Il gelso e la senape

News del 01/10/2010 Torna all'elenco delle news

Se aveste Fede! Questa e la prossima domenica si concentrano sulla fede del credente. Il giusto vivrà per la sua fede può essere il tema di oggi. Il cristianesimo in particolare è chiamato ad essere religione della fede: atto di fiducia in Gesù che rivela il Padre. Su questo atto di fiducia si fonda l'esistenza cristiana che proprio per questo non è anzitutto adesione a una dottrina, ma adesione a una persona.
La centralità dell'atteggiamento di fede è contenuto anche nella seconda colletta: "O Padre, che ci ascolti se abbiamo fede quanto un granello di senapa, donaci l'umiltà del cuore, perché... ci riconosciamo servi inutili, che tu hai chiamato a rivelare le meraviglie del tuo amore".

Qual è l'elemento di contiguità tra un granellino di senapa, un gelso sradicato e trapiantato nel mare e la fede? Il seme della senapa si distingueva per le sue dimensioni microscopiche, divenute proverbiali. Stupefacente è poi la sua capacità di sprigionare un arbusto alto fino a tre metri. In questa irrefrenabile dinamicità di un elemento in sé minimo, Gesù coglie la forza della fede a prescindere dalla sua "taglia".
Ma Gesù cosa intendeva per fede? Non certo un insieme, più o meno organico, di formulazioni dogmatiche (le nostre "verità di fede"), ma un atteggiamento di obbedienza nei confronti di Dio, una disponibilità interiore a eseguire anche esteriormente la sua volontà. Questa obbedienza era motivata dalla fiducia nel Dio dell'esodo e dell'alleanza, il rispetto della quale comportava una vita gioiosa per il singolo e per il popolo. Avere fede in Dio, quindi, equivaleva a essergli fedeli e fidarsi di lui e, in conseguenza di ciò, a godere una ‘solidità' esistenziale. Questa concezione affondava le sue radici nel terreno composto da alcuni brani dell'Antico Testamento, tra cui quello che oggi costituisce la 1ª lettura.
Luca imprime alcuni tratti alla parabola di Gesù capaci di farci cogliere anche una valenza ecclesiale. Molti verbi indicano il ministero nella comunità: uscire nel campo, cioè svolgere l'attività missionaria; pascolare il gregge, ovvero reggere la comunità dei credenti; mangiare e bere, ossia presiedere la cena eucaristica. In tutto ciò i responsabili esercitano il loro servizio alla comunità in virtù di un mandato del Signore. Nel fare tutto ciò i ministri non devono accampare diritti nei confronti di Dio, né trarre motivo di vanto rispetto agli altri fedeli. Il loro modello rimane Gesù, signore perché si è fatto servo di tutti. È, in fondo, la medesima intenzione che anima le raccomandazione contenute nella 2ª lettura.

Il tema della fede e della fiducia intesse il brano evangelico di oggi, aperto dalla domanda dei discepoli: "Signore, aumenta la nostra fede!". Gesù risponde con due immagini folgoranti: il granellino di senapa e la disponibilità del servo.
Il gelso è un albero che ha radici ben radicate nella terra, è resistente ai venti eppure... la fede, anche se piccola e ridotta al lumicino, anche se simile al microscopico seme della senapa, ha la forza di strappare ciò che è consolidato, ha la capacità di ribaltare i destini, di trasformare la storia, di trapiantare nel mare ciò che può vivere solo nella terra come il gelso. La fede da granellino di senapa: non quella sicura e spavalda, ma quella che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Dio, che nella sua piccolezza ha ancora più fiducia in lui. È la fede che ci dà la capacità di guardare con ottimismo le vicende della vita, che anima la nostra speranza, che ci rende capaci di accettare anche i momenti di sofferenza, perché chi ha fede sa che il male non trionferà mai definitivamente, che ci aiuta a vivere e a lottare per la giustizia.
"Se aveste fede quanto un granellino di senape...". Come posso sapere se ho fede? Gesù risponde indicando qual è la misura della fede: essere servo. E lo fa con una parabola, a prima vista un po' fastidiosa, che sembra essere dominata dalla figura di un padrone egoista e indifferente. Ma non è lui il centro della parabola; il soggetto dominante, invece, è il servo con il suo atteggiamento. L'uomo di fede nei confronti di Dio deve scegliere un comportamento di totale disponibilità, senza calcoli o contratti o limiti. "Siamo servi inutili...". "Inutile" in origine significa "senza pretese, senza esigenze, senza rivendicazioni", siamo servi che di nulla hanno bisogno se non di essere se stessi, la loro gloria è di aver servito.
Quanto c'è da cambiare nella nostra vita di fede! La fede, come l'amore, non recrimina, non accampa diritti, non è il contraccambio offerto a Dio in seguito a un suo dono, ma è la risposta che il dono divino ha acceso e provocato in noi. Quanta mentalità di contabilità matematica bisogna cancellare!
Quanti cristiani tengono una contabilità minuziosa delle loro opere e la considerano una sicura garanzia per il paradiso che li attende. Hanno una coscienza notevole dei loro meriti e della gratitudine che Dio deve nutrire nei loro confronti. E talora scappa loro di bocca qualche recriminazione per non essere stati trattati adeguatamente, come si meriterebbero... Alla religione dell'obbligo e del minimo necessario - spesso presente nelle nostre comunità - Gesù sostituisce l'adesione della fede; alla spiritualità del precetto, Gesù sostituisce quella della libertà gioiosa, al calcolo del merito, Gesù sostituisce il primato della grazia.
Ai suoi discepoli Gesù chiede una fede disinteressata proprio perché movimento di abbandono generato dall'amore di Dio, riconosciuto e accolto, a cui si tenta di dare una risposta.
Questa fede ci chiede Gesù. E non ne esige nemmeno una grande quantità. Ne basta tanto quanto un granello di senapa - il più piccolo tra i semi, quasi invisibile - per produrre effetti inattesi e meravigliosi.
È la fede che accetta le responsabilità, ma sa allontanarsene per lasciare il posto agli altri. Con la serenità e la bontà di sempre.

