Il Figlio dell'uomo, quando verrà , troverà la fede sulla terra?
News del 16/10/2010 Torna all'elenco delle news
Nella XXIX domenica del tempo ordinario leggiamo l'insegnamento di Gesù sulla preghiera (Lc.18,1-8), omettendo il brano che riguarda la venuta escatologica del Figlio dell'uomo (Lc17,20-37) che è un aspetto essenziale del messaggio cristiano e che illumina il senso cristiano della preghiera.
Il tema affrontato da Gesù in questo contesto è il Regno dei cieli, oggetto centrale del suo messaggio. La domanda di un Fariseo sulla venuta del Regno diventa per Gesù l'occasione per correggere il pensiero del suo interlocutore e di precisare il suo insegnamento.
Al Fariseo che gli pone la domanda su "quando", la risposta di Gesù è su "come" viene il Regno di Dio, perché comprenda che la sua questione non ha senso quando comprenda il senso in cui Gesù parla del Regno di Dio. Affermando "il Regno di Dio è dentro di voi (o in mezzo a voi)" (17,21), Gesù propone una concezione diversa da quella dei Farisei che sembra lasciare a Dio l'intera responsabilità di far venire il Regno, come se l'uomo avesse solo il ruolo di spettatore.
Al contrario, Gesù collocando l'uomo nel cuore del progetto di Dio, gli rivela il senso e gli apre lo spazio della sua responsabilità morale, che consiste nello sviluppare e nel far venire il Regno. Quello di Gesù è, dunque, un appello all'azione: noi non dobbiamo attendere ciò che di fatto è nelle nostre mani e che compete a noi di realizzare. Il Regno "dentro di noi", appare dunque come una forza che deriva dalla Parola "ascoltata e accolta", che diventa "la fede che agisce e che salva". Molte volte Luca usa la metafora vegetale del grano che germoglia: il seme viene dall'esterno, ma accolto all'interno del terreno, germoglia e produce energia moltiplicata. Se la pienezza del Regno è talmente grande che va al di là del tempo (è escatologica), la sua esistenza e la sua azione è reale già adesso, attraverso l'uomo, in una forma nascosta e mai compiuta.
"Il Regno dei cieli è dentro di voi" (Lc17,21): ma se questo è vero, se non è solo una speranza per il futuro, perché l'esperienza concreta va spesso in direzione opposta? Perché i malvagi, i prepotenti trionfano? A questo punto si innesta il discorso di Gesù: occorre seguire Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme per vivere con Lui una esperienza nuova e percepire la realtà della presenza del Regno. "Diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai": la preghiera è la via per entrare in sintonia con il Regno, per sperimentarne la forza, per avere la certezza che già adesso è presente, pur essendo sempre in attesa della sua pienezza. La preghiera non è per niente un modo per sfuggire alla durezza della realtà, per alienarsi dal presente in attesa di un futuro felice: è anzi il coraggio di immergersi nella realtà più vera.
Gesù insiste sulla necessità della preghiera, sulla perseveranza nella preghiera, sul non perdere il gusto della preghiera anche nei momenti nei quali si può arrivare persino a sentirne il ribrezzo.
E pronuncia la parabola: come avviene spesso nel Vangelo di Luca, sono messe di fronte due persone che si trovano in condizioni opposte, un potente e una povera donna, un giudice che non teme Dio e non rispetta nessuno, una povera vedova che crede nella giustizia e in chi ha il dovere di amministrarla. Nella situazione che sta vivendo questa donna si ripresenta in realtà l'esperienza fondante della fede di Israele: lo scontro tra il Faraone e Mosè, tra la potenza umana e l'onnipotenza di Dio che è con il povero. Qui, il giudice può tutto, è potente, è ricco, non ha nessun senso di Dio e nessun rispetto per gli uomini, mentre la povera vedova è forte soltanto del suo senso di giustizia. Di fronte a un giudice che non crede in niente se non nel suo poter fare quello che vuole senza essere turbato da nessuno, la vedova senza alcuna esitazione esprime la sua richiesta: "Fammi giustizia contro il mio avversario". Il gioco di parole che la frase greca contiene, esprime bene il modo di porsi di questa donna vedova: il tempo imperfetto dice il suo atteggiamento costante nel chiede giustizia contro il suo "anti-giustizia".
