1 novembre 2010: Solennità di Tutti i Santi. I veri Beati.

News del 01/11/2010 Torna all'elenco delle news

Gesù aprì la bocca e disse: Beati i poveri in spirito

Quella che si legge nella Festa di Tutti i santi è una delle pagine più note del Vangelo di Matteo, quella delle "Beatitudini" (Matt.5,1-12) con cui inizia il "discorso della montagna" (Matt.5-7), la "magna charta del Regno dei cieli". Le Beatitudini sono certamente le sintesi più significativa di tutto il "lieto annuncio" di Gesù e la dichiarazione più espressiva della novità cristiana.

Il cap.5 di Matteo comincia col dirci che Gesù pronuncia il suo discorso "avendo visto le folle". Gli ultimi versetti del capitolo precedente descrivono le folle che Gesù vede: "Gesù percorreva tutta la Galilea insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano". Lo sguardo di Gesù che abbraccia folle che simbolicamente esprimono il mondo intero, l'umanità in tutta la sua fragilità fisica, psicologica, morale, toccata da malattie di ogni genere, tormentata da ogni tipo di dolore, manifesta il modo di Dio di guardare l'umanità che egli ha creato.
Il cap.3 del libro dell'Esodo che narra il grande incontro di Mosè con Dio rivela come Dio guarda il suo popolo: "Ho osservato la miseria del mio popolo…ho udito il suo grido…conosco le sue sofferenze...: sono sceso per liberarlo".

"Gesù salì sul monte": certo Matteo descrive la figura di Gesù alla luce dell'esperienza di Mosè che sale sull'Oreb e sul Sinai, e si trova con Dio faccia a faccia. "Messosi a sedere, gli si accostarono i suoi discepoli": l'esperienza di Gesù, in rapporto a quella di Mosè, risulta comunque radicalmente nuova.

Mosè dal dialogo con Dio, che rimane sempre il "Santo", che si rivela nelle teofanie potenti, ha ricevuto il dono della Legge da comunicare al suo popolo, perché la osservi e così possa entrare nella terra che Dio promette: il dialogo di Gesù è esperienza filiale, dal Padre non riceve una Legge per il popolo, ma il dono della vita del Padre. Per questo Gesù "siede" per stare con gli uomini e i suoi discepoli gli si avvicinano: Gesù inaugura un modo nuovo di Dio di stare con gli uomini, fatto non più di timore ma di intima comunione e di tenerezza.
Ed è bellissima l'espressione del Vangelo che dice che Gesù "aprendo la sua bocca, insegnava a loro": la Parola che egli ha ascoltato dal Padre è diventata la sua, in modo così pieno che è la sua stessa vita, la sua persona. Adesso "apre la sua bocca", si apre una comunicazione vera con gli uomini, la Parola di Dio pronunciata da una bocca umana, può essere udita da orecchi umani, ha un contenuto, un timbro, una tonalità che suscita relazione, comunione.
E Gesù "insegnava" ai suoi discepoli: il verbo all'imperfetto indica una azione che continua. Gesù continua ad insegnare ai suoi discepoli nel corso della storia: insegna ad entrare con Lui nell'intimità del Padre, a lasciarsi afferrare dalla Parola del Padre in modo che essa diventi vita, ad aprire la bocca perché dalla bocca dei discepoli esca la Parola del Padre ormai incarnata nella voce umana dei discepoli. Così la Parola può comunicare veramente la pienezza della passione di Dio per l'uomo: chi ascolta la parola fattasi così umana, può percepire l'intensa gioia della Parola di Dio. E Gesù dice: "Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli". Comincia così il "discorso della montagna" che qualcuno definisce "il testo più enigmatico e sconvolgente dei Vangeli": è singolare come, muovendosi nel cuore dell'ebraismo, con piena autorità, Gesù puntualizzi e interpreti le Scritture per parlare di una realtà nuova.