Testo di don Antonio Mastantuono, tratto da "Il Pane della Domenica". Meditazione sui Vangeli Festivi, Ave, Roma 2009 

La senape era, in un certo modo, anche una unità di misura.
Sebbene l'Antico Testamento non menzioni maiquesta pianta, la senape, come attesta la letteratura tardogiudaica, era ben nota in Palestina. Essa non era considerata semplicemente una pianta da orto, ma veniva coltivata anche nei campi. Almomento della raccolta, veniva messa in cesti, che quindi risultavano pieni di questi piccolissimi granelli.I rabbini, che discutevano quanto dovesse durare il periodo del nazireato, erano soliti dire: «Se qualcuno hafatto voto di nazireato (di 30 giorni) a cesto pieno - cioè di osservare il nazireato tante volte quanti sono glioggetti che un cesto può contenere - si consideri allora (quale possibilità più rigorosa) che il cesto sia pienodi semi di senapa: in questo caso sarà nazireo per tutta la vita».

Nel Nuovo Testamento, il termine di paragone «come granello di senape» è adoperato dai sinottici perillustrare due diversi concetti teologici: il primo è inserito nel discorso parabolico (Mc 4,1-34; Mt 13,1-52; Lc13,18-20) che pone Gesù seduto davanti alla folla, intento a spiegare ai suoi uditori il mistero del regno;mentre il secondo è incentrato sulla fede, la quale, pur microscopica, se autentica ha la forza di sradicareanche un albero (Lc 17,5-6; Mt 17,14-20): «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò? È simile a un granellino di senape, che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto e diventato unarbusto» (Lc 13,18-19a).
Per illuminare concetti astratti. Gesù prende spunto dall'esperienza agraria ben conosciuta all'epoca. Il regno di Dio paragonato a un granello di senape mette in risalto il contrasto tra la piccolezza del chicco e lo stadio finale della sua crescita. Il regno di Dio non ha apparenza eclatante, eppure esso è già vicino e presente manell'aspetto insignificante di un granello di senape. Proprio a partire da quella minuscola entità si sviluppa una grande realtà di vita. Dio opera cose mirabili servendosi di strumenti e materiali umili che portano in sé un potenziale e un dinamismo travolgente. La parabola poteva terminare con l'immagine dell'albero anchesenza alcun ulteriore rinforzo, ma Gesù continua: «... e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami» (Lc13,19b). Più di ogni altro arbusto, nel caso della senape, colpisce la proporzione che prende la pianta: essa diventa un albero reale, dal rifugio sicuro per i volatili. L'immagine dell'albero sui cui rami gli uccelli fanno il nido è classico nei profeti, per designare l'uno o l'altro dei grandi regni del loro tempo. Gesù aggiunge questo «di più», alludendo chiaramente all'apologo del cedro di Ez 17,22-24 che descrive la prosperità e l'estensioneuniversale del regno di Dio: «Dice il Signore Dio: lo prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi ramicoglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio; lo pianterò sul monte alto d'Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatileall'ombra dei suoi rami riposerà». In Cristo ogni predizione di salvezza dell'Antico Testamento ha trovato la sua realizzazione. Il regno di Dio diventa iperbolicamente un arbusto dalle dimensioni gigantesche e giungerà ad abbracciare e salvare i popoli del mondo intero. Attraverso questa parabola Gesù spiega che il regno ha una logica diversa e superiore a quella umana e che esso si manifesta in modo imprevedibile e inesorabile, accompagnato dallesue parole e opere. Il granello di senape, ossia la predicazione di Gesù, non è appariscente, eppure reca insé il mistero dell'agire divino, di ampiezza universale. «L'agire divino non è misurabile con criteri umanidell'efficienza e del successo. Dio fa storia con il piccolo resto operando in forma oscura e inferiore,sollecitando gli uomini a fargli credito anche contro le apparenze. È un chiaro invito alla fiducia e allasperanza» (mons. G. Ravasi).
 

