Dio e la ricchezza
News del 19/09/2010 Torna all'elenco delle news
La condivisione toglie alle ricchezze il veleno di disonestà
L'evangelista Luca ha spesso un giudizio critico verso il denaro, le ricchezze, l'accumulazione dei beni… Vari brani del Vangelo di queste domeniche estive ne danno prova: le parabole del ricco stolto, l'amministratore infedele, il ricco epulone e altri. Per Luca, evangelista sensibile alla situazione dei poveri e dei meno abbienti, il denaro ha spesso una connotazione di ambiguità, sospetto, disonestà, ingiustizia, pericolosità, poca trasparenza... Il monito è sempre valido e attuale di fronte alle molteplici forme di arricchimento indebito: speculazione, usura, giochi finanziari, tangenti, corruzione, riciclaggio di denaro sporco (Luca lo chiama disonesto, v. 9.11) per droga, mafia, sequestri…
Fin dal IV secolo, la tradizione cristiana ha recepito questo messaggio circa il valore, l'uso e la pericolosità delle ricchezze. La parola di alcuni Padri della Chiesa è eloquente e sferzante. S. Basilio scrive: "Non sei tu un ladro quando consideri come tue le ricchezze di questo mondo, ricchezze che ti sono state consegnate solo affinché tu le amministrassi?". E S. Ambrogio: "Non dobbiamo considerare ricchezza ciò che non possiamo portare con noi. Perché ciò che dobbiamo lasciare in questo mondo non ci appartiene, è degli altri". S. Giovanni Crisostomo ha un ricco e provocatorio insegnamento in materia, che si può riassumere così: "Il ricco o è ladro o è figlio di ladri". Si può non condividere tali espressioni, ma è da persone sagge confrontarsi onestamente con esse.
Le abitudini del denaro ingiusto e disonesto sono antiche quanto l'umanità. Il profeta Amos (I lettura), nel secolo VIII prima di Cristo, in un'epoca di splendore del regno di Israele, denuncia con toni di fuoco coloro che si arricchiscono sulla pelle dei poveri e degli umili (v. 4), fino a "comprare con denaro gli indigenti e il povero per un paio di sandali" (v. 6); sono smaniosi di fare soldi con le solite astuzie mercantili: giocando sui tempi e falsando le misure e le bilance (v. 5). Mille anni dopo, gli fa eco S. Basilio contro gli usurai del suo tempo: "Tu sfrutti la miseria, ricavi denaro dalle lacrime, tu strangoli colui che è nudo, schiacci l'affamato".
L'amministratore di cui parla Gesù nella parabola (Vangelo) è infedele e scaltro. È infedele, perché ha abusato della fiducia del padrone, ne ha sperperato gli averi, meritandosi il licenziamento (v. 1-2). Ha prevaricato, è stato disonesto e corrotto. Sulla cattiva gestione dei beni del padrone il giudizio resta negativo. Va sottolineato, prima di procedere alla seconda parte, nella quale l'amministratore, con sorpresa, viene lodato. La lode che gli riserva il suo padrone (v. 8) e gli spunti che ne ricava Gesù riguardano solo il modo scaltro come lui se la cava, cercandosi amici per il suo futuro incerto. (*)
La prassi è diversa ai nostri giorni. La Bibbia di Gerusalemme, al v. 16,8 di Luca, spiega che, secondo l'uso allora tollerato in Palestina, gli amministratori -che non erano pagati- avevano diritto di rifarsi incassando una percentuale sui prestiti maggiorati concessi ai debitori dei loro padroni. Il beneficio personale degli amministratori consisteva appunto nella differenza fra il prestito reale e la ricevuta maggiorata. Lo scaltro amministratore della parabola non toglie al padrone la quantità reale che gli spetta; semplicemente riduce la ricevuta del debitore alla quota reale, rinuncia alla parte di interesse che gli spetterebbe, favorendo gli eventuali futuri amici, che, in tal modo, pagheranno al padrone solo il debito netto, senza interessi né usure. La scaltrezza dell'amministratore, che anche Gesù elogia, consiste nel saper rinunciare ad un interesse economico immediato, per puntare sul beneficio di amici per il futuro. C'è qui un invito a investire non tanto sulle cose che periscono, ma sui valori che permangono. Per Gesù tali valori sono anzitutto due: la condivisione dei beni con i poveri in vista delle dimore eterne (v. 9) e la libertà di fronte alle cose che schiavizzano il cuore (v. 13).