La forza del giudice è fondata solo sulla sua presunzione ma la forza della povera donna è fondata sulla giustizia: avrebbe ogni motivo per scoraggiarsi ma il suo bisogno, la sua povertà diventa il suo coraggio. Il giudice non può resistere a lungo e "dice dentro di sé" (anche l'uomo più chiuso non può non avere un momento, nella sua solitudine, nel quale si ascolta interiormente): "Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, siccome questa donna mi turba, le farò giustizia, perché alla fine, venendo, non mi faccia male". Il commento del Signore ci sorprende: "Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto".
Chi ha vinto alla fine? Ancora una volta le situazioni si sono capovolte: "di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono… ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili…" "Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti che gridano a lui giorno e notte? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente".
Comprendiamo, adesso, che cos'è la preghiera e perché bisogna pregare sempre, senza stancarsi mai. La preghiera non è il cercare di costringere Dio a fare quello che noi vogliamo che faccia; è il respiro di chi vive affidato a lui, ricordando che egli è un Padre che è sempre all'opera nella nostra esistenza e nella storia; è il distendersi della nostra vita in sintonia con la sua volontà che vuole la giustizia vera per tutti gli uomini; è l'entrare in comunione con lui perché attraverso di noi passi il suo amore concreto per tutti. Ma certo, la preghiera è il non aver paura della nostra povertà; è la spogliazione della nostra volontà per essere strumento della volontà del Padre; è l'affidarsi alla sua logica e ai suoi tempi ma con la certezza che lui riempie la nostra povertà.
La preghiera è il linguaggio della nostra fede: posti a vivere nel mondo, costantemente tentati di incrociare le braccia, di cedere allo scoraggiamento è solo la fede che ci sostiene. Quando Luca scrive, si rivolge a una comunità tentata di scoraggiamento: "Quando il Figlio dell'uomo verrà, troverà la fede sulla terra?" E' una frase che sembra pessimista, ma che vuole in realtà mettere in guardia i credenti di ogni tempo: l'amore del Padre non può venir meno, ci ha donato tutto donandoci il Figlio. Quando tutto si fa oscuro è allora che l'amore è più grande, ed è la fede: qui Gesù vuole darci una grande lezione sulla fede. Se la frase con cui si chiude il nostro brano è una domanda, quella con cui inizia dice in che cosa consiste la fede: "Bisogna pregare senza scoraggiarci mai". All'interno di questa inclusione, ci è presentato l'esempio della vedova povera che ha vinto la prepotenza del giudice al quale non importava niente di nessuno.
Testo di mons. Gianfranco Poma
Nesso tra le letture
"Tutto è dono" nel mondo della fede. Come dono, non abbiamo diritto a ciò, ma dobbiamo chiederlo umilmente nella preghiera. Così, la vedova della parabola non si stanca di supplicare giustizia al giudice, finché non riceve risposta (vangelo). Da parte sua, Mosè, accompagnato da Aronne e da Jur, non cessa durante tutto il giorno di innalzare le mani e il cuore a Javeh, affinché gli israeliti escano vincitori sugli amaleciti (prima lettura). Mediante lo studio e la meditazione della Scrittura "l'uomo di Dio si trova completo e preparato per ogni opera buona" (seconda lettura).
