Santo del giorno 25 giugno: san Guglielmo da Montevergine
News del 25/06/2024 Torna all'elenco delle news
San Guglielmo fondatore della Congregazione Benedettina di Montevergine che avrà vita plurisecolare sino a fondersi nel 1879 con la Congregazione Cassinese e patrono primario dell'Irpinia. Rimasto orfano, all’età di quindici anni s’incammina scalzo in pellegrinaggio verso il Santuario di Santiago de Compostela in Spagna: cinque anni di cammino, di pane e acqua, di cilicio e notti per terra, di colloquio intimo con Dio e di ardente annuncio del Vangelo lungo la strada. Nel suo peregrinare alla ricerca di Dio, lo vediamo a Roma, quindi in Puglia perché la sua meta è la Terra Santa: Gerusalemme. L’incontro con Giovanni da Matera, futuro santo, che gli consiglia di non imbarcarsi e di fermarsi per evangelizzare il Sud d’Italia, ispira a Guglielmo altri progetti, anche se permane in lui l’intenzione di visitare i territori dove è vissuto Gesù. Tuttavia, durante il tragitto, alcuni ladri, irritati dal fatto di non aver trovato nulla da rubare, lo aggrediscono brutalmente. Guglielmo capisce che la volontà di Dio è un’altra. Non abbandona più l’Italia e, desideroso di pregare in solitudine e di condurre vita eremitica, si rifugia nell’Irpinia, sul Montevergine, a 1500 metri di altitudine (Mercogliano, Avellino). Il nome deriva da una cappella dedicata alla Maria Vergine accanto alla quale Guglielmo trova dimora, assieme ai lupi e agli orsi che diventano suoi amici. Nel frattempo la fama di Guglielmo raggiunge le città. Tutti parlano di questo monaco, che vive da solo sulla montagna, che parla ai lupi e agli orsi e che compie miracoli come la guarigione di un cieco. La sua statua in San Pietro a Roma ha un lupo accovacciato ai piedi, in ricordo di un prodigio che gli attribuisce la tradizione: un lupo che aveva divorato il prezioso asino utilizzato per trasportare le pietre necessarie alla costruzione del santuario, lo fa lavorare al suo posto. Così altri monaci raggiungono Guglielmo perché vogliono imitarlo e vivere come lui. Guglielmo, allora, costruisce una basilica in onore della Madonna e un convento dove trovano accoglienza i monaci, gli affamati e gli ammalati. La Regola seguita è quella benedettina, basata su una vita fatta di preghiera, digiuno e lavoro agricolo per procurare il cibo a se stessi e ai bisognosi. Sentendo il bisogno di solitudine, nomina il suo successore nella Congregazione, che abbandona per ritirarsi a vita eremitica e per poi fondare altri monasteri. Muore nel 1142 a Goleto, ultimo monasatero da lui fondato, ma il suo corpo riposa a Montevergine, uno dei santuari più venerati dell’Italia meridionale, luogo che ha custodito gelosamente la Sacra Sindone di Torino, per difenderla dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale.
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Martirologio Romano: A Goleto presso Nusco in Campania, san Guglielmo, abate, che, pellegrino dalla città di Vercelli, fattosi povero per amore di Cristo, fondò su invito di san Giovanni da Matera il monastero di Montevergine, in cui accolse con sé dei compagni che istruì nella sua profonda dottrina spirituale, e aprì molti altri monasteri sia di monaci sia di monache nelle regioni dell’Italia meridionale.
Piedi martoriati purché piedi in cammino, costantemente. Destinazione Santiago de Compostela e poi, un giorno, la Terra Santa. A volte, 14 anni bastano per prendersi la vita che si vuole rinunciando a quella che si ha. Guglielmo, adolescente di Vercelli, è un tipo così. A 14 anni fa una cosa simile a quella che Francesco più di cento anni dopo compirà ad Assisi. Si libera degli orpelli del suo casato, rinuncia al titolo nobiliare, indossa un saio grezzo e parte, calzando solo i suoi piedi nudi. Compostela è una tappa obbligata di pellegrinaggio se sei un uomo dell’anno Mille. Quando Guglielmo parte per il Santuario spagnolo è il 1099 circa. Saranno cinque anni di cammino, di pane e acqua, di cilicio e notti per terra, di colloquio intimo con Dio e di ardente annuncio del Vangelo lungo la strada.
L’altra tappa di qualsiasi pellegrino dell’epoca e la terra di Gesù. Guglielmo rientra in Italia con l’obiettivo di partire per Gerusalemme. Ma l’uomo che pianifica non regge il confronto col Dio delle sorprese. Il giovane scende lungo l’Italia alla ricerca di una nave, ma dalle parti di Brindisi un pugno di delinquenti lo aggredisce. Addosso a quel pellegrino scarno c’è poco da rubare e la delusione si trasforma in violenza. Guglielmo è malmenato e costretto a interrompere il viaggio. Mentre si riprende va incontro a Giovanni da Matera, anch’egli futuro Santo, che aveva incontrato in precedenza e che con decisione gli dice che dietro l’aggressione subita potrebbe celarsi un segno più grande, quello di dedicare la sua missione di apostolo all’Italia. Guglielmo riflette, se ne convince, riparte e nel 1118 raggiunge l’Irpinia, ai piedi del Monte Partenio. Lo risale fino a fermarsi in una piccola conca. Il pellegrino è diventato eremita.
L’eremita è fatto per la solitudine, ma è la solitudine a non esserlo per quell’eremita. Perché la sua fama di uomo di Dio vola rapida come il vento gelido che spesso taglia i boschi del Partenio. A decine raggiungono Montevergine dove si trova la celletta del monaco Guglielmo. L’eremita diventa abate. Regole scritte, poche. Dettate a voce e piuttosto mostrate con l’esempio: penitenza rigorosa, preghiera, esercizio della carità verso i poveri. È il germoglio della Congregazione Verginiana, che viene ufficialmente riconosciuta nel 1126. I piedi dell’eremita fremono però. E un giorno, affidata a un discepolo l’abbazia che nel frattempo è sorta, il pellegrino si rimette sulla strada. Dall’Irpinia al Sannio, dalla Lucania alle Puglie alla Sicilia. Principi normanni e poveri in canna, chi lo incontra ne resta affascinato. Le storie parlano di segni miracolosi, la più nota è quella del lupo che sbrana l’asino usato per il traino da Guglielmo e che il monaco “costringe” a trasformarsi in bestia da soma con perfetta mansuetudine.
L’abbazia di Montevergine prospera grazie a donazioni continue e cospicue. Tra gli amici coronati ma soprattutto sinceri di Guglielmo figura Ruggero II, un re normanno. È a lui che il pellegrino diventato eremita e abate si reca in visita un’ultima volta quando le forze stanno per abbandonarlo. La morte lo coglie in uno di suoi monasteri irpini, a Goleto, nel 1142. A 800 anni dalla sua morte, nel 1942, Pio XII lo proclama Patrono Primario dell’Irpinia.