È forte qui l'invito all'apertura del cuore, alla sensibilità verso gli altri. Questa apertura, afferma Paolo (II lettura), si ispira nel Cuore di "Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (v. 3-4). Proprio tutti: lo ripete quattro volte (v. 1.2.4.6), per sottolineare il progetto generoso di Dio (v. 4), l'opera di Cristo (v. 6), la dimensione universale della preghiera del cristiano (v. 1-2.8), chiamato ad essere ovunque messaggero di Cristo (v. 7).
Parola del Papa
(*) "Raccontando la parabola di un amministratore disonesto ma assai scaltro, Cristo insegna ai suoi discepoli quale è il modo migliore di utilizzare il denaro e le ricchezze materiali, e cioè condividerli con i poveri procurandosi così la loro amicizia, in vista del Regno dei cieli… Il denaro non è disonesto in se stesso, ma più di ogni altra cosa può chiudere l'uomo in un cieco egoismo. Si tratta dunque di operare una sorta di conversione dei beni economici: invece di usarli solo per interesse proprio, occorre pensare anche alle necessità dei poveri…Qui potrebbe aprirsi un vasto e complesso campo di riflessione sul tema della ricchezza e della povertà, anche su scala mondiale, in cui si confrontano due logiche economiche: la logica del profitto e quella della equa distribuzione dei beni, che non sono in contraddizione l'una con l'altra, purché il loro rapporto sia bene ordinato. La dottrina sociale cattolica ha sempre sostenuto che l'equa distribuzione dei beni è prioritaria".
Benedetto XVI
Angelus del 23/9/2007
Testo di padre Romeo Ballan
Essere tutti fedeli
E' già riprovevole che la ricchezza materiale venga considerata come un bene finalizzato a se stesso, in modo da trasformarsi in sfrenata idolatria che acceca, chiude e rende ostili e indifferenti verso gli altri; ancora più disdicevole è tuttavia che le ricchezze materiali siano occasione di sfruttamento e soggiogazione dei poveri e degli sfiduciati, e che vi sia chi si arricchisce sulla pelle di molta gente bisognosa. Ancora più inaudito è poi il fatto che non siano pochi i ricchi che accumulano beni e denaro con attività illecite e disoneste, approfittando della buona fede del prossimo probo, onesto e integerrimo. E' una realtà amara che si ripete in ogni epoca e che ha le sue ripercussioni in ogni stratificazione della società.
Il libro del profeta Amos sottolinea come fosse praticamente una realtà, già nella sua epoca lontanissima dalla nostra (VIII sec A. C.) che i mercanti potessero giocare sul prezzo dei malcapitati clienti che diventavano oggetto di raggiro durante gli acquisti più comuni. Nel mondo antico greco Mercurio era considerato il Dio dei commercianti e dei ladri probabilmente per le frequenti affinità che si trovavano fra le due categorie e anche Amos ci descrive una tristissima condizione di convivenza sociale, quando parla di "usare bilance false", diminuire le misure delle merci e usare il siclo, calpestare il povero, tutte attività di lestofantato facilissime ad essere compiute perché rivolte alle persone semplici, di comune estrazione sociale, che raramente considerano i particolari di una possibile bilancia truffaldina o del peso di merce non esattamente corrispondente alla quantità richiesta.
Anche al giorno d'oggi esistono numerose attività professionali nelle quali, quando non si è animati da rettitudine morale, è sempre possibile passare inosservati mentre si usano trucchi e piccoli raggiri su certi particolari del commercio a scapito soprattutto della gente semplice e poco accorta.
Per questo occorre in ogni caso mostrare prudenza, astuzia e circospezione di fronte ai "figli delle tenebre", perché le loro opere sono più scaltre di quelle dei figli della luce.