Pregare per ricevere. Siccome nella vita spirituale tutto è dono, nulla si può ricevere senza la preghiera umile e costante a Dio. Con essa si apre la porta del cuore di Dio in un modo invisibile, ma reale ed efficace. "Senza di me non potete far nulla". "Tutto è possibile per colui che crede", per colui che prega con fede. Dio è così buono che, perfino senza pregare, riceviamo molte cose da lui. Ciò che certamente risulta infallibile è che, se chiediamo a Dio ciò che Gesù ci insegna a chiedere e nel modo in cui egli ce lo insegna, Dio ce lo concederà. La vedova della parabola soffre per l'ingiustizia degli uomini; soltanto il giudice può farle giustizia, e per questo lo persegue giorno dopo giorno, fino a conseguirla. Traducendo la parabola in termini reali, Dio giudicherà, con ogni sicurezza, le ingiustizie umane. Se eleviamo a Dio la nostra supplica, egli ci ascolterà e risponderà alla nostra preghiera. Se Mosè, Aronne e Jur non avessero pregato Javeh per la vittoria di Israele sugli amaleciti, l'avrebbero ottenuta? La preghiera, più della spada, ottenne la vittoria. Il cristiano orante è stato "dotato" da Dio, come Timoteo, per realizzare bene i suoi compiti: la conoscenza delle Scritture, la fedeltà alla tradizione ricevuta, l'annuncio del Vangelo. In questo modo, i testi liturgici di questa domenica danno un valore straordinario alla preghiera, come elemento costitutivo della ortoprassi e come fondamento del progresso spirituale e di ogni vittoria nelle lotte quotidiane della fede.
Si deve pregare per ricevere, ma anche per dare secondo il dono ricevuto. Il dono di Dio sarà accompagnato dall'azione dell'uomo, basata sul dono medesimo. La vittoria è di Dio, ma non senza che l'uomo ponga i mezzi per l'azione divina efficace. Senza la spada di Giosuè, non ci sarebbe stata vittoria, ma la sola spada, senza l'intervento di Dio, avrebbe finito col soccombere. Senza lo sforzo di Timoteo per essere innanzitutto buon giudeo e poi buon discepolo di Paolo, Dio non avrebbe potuto "dotarlo" per portare a compimento la missione di dirigente della comunità di Efeso. Come nella persona di Gesù l'umano e il divino si uniscono inseparabilmente, ma senza confondersi, allo stesso modo, nella vita spirituale del cristiano, il divino e l'umano convergono, mantenendo la propria identità, in un unico risultato. Eliminare uno dei termini conduce ad una mutilazione mortale, a meno che non si interponga un'azione straordinaria di Dio.
Tratti dell'orante. 1) Il tratto più eccellente nei testi è la costanza nel pregare. Senza codesta costanza, nemmeno la vedova avrebbe ottenuto che le si facesse giustizia, né il popolo di Israele che gli amaleciti fossero sconfitti. Una costanza che, nella nostra mentalità, ci può sembrare perfino inopportuna, ma che a Dio piace e che lo commuove. Una costanza che può essere esigente, perfino dura, e richiedere non poco sforzo, come nel caso di Mosè, ma che Dio benedice. 2) L'orante supplica perché ha coscienza molto chiara della sua necessità e della sua propria impotenza per rispondere da solo ad essa. La distanza tra la pochezza dell'orante e la necessità che lo incalza, soltanto Dio può colmarla. Il popolo di Israele sentiva urgente necessità di sconfiggere gli amaleciti, altrimenti non sarebbero potuti arrivare fino alla terra promessa, ma allo stesso tempo sapeva di essere poca cosa per una impresa così grande. Essi dovranno far ricorso a Dio per strappare da lui la vittoria anelata. 3) L'orante deve essere un uomo profondamente credente. Se non si ha fede in ciò che si chiede, a che serve allora la preghiera? Non è forse fare dell'orazione una pantomima? O si prega con fede, o è meglio lasciare la preghiera, una volta per tutte. La diminuzione o l'aumento della preghiera è correlato all'aumento o alla diminuzione della vita di fede.
Orazione e azione, riflessione e lotta. Già san Benedetto insegnava ai suoi monaci: "Ora et labora".
