Santi del giorno 22 giugno: San Giovanni Fisher e San Tommaso Moro

News del 22/06/2024 Torna all'elenco delle news

Giovanni Fisher, vescovo e martire, umanista e teologo apprezzato, fu cancelliere dell'università di Cambridge e vescovo di Rochester. Di lui diceval'amico Erasmo: «Non c'è uomo più colto né vescovo più santo». Subì numerose pressioni per riconoscere il matrimonio di Enrico VIII con Anna Bolena e l'Atto di Supremazia nel quale il re veniva dichiarato «Capo supremo dopo Cristo della Chiesa d'Inghilterra». Nel periodo della prigionia e del processo in cui sarà condannato a morte, Giovanni ritrova in carcere un amico di vecchia data: Tommaso Moro, un giurista laico anche lui condannato alla pena capitale per non aver giurato obbedienza al re. Non sono nella stessa cella, ma in quei giorni sono sostegno l’uno per l’altro, si aiutano e si confortano, condividono il poco che hanno. Arriva, dunque, quel 22 giugno 1535 e sul patibolo, prima di morire, per altre tre volte ribadisce il no alla sottomissione del clero al re d’Inghilterra aggiungendo: “Popolo cristiano, sono venuto qui a morire per la fede nella Santa Chiesa cattolica di Cristo”. 

Tommaso Moro lo seguirà pochi giorni dopo: per questo la Chiesa cattolica fissa la memoria dei due Santi allo stesso giorno. Saranno beatificati tra i 54 martiri inglesi da Leone XIII e canonizzati da Pio XI; i loro resti riposano nella cappella di San Pietro in Vincoli della Torre. Entrambi sono venerati anche dalla Chiesa anglicana.

 

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Martirologio Romano: Santi Giovanni Fisher, vescovo, e Tommaso Moro, martiri, che, essendosi opposti al re Enrico VIII nella controversia sul suo divorzio e sul primato del Romano Pontefice, furono rinchiusi nella Torre di Londra in Inghilterra. Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, uomo insigne per cultura e dignità di vita, in questo giorno fu decapitato per ordine del re stesso davanti al carcere; Tommaso More, padre di famiglia di vita integerrima e gran cancelliere, per la sua fedeltà alla Chiesa cattolica il 6 luglio si unì nel martirio al venerabile presule.

 

Lo svegliano in cella: "Sono le 5. Alle 10 sarai decapitato". Risponde: "Bene, posso dormire ancora un paio d’ore". Questo è Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, nella Torre di Londra, estate del 1535. Un maestro di coraggio elegante (come il suo amico Tommaso Moro, già Gran cancelliere del regno, anche lui nella Torre aspettando la scure). Figlio di un orefice, Giovanni è stato a Cambridge come studente e poi come promotore del suo sviluppo, aiutato da Margherita di Beaufort, nonna di Enrico VIII. Sacerdote nel 1491, nel 1514 lascia Cambridge perché nominato vescovo di Rochester, e si dedica solo alla diocesi. Ma la rivoluzione luterana, con i suoi riflessi inglesi, lo porta in prima fila tra i difensori della Chiesa di Roma, con i sermoni dottrinali e con i libri, tra cui il De veritate corporis et sanguinis Christi in Eucharistia, del 1522, ammirato in tutta Europa per la splendida forma latina. E fin qui egli si trova accanto a re Enrico, amante della cultura e “difensore della fede”.

Il conflitto scoppia con il divorzio del re da Caterina d’Aragona per sposare Anna Bolena. E si fa irreparabile con l’Atto di Supremazia del 1534, che impone sottomissione completa del clero alla corona. Giovanni Fisher dice no al divorzio e no alla sottomissione, dopo aver visto fallire una sua proposta conciliante: giurare fedeltà al re "fin dove lo consenta la legge di Cristo". Poi un’altra legge, l’Atto dei Tradimenti, è approvata da un Parlamento intimidito, che ha tentato invano di attenuarla: così, chi rifiuta i riconoscimenti e le sottomissioni, è traditore del re, e va messo a morte.