Seconda parabola: potenza della fede

Anche la seconda parabola enfatizza le sproporzioni tra causa ed effetto, tra un inizio apparentementeinsignificante e un esito sorprendente: «Gli apostoli dissero al Signore: "Aumenta la nostra fede!". Il Signorerispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato etrapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe"» (Lc 17,5-6). «Aumenta la nostra fede!». Questa implorazione degli apostoli fornisce a Gesù il pretesto di riportare la loroattenzione non tanto alla quantità, bensì alla qualità e al vero significato della parola «fede». Gesù dichiarala potenza divina della fede che, anche se simile a un seme microscopico come quello della senape, ha laforza di strappare ciò che è consolidato, di trapiantare nel mare ciò che può vivere solo radicato nella terra,come il sicomoro. In tutte le ricorrenze vetero testamentarie (1 Re 10,27; 2 Cr 1,15; 9,27; Sal 77,47; Is 9,9) sukaminos corrisponde all'ebraico shiqmah ovvero «sicomoro». La TOB (Traduction Oecuménique de la Bible) traduce«gelso» con «sicomoro», che è il senso abituale del termine nell'Antico Testamento Greco. Nel greco profano si può tradurre gelso, ma il contrasto con il seme di senape è minore.

L'immagine paradossale del sicomoro sradicato e piantato nel mare traduce, in forma visualizzata, la forza della totale fiducia in Dio. Noi infatti non ricordiamo bene le parole. Ricordiamo le immagini. Ricordiamo al meglio le parole traducendole insimboli visuali. Attenendosi alla traduzione della TOB, vediamo che si fronteggiano un granellino di senape da un lato e un sicomoro dall'altro.
Il sicomoro è un arbusto gigante che raggiunge circa 15 metri di altezza, ha una chioma ampia etondeggiante con ampie foglie che hanno forma ovale, dal colore verde scuro come anche i suoi frutti, con radici difficilmente sradicabili. Sia le foglie sia i frutti possiedono un notevole valore nutritivo; sono perciòricercati dagli uccelli e dai mammiferi e vengono raccolti dall'uomo per la propria alimentazione e comeforaggio per il bestiame. Possiamo aggiungere pure che il sicomoro era un arbusto molto pregiato nell'antichità. Gli antichi Egizi lo apprezzavano per il suo legno, di colore chiaro, che si lavorava con facilità eveniva utilizzato anche per la costruzione di sarcofagi. Secondo un'antica credenza egizia era proprio un sicomoro a ergersi alto sotto la volta del ciclo, tra il sole nascente e quello che tra montava, e a fareondeggiare al vento le sue foglie di malachite, tanto che era considerato una dea benefica, protettrice degliamanti. I contadini gli rivolgevano un culto speciale offrendogli sacrifici e adorazione. Gli Egizi pensavano inoltre che la sua ombra, tanto grata ai vivi, riempisse di gioia anche i morti.

Di fronte al magnifico sicomoro cos'è un albero di senape? Anzi, cos'è un solo granello di senape? In altre parole,perché mai «basta e avanza»?«Granello di senape» serve unicamente a indicare la più piccola unità, non si richiede una fede straordinariamente grande; già la fede più povera gode della massima promessa. Così la fede autentica può fare cose impossibili, ha la capacità di sovvertire le sorti, di ribaltare i destini e di trasformare la storia. L'autentica fede lascia che sia Dio ad agire, ed è così che le diventa possibile anche l'impossibile. Aver fede come un granello di senape significa allora non venir meno, resistere allo sconforto, sperando contro ogni speranza. L'appuntamento è con la fede, la fiducia e la speranza, non con un giorno fissato chiaramente sulla nostra agenda. «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono», dirà l'autore della lettera agli Ebrei (Eb 11,1). E per san Paolo diventa ragionevole ilparadossale criterio divino: la mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza (cf 2 Cor 12,9).

Testo tratto da www.sanpietroepaologerenzano.it della Diocesi di Milano