Le "Beatitudini" sono il cuore del "Vangelo del Regno" che Gesù "andava annunciando mentre guariva ogni sorta di malattie e infermità nel popolo": potremmo leggere il racconto di tutti i Vangeli per accorgerci di come tutti coloro che si avvicinavano a Gesù, se ne andavano "pieni di gioia" perché liberati dalla malattia, dal peccato, o semplicemente felici perché lui si era rivolto a loro.
Il testo delle "Beatitudini" è tutto costruito sull'Antico Testamento, in modo particolare sui Salmi, questa stupenda raccolta di preghiere nelle quali la fede, che è profonda esperienza dell'uomo che ascolta Dio che gli parla, lo guida nella storia, lo interpella, lo mette in crisi, diventa un intenso dialogo di pace, di gioia e di felicità. Non per niente il libro dei Salmi comincia proprio così: "Beato l'uomo…": felice è l'uomo che cammina in una via dritta e piana, senza pericolo, senza timore. Ma l'uomo che prega i Salmi, l'uomo che crede, sa benissimo quanto spesso la via si faccia oscura, l'esperienza umana sia drammatica. La preghiera diventa un grido: "Dal profondo a te grido, o Signore" (Sal.130) ma è sempre una certezza: "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me". E avviandosi alla fine la preghiera diventa: "Cantate al Signore un canto nuovo… gioisca Israele nel suo creatore: il Signore ama il suo popolo". (Sal.149) La certezza che percorre tutta la Bibbia è questa: Dio ama l'umanità che egli ha creato, questa umanità fragile, debole, malata, peccatrice.

La novità che Gesù immette nelle sue Beatitudini è Lui stesso: è Lui che partecipa della debolezza umana, compatisce la fragilità e la salva amandola, non imponendole una Legge che essa non sa portare, è Lui che sperimenta la lontananza da Dio ma lascia che sia l'onnipotenza dell'Amore del Padre a colmarla e così diventa il Pastore che può guidare l'umanità nella valle oscura verso pascoli erbosi, è solo Lui, povero, svuotato di tutto ma pieno dell'Amore del Padre che può dire: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" e convincerci che è anche per noi la gioia, la felicità, la beatitudine, quando sentiamo che proprio per la nostra fragilità, di ogni tipo, la forza infinita dell'Amore del Padre è con noi. E' solo Lui il Pastore che ci guida per un cammino fatto di pianto, di mitezza, di fame e sete di giustizia, di misericordia e ci assicura che questa è l'unica via vincente perché è la via di Dio.

"Beati voi": le "Beatitudini si concludono così, rivolgendosi direttamente a noi, perché, se abbiamo il coraggio di credere, sentiamo la gioia, pure nel pianto, di essere nel mondo segno della forza sconvolgente di Dio.
Al passaggio del Mar Rosso, Myriam, la sorella di Mosè, danza; Davide danza quando la Torah entra in Gerusalemme; il libro dei Salmi termina in un incontenibile gioia fatta di musica, canto e danza (Sal.150); e noi dobbiamo lasciare sprigionare dal profondo del nostro cuore la gioia, lasciare libero sfogo al canto e alla danza perché Dio ci ama incondizionatamente. 