"Non pregare senza lavorare, né lavorare senza pregare". Da allora è chiaro che non stiamo parlando di due strade, ma di un'unica e sola via in cui si incrociano la preghiera e l'azione, la riflessione e la lotta quotidiana. Nella Chiesa si prega, ma attivamente, mettendo nella preghiera i lavori e le preoccupazioni del giorno. All'ufficio, in campagna, in fabbrica, in casa, si lavora, ma mettendo nel lavoro Dio, perché "Dio sta tra i fornelli", come diceva giustamente santa Teresa d'Avila. L'uomo, pertanto, non suddivide la sua vita quotidiana, o la domenica, in ore di lavoro da una parte, e in momenti di orazione dall'altra. Diciamo meglio, che, quando prega, sta lavorando, ma in un altro modo, e, quando lavora, sta pregando, ma in un modo differente. Così il cristiano esperimenta e mantiene una grande armonia interiore, lasciando al margine ogni divisione innaturale, rifiutando decisamente qualsiasi forma di rottura e di disarmonia. Perché oggigiorno, effettivamente, c'è il pericolo di cadere nella eresia dell'azione, perché sono molti i compiti e pochi gli uomini, e il tempo per realizzarli. Non ci sono forse dei parroci tentati da questa sottile eresia, da questa sirena che lusinga i loro orecchi con la musica di un'azione febbrile, che non lascia spazio né tempo per Dio? Oggi con minore frequenza, sì, ma i cristiani possono essere anche tentati dalla eresia del quietismo, codesto lasciare che Dio faccia tutto, immergendosi in una pietà misticoide, passiva e infeconda. Né l'una né l'altra sono posizioni proprie di un vero cristiano. Facciamo uno sforzo per mantenere l'ago della bilancia tra la riflessione e la lotta, tra l'azione e la preghiera.
Diversi modi di pregare. La Chiesa ci insegna che ci sono diversi modi di pregare. 1) La preghiera vocale. L'orazione, perché sia autentica, nasce dal cuore, ma si esprime con le labbra. Per questo la più bella preghiera cristiana è una orazione vocale, insegnata dallo stesso Gesù: il padrenostro. I vangeli in diverse occasioni narrano che Gesù pregava e, in alcune di esse, ci si offrono le preghiere vocali di Gesù, per esempio, nell'agonia al Getsemani. La preghiera vocale è come una esigenza della nostra natura umana. Siamo corpo e spirito, e sperimentiamo la necessità di tradurre in parole i nostri sentimenti più intimi. La preghiera vocale è la preghiera per eccellenza della folla, per il fatto di essere esteriore e allo stesso tempo pienamente umana. Ci sono nella Chiesa delle bellissime orazioni vocali, che i bambini apprendono nella catechesi, e che alimentano la nostra vita di fede durante tutta l'esistenza: oltre al padrenostro, l'avemaria, il "gloria al Padre", il credo, la "salve regina". 2) La preghiera mentale o meditazione. Colui che medita cerca di comprendere il perché e il come la vita cristiana possa aderire a ciò che Dio vuole. Per questo, si medita sulle Sacre Scritture, sulle immagini sacre, sui testi liturgici, sugli scritti dei Padri spirituali, ecc. La preghiera cristiana si applica principalmente a meditare "i misteri di Cristo", per conoscerli meglio, e, soprattutto, per unirsi a Lui. Quando si ottiene questa unione con Gesù Cristo, la preghiera si fa già contemplativa, e l'essere intero dell'orante si sente trasformato dall'esperienza spirituale e profonda del Dio vivo. Contemplazione, che non è esente da prove, né dalla notte oscura della fede.
Testo di Totustuus
Liturgia della XXIX Domenica del Tempo Ordinario: domenica 17 ottobre 2010
Liturgia della Parola della XXIX Domenica del Tempo Ordinario: domenica 17 ottobre 2010