’Immacolata Concezione

News del 28/07/2024 Torna all'elenco delle news

Sant'Alfonsa dell'Immacolata Concezione è  la prima santa cristiana nata in India. Si procurò una ferita ai piedi per sfuggire a un matrimonio combinato e realizzare il suo desiderio di essere tutta di Cristo, offrendogli le sue sofferenze. La sua tomba a Bharananganam è divenuta meta di pellegrinaggi. per i numerosi miracoli compiuti.

Scriveva: «Io sento che il Signore mi ha destinata a essere un’oblazione, un sacrificio di sofferenza… Considero il giorno in cui non ho sofferto un giorno perduto per me». «Non voglio agire o parlare secondo le mie inclinazioni. […] Voglio stare attenta a non respingere mai nessuno. Parlerò agli altri solo con parole dolci. Voglio controllare i miei occhi con rigore. Chiederò perdono al Signore per ogni piccola mancanza e la espierò con una penitenza. Non importa quali possano essere le mie sofferenze, non mi lamenterò mai e, se dovessi subire qualche umiliazione, cercherò rifugio nel Sacro Cuore di Gesù»

 

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Martirologio Romano: Nella città di Bharananganam nello Stato del Kerala in India, beata Alfonsa dell’Immacolata Concezione (Anna) Muttathupadathu, vergine, che, per sfuggire a un matrimonio imposto, si bruciò un piede mettendolo nel fuoco e, ammessa poi tra le Clarisse Malabaresi, quasi sempre malata offrì la propria vita a Dio.

 

 

Al secolo Anna Muttathupadathu, ultima di cinque figli, era venuta alla luce all’ottavo mese di gravidanza dopo il terrore provato dalla madre Maria Puthukari, che durante il sonno era stata avvinghiata alla vita da un serpente. Ricevette il Battesimo il 27 agosto, a otto giorni dalla nascita, secondo il rito siro-malabarese, proprio dei cattolici indiani che si considerano eredi dei primi convertiti dall’apostolo Tommaso, evangelizzatore della regione del Malabar. Tre mesi più tardi la piccola Anna rimase orfana della madre e passò la sua prima infanzia nella casa dei nonni. Rimase sempre molto legata al padre, che le insegnò a pregare in piedi sulla spiaggia, a braccia aperte.

La sua educazione cristiana fu curata particolarmente dalla nonna, che le trasmise la devozione a san Giuseppe. In onore dello sposo di Maria, la nonna andava a Messa ogni mercoledì, giorno in cui accoglieva in casa qualche povero e lasciava alla bambina il piacere di donare del riso o altri alimenti. Oltre alla Messa domenicale la nonna e la nipotina erano solite partecipare alla liturgia del venerdì, in ricordo della Passione di Gesù, e del sabato, in onore della Madonna, come a ‘completare’ la santa gratitudine verso la Sacra Famiglia che è nel cuore di ogni cristiano. Con la nonna recitava il Rosario tutte le sere e dalle sue labbra ascoltava spesso qualche pagina di Storia di un’anima di santa Teresa del Bambin Gesù, che la fece appassionare alla spiritualità del Carmelo. A sette anni arrivò il giorno tanto atteso della prima Comunione. «Sapete perché oggi sono così felice? Perché ho Gesù nel mio cuore», diceva alle sue compagnette. A 33 scriverà così al suo direttore spirituale: «Già dall’età di sette anni non ero più mia. Ero totalmente dedicata al mio divino Sposo».

Più complicato si rivelò invece il rapporto con una zia da cui si trasferì nel 1920. La parente cercò in ogni modo di combinarle un matrimonio, non vedendo con favore la sua vocazione religiosa. Risoluta a essere tutta di Gesù, Anna decise drasticamente di mettere un piede su un mucchio di braci accese, procurandosi una grave ustione: «Il mio matrimonio era stato organizzato quando avevo 13 anni. Che cosa dovevo fare per evitarlo? Pregai tutta la notte… poi mi venne un’idea. Se il mio corpo fosse stato un po’ sfigurato, nessuno mi avrebbe voluta! Oh, quanto ho sofferto! Offrii tutto per la mia grande intenzione». Nonostante la menomazione al piede dovette resistere ad almeno un altro tentativo di darla in moglie. Ma alla fine riuscì ad assecondare la sua vocazione e, su consiglio del confessore, entrò tra le Francescane Clarisse (fondate nel 1888): il 2 agosto 1928 iniziò il postulandato e assunse il nome di Alfonsa dell’Immacolata Concezione, per devozione a sant’Alfonso Maria de’ Liguori e alla Madonna.