Testo di mons. Gianfranco Poma 



I Santi, un segno

Il vangelo della festa è costituito dalle beatitudini, vale a dire gli inviti di Gesù, seguendo i quali si è sicuri di conseguire la santità, intesa come la vita eternamente felice insieme con lui.
I santi dei quali oggi si celebra la festa sono quelli noti, i circa 170 dei quali si fa memoria nel corso dell'anno, e gli altri, oltre tredicimila, che la Chiesa riconosce come tali, che spaziano dai contemporanei di Gesù a don Carlo Gnocchi, proclamato beato domenica scorsa in piazza del duomo a Milano. Ma non solo questi; i santi oggi celebrati sono anche gli innumerevoli nascosti tra le pieghe della storia, sconosciuti a noi ma non a Dio, i quali hanno trascorso una vita esemplare o, pur avendo peccato, se ne sono pentiti e hanno così beneficiato della larghezza del suo perdono. Per questo motivo possiamo sperare che ora vivano con lui, cioè godano della santità, anche i nostri cari, familiari e amici e quanti altri abbiamo amato, rispettato, ammirato. Poiché però non possiamo essere sicuri della loro presente condizione (potrebbero essere in purgatorio, dove rafforzarsi nello spirito prima dell'incontro con Dio), li possiamo aiutare: allo scopo è particolarmente dedicata la celebrazione di domani, senza dimenticare che possiamo estendere l'aiuto ad ogni altro giorno dell'anno, con la preghiera: la nostra personale e quella della Chiesa (chiedendo ai sacerdoti di celebrare messe per loro).
Ma tornando ai santi noti, ci si può domandare perché la Chiesa ne abbia proclamati tanti e altri continui a proclamarne. La ragione sta nel non trascurare l'opportunità di offrire al popolo di Dio sicuri intercessori presso di lui e soprattutto modelli di vita, per mostrare come sia possibile seguire il vangelo nelle più diverse situazioni e condizioni di vita. I santi sono poi altrettanti luminosi segni di Dio. Sono segni della sua bontà, che chiama gli uomini, pur così limitati, peccatori, inadeguati, a condividere la sua santità, cioè a partecipare alla sua stessa vita. Sono segni della sua giustizia, che non fa differenze di persone: tra i santi troviamo uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri, potenti e schiavi, colti e illetterati, preti e suore ma anche laici, coniugati e non.
Questi accenni bastano a dire come i santi siano anche segno del progetto di Dio sull'umanità, da realizzare per mezzo della Chiesa da lui voluta e sorretta. Della Chiesa i santi sono l'eccellenza, ma nella loro varietà attestano che la santità è possibile a tutti. Essi manifestano quanto la Chiesa sia diversa dalle istituzioni di questo mondo, nelle quali l'eccellenza si raggiunge per sangue, per censo, per intelligenza, nelle quali dunque la discriminazione dei meno dotati o meno fortunati è la regola. Di più: da qualche tempo si parla tanto di globalizzazione, da alcuni temuta e da altri auspicata: per quanto le compete, la Chiesa non ha aspettato economisti e sociologi per programmarla e progressivamente realizzarla, nella sua forma più alta: da sempre i cristiani proclamano l'unità della famiglia umana, l'uguaglianza di tutti i popoli davanti a Dio. Il fatto che tra i santi troviamo europei ma anche africani asiatici e americani, lo sta a dimostrare. 

Testo di mons. Roberto Brunelli 



La salvezza a Dio e all'Agnello

Per contemplare "l'assemblea festosa dei nostri fratelli" (prefazio) che oggi celebriamo, lasciamoci guidare particolarmente dalla visione dell'Apocalisse presentata nella prima lettura.
In realtà si tratta di una visione duplice. Giovanni vede prima un gruppo di 144.000 persone che ricevono "il sigillo del Dio vivente"; successivamente una moltitudine immensa e incalcolabile di gente biancovestita con rami di palma in mano.
I due gruppi sono in realtà un gruppo unico, contemplato da diversi punti di vista: sia i 144.000 che la moltitudine incalcolabile rappresentano i salvati, i santi.
Per Giovanni hanno particolare rilievo i martiri e i santi che attraverseranno l'ultima grande persecuzione; nondimeno, possiamo allargare il nostro sguardo fino ad abbracciare "tutti i santi", di ogni tempo e di ogni tipo. Quanto il veggente contempla attraverso i cieli aperti è ciò a cui siamo tutti chiamati, e ci offre una preziosa immagine del traguardo della nostra vocazione cristiana.
I santi ricevono un sigillo sulla fronte. Essi cioè godono di un sostegno particolare da parte di Dio. Non si tratta di una preservazione dalle sofferenze e dai problemi, che invece non sono loro affatto risparmiati: alcuni saranno uccisi, e tutti dovranno passare al vaglio di tribolazioni.
Dio li conta, sa quanti e quali sono, cioè li conosce a fondo, uno ad uno, come il pastore le sue pecore.
Segnandoli col suo sigillo, li riconosce efficacemente come suoi, li fa propri, e in un modo tale che nessuno li potrà strappare dalla sua mano.
La visione dei 144.000 ci propone in forma simbolica e visiva quanto leggiamo in Gv 10,27-30: "Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti, e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio".
In questo modo, per puro dono di Dio, l'esplosione del male in tutte le sue forme (rappresentato dai venti distruttivi ai quali nessuna potenza umana può resistere, e dalla "grande tribolazione" che è la persecuzione), non può togliere loro la vita vera: essi sono salvi, e lo devono al gratuito dono di Dio e alla sua potenza. È quanto essi stessi riconoscono nel loro breve canto di lode: "la salvezza al nostro Dio e all'Agnello". Arrivati a superare la prova, possono riconoscere pienamente la sorgente e l'agente della loro vittoria. Paradossalmente, la glorificazione della creatura e del Creatore non si escludono, al contrario coincidono. Intravediamo qui il mistero della grazia di Dio, che non si pone in alternativa all'opera dell'uomo - più azione di Dio meno azione dell'uomo e viceversa - ma al contrario la suscita.
Siamo su questa strada, quando da un lato risalta sempre meglio ai nostri occhi che "la salvezza è di Dio e dell'Agnello", e non nostra; dall'altro ci sentiamo mobilitati e provocati ad attivarci in risposta.
Così, la vita cristiana si svolge di mistero in mistero: dalla conoscenza eterna da parte di Dio nei confronti degli eletti, alla loro glorificazione, secondo il cammino scandito da san Paolo in Rm 8,29-30: "Quelli che Egli ha preconosciuti, li ha predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figlio; quelli che ha predestinati, li ha chiamati; quelli che ha chiamati, li ha resi giusti; e quelli che ha resi giusti, li ha glorificati".