Nella primavera 1534 viene portato alla Torre di Londra Tommaso Moro, e poco dopo lo segue Giovanni Fisher. Sanno che cosa li aspetta. E il papa Paolo III immediatamente no mina Fisher cardinale, sperando così di salvarlo: e invece peggiora tutto. Re Enrico infatti dice: "Io farò in modo che non abbia più la testa per metterci sopra quel cappello". Come previsto, i processi per entrambi, distinti, finiscono con la condanna a morte. Ma loro due, da cella a cella e senza potersi vedere, vivono sereni l’antica amicizia e si scambiano lettere e doni: un mezzo dolce, dell’insalata verde, del vino francese, un piatto di gelatina... Sono regali di un loro amico italiano, Antonio Bonvini, commerciante in Londra e umanista.

Alle 10 del 22 giugno 1535, Giovanni Fisher va al patibolo. Per tre volte gli promettono la salvezza se accetta l’Atto di Supremazia. Lui risponde con tre affabili no, e muore sotto la scure. La sua testa viene esposta in pubblico all’ingresso del Ponte sul Tamigi. Quindici giorni dopo uno dei carnefici la butterà nel fiume, per fare posto alla testa di Tommaso Moro. Nel 1935, in Roma, papa Pio XI li proclamerà santi insieme. E sempre insieme li ricorda la Chiesa.

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Thomas More avvocato, scrittore e uomo poltico inglese.Grande era la sua fama di uomo integerrimo e gioviale, giudice giusto, colto e stimato dagli umanisti europei, tanto che Erasmo da Rotterdam gli dedicò il suo “Elogio della follia”; amato dal popolo per la sua carità, conosciuto per il suo senso dell’umorismo e il suo fine intelletto, come traspare dalle sue opere e dalla sua vita. Ma Tommaso Moro fu, prima e soprattutto, un uomo di fede. Figlio di un avvocato, nasce a Londra nel 1478. La sua vita privata passa per la vicinanza ai francescani di Greenwich e per un periodo presso la Certosa di Londra, poi per il matrimonio con Jane Colt dalla quale ha 4 figli e quindi, rimasto vedovo, per un nuovo matrimonio con Alice Middleton. Marito e padre, si impegna nell’educazione intellettuale e religiosa dei figli, nella sua casa sempre aperta agli amici.

La sua vicenda si intreccia con la stessa vita del re Enrico VIII che, deciso a sposare Anna Bolena, fa dichiarare nullo dall’arcivescovo Thomas Cranmer il suo matrimonio con Caterina d’Aragona, giungendo, in un’escalation di opposizione a Papa Clemente VII, ad assumere la guida della Chiesa d’Inghilterra. Nel 1534 l’Atto di Supremazia e l’Atto di Successione sanciscono la svolta. Tommaso si era già ritirato dal mondo politico: non poteva approvare e, soprattutto, non vuole rinnegare la fedeltà al Papa. Nel 1534 viene quindi imprigionato nella Torre di Londra ma questo non basta a piegarlo. La sua “linea”, che continua ad essere quella del silenzio, non è però sufficiente a salvargli la vita. Subisce un processo, nel corso del quale pronuncia una famosa apologia sull’indissolubilità del matrimonio, il rispetto del patrimonio giuridico ispirato ai valori cristiani, la libertà della Chiesa di fronte allo Stato. Viene condannato per alto tradimento e decapitato il 6 luglio, pochi giorni dopo Giovanni Fisher, di cui era grande amico, condannato per le stesse idee e assieme a lui ricordato dalla Chiesa il 22 giugno. Un uomo appassionato della verità, Tommaso Moro, ammirato per “l’integrità - ricorda Benedetto XVI nel discorso a Westminster Hall - con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui pure era ‘buon servitore’, poiché però aveva scelto di servire Dio per primo”.

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