Nel periodo 1930-1935 la sua salute subì un grave deterioramento, tra ferite purulente alle gambe ed emorragie. Per qualche tempo dovette interrompere il noviziato. Quando poté riprenderlo, scrisse: «Non voglio agire o parlare secondo le mie inclinazioni. […] Voglio stare attenta a non respingere mai nessuno. Parlerò agli altri solo con parole dolci. Voglio controllare i miei occhi con rigore. Chiederò perdono al Signore per ogni piccola mancanza e la espierò con una penitenza. Non importa quali possano essere le mie sofferenze, non mi lamenterò mai e, se dovessi subire qualche umiliazione, cercherò rifugio nel Sacro Cuore di Gesù». Il 12 agosto 1936 fece la professione perpetua, vivendo un giorno di indicibile gioia spirituale. Le malattie continuarono a logorarla nel corpo. Ma suor Alfonsa proseguì fino alla morte - avvenuta a 36 anni non ancora compiuti - a unire lietamente le sue sofferenze alla croce di Cristo, per amore al disegno salvifico dello Sposo. È stata beatificata nel 1986 e canonizzata nel 2008: in entrambi i casi è avvenuto il riconoscimento della guarigione miracolosa di bambini con piedi ritorti. 

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Nacque a Kudamaloor, nella regione di Arpookara e in diocesi di Changanacherry, nello Stato indiano del Kerala, il 19 agosto 1910. Fu battezzata col nome di Anna, secondo il rito siro-malabarese. Rimasta orfana in tenera età, fu educata da una zia materna e dalla nonna.

Ben presto si sentì attratta dalla vita religiosa, per cui a 17 anni, nel 1927, entrò come postulante nel monastero delle Suore Francescane Clarisse a Bharananganam, assumendo il nome religioso di suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione.

Da non confondersi con le monache fondate dai santi Francesco e Chiara d’Assisi, erano e sono una congregazione religiosa nata proprio in India, sul finire del 1800, per il servizio ai più abbandonati. Suor Alfonsa trascorse il noviziato senza tentennamenti, pienamente consapevole della scelta che aveva compiuto.

Nel 1931 emise i voti temporanei; seguirono, nel 1936, quelli perpetui. Le fu affidato il compito di insegnare, ma dovette lasciarlo per malattia; in seguito le vennero dati incarichi adatti al suo cagionevole stato di salute.

Conscia della situazione, si mantenne molto riservata e caritatevole verso tutti, cercando di non pesare alla comunità. Soffrì in silenzio sia le ostilità che non mancarono, sia le malattie, che nel 1945 esplosero in modo violento e inarrestabile, portandola a morte a soli 36 anni, il 28 luglio 1946.

Nella sua sofferenza diceva: «Io sento che il Signore mi ha destinata ad essere un’oblazione, un sacrificio di sofferenza… Il giorno in cui non ho sofferto è un giorno perduto per me». La sua fama di santità si propagò in modo impressionante dopo la sua morte.

I pellegrini che ogni anno si recavano e tuttora si recano sulla sua tomba per pregare e impetrare grazie, non solo fedeli cattolici ma anche musulmani e induisti, erano attratti dalla purezza della sua giovane vita e dal potere taumaturgico che le veniva attribuito.

Il vescovo di Palai nel 1955 iniziò il regolare processo diocesano per la sua beatificazione. Il 9 novembre 1984 venne dichiarata venerabile e infine l’8 febbraio 1986 il Papa san Giovanni Paolo II l’ha beatificata a Kottayam in India, insieme a padre Ciriaco Elia Chavara. In seguito all’approvazione di un ulteriore miracolo per sua intercessione, papa Benedetto XVI l’ha canonizzata il 12 ottobre 2008, in piazza San Pietro.

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