Santi per vocazione

Uno dei sogni più profondi dell'uomo - anzi, direi il più profondo - è essere come Dio. Ricordiamo la storia del peccato delle origini: "Se mangerete sarete come Dio". Particolarmente oggi abbiamo tutti la voglia di essere come dèi: eternamente giovani, con una risorsa e una soluzione per tutto. In concreto questo significa cercare di acquistare sempre più mezzi, più ricchezza, forza, etc... Questa è la nostra "scalata al cielo". Ricordiamo ancora che questo sforzo è già alle origini dell'umanità: la famosa torre di Babele è costruita per questo. Così facendo noi cerchiamo di diventare come Dio, così come noi lo immaginiamo: è il più forte, il più ricco, il più grande.
Questa però è l'immagine dei falsi dèi, gli idoli, inventati dall'uomo sin dall'inizio della sua storia. Quel Dio siamo noi stessi, solo un po' "ingranditi". Non cerchiamo davvero - anzi ce ne guardiamo bene! - di diventare come il Dio della Bibbia, il Dio di Gesù Cristo, ma come gli idoli creati dall'uomo a propria immagine.
Dimentichiamo facilmente che la Parola di Dio ci dà un'immagine diversa di Dio. C'è una parola che ricorre nella Scrittura per dire come è Dio, per dire che è diverso da tutto il resto e dagli altri dèi: "santo". Dire "Dio è santo" sembra una banalità, ma significa che Dio è diverso da tutto il resto: inimmaginabile, inconcepibile, imprevedibile. Non è una proiezione di noi stessi, una riproduzione ingrandita del nostro modo di fare. È diverso dall'uomo e dagli dèi costruiti dall'uomo, differente da quello che di lui possiamo immaginare. Per questo nell'Antica Alleanza c'era il divieto di farsi delle immagini, delle figure di Dio.
Possiamo soltanto sapere che Dio non è come lo immaginiamo? Non possiamo andare oltre? L'immagine visibile del Dio invisibile è Gesù di Nazareth. Gesù ci dice: "Se vuoi sapere chi è Dio, com'è davvero, guardami. Tu hai in me la sola immagine totalmente vera del Padre. Guarda come vivo, come parlo, come reagisco nelle varie situazioni; e soprattutto come muoio. Allora vedrai che Dio non è tanto il potente fulminatore che vive in un grandioso disinteresse per tutto; lo splendido monarca assoluto rinchiuso nel suo isolamento beato. È invece mite e pacifico, misericordioso, che vuole la pace e la giustizia, che vuole per gli uomini la liberazione da ogni male, il Dio delle beatitudini".
Questo Dio Santo chiama anche noi a essere come Lui, santi: i battezzati sono "santi per vocazione".
Nel corso dei secoli ci sono stati tanti santi e ciascuno ha percorso una strada personale, ma tutti erano animati da un unico Spirito, quello sintetizzato nelle beatitudini. Anche noi cerchiamo il nostro modo di vivere a immagine del Dio vivente. Per questo chiediamo l'aiuto e l'intercessione di questi amici, fratelli e sorelle di cui oggi contempliamo l'assemblea varia e festosa.

Testo di don Marco Pratesi
 

Liturgia della Solennità di Tutti i Santi: 1 novembre 2010

Liturgia della Parola della Solennità di Tutti i Santi: 1 novembre 2010 

tratti da www.lachiesa.it