In effetti è proprio così: molte volte l'essere onesti e limpidi nelle intenzioni e nelle azioni è di grande incompatibilità con la disonestà di tanta gente; la persona integerrima e di provata rettitudine in molte circostanze manca di quella scaltrezza che è invece caratteristica comune dei furbi e degli intrallazzatori.
Di questo amministratore disonesto, smascherato dal padrone nell'esercizio di attività truffaldine che certo gravavano sul bilancio dell'amministrazione, viene lodata non già la disonestà e la scorrettezza nel fare i propri interessi, ma l'astuzia sottile e frugifera con cui questi è capace di togliersi da ogni impiccio riconquistando la fiducia della clientela. La sua abilità è di contrasto con il buon senso di coloro che non adoperano malizia né doppiezza alcuna ottemperando a quanto ci richiede il sistema vigente nelle leggi e nell'ordine della perfezione morale, ma invita anche alla prudenza e alla circospezione nella consapevolezza che la giustizia viaggia sempre sgomitando con la perversità e di questo noi facciamo esperienza nella vita di tutti i giorni.
E' congeniale allora per il cristiano affinare la bontà con l'attenzione poiché occorre sempre essere guardinghi e circospetti in un mondo di tenebre e di ingiustizie, che va combattuto in primo luogo evitando di lasciarsi ingannare e lo stesso Gesù fornisce la regola d'oro di ogni atteggiamento: "Semplici come le colombe, astuti come i serpenti". Siamo buoni, ma non stupidi e di fronte alle ingiustizie sappiamo anche quali sono i nostri diritti, fra l'altro rivendicati anche dalla morale.
Ma l'invito del Signore si estende anche più in generale alla perseveranza nella giustizia, all'esercizio dell'onestà e della coerenza in ogni situazione, e in particolare nelle attività professionali e di commercio. In effetti, del resto, il segreto di ogni successo professionale e la garanzia di guadagno certo e assicurato in ogni attività professionale risiede nella disponibilità al servizio pronto e risoluto e alla abnegazione con cui si mira ai reali interessi di coloro per cui stiamo lavorando: è nella misura in cui si mostra franca spontaneità verso il cliente o l'utente del nostro esercizio, che si ottengono copiosi risultati anche per se stessi, poiché chi si premura di servire il prossimo non manca di provvedere anche a se medesimo.
L'ammonizione alla fedeltà viene rivolta però in linea generale a tutti quanti, poiché a tutti è concesso da Dio un tesoro da amministrare e sul quale esercitare fedeltà e correttezza che consiste nella nostra ricchezza materiale e spirituale, nei talenti e nei doni da sfruttare sempre a vantaggio degli altri e nel potenziale che ciascuno di noi possiede in dotazione "Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?"
Con queste comparazioni Gesù rivolge l'esortazione al dovere e alla responsabilità su tutti i fronti e in tutti gli ambiti perché possiamo meritare il premio nella dinamica del Regno di Dio sia al presente sia soprattutto al momento dell'incontro finale con Lui: l'essere fedeli nella ricchezza propria e retta comporta certamente gratificazioni, ricompense e promozioni per incarichi di ordine superiore quanto la disonestà nelle cose di poco conto comporta, nella logica di giustizia divina, l'esclusione da qualsiasi beneficio e incarico con conseguenti ricompense.
. Il campo della fedeltà è il mondo nel quale siamo chiamati a dimenarci tutti i giorni, la struttura secolare di peccato che costituisce ogni momento una sfida alla virtù e una minaccia alla volontà di buoni propositi che animano il giusto e che richiede per questo eroismo di fermezza e di decisione nel compiere sempre ciò che obiettivamente è equo e giusto senza lasciarci corrompere dal falso comodismo delle allettanti proposte del male.
Testo di padre Gian Franco Scarpitta
La fedeltà che ci apre le porte dell'eternità
La Parola di Dio di questa XXV Domenica del tempo ordinario dell'anno liturgico ci fa riflettere sulla fedeltà a Dio che ci porta ad aprire il suo cuore ed accoglierci nella sua infinita misericordia al termine dei nostri giorni. La preoccupazione della salvezza eterna dovrebbe essere un pensiero costante nella nostra vita, come ci sottolinea oggi la parabola dell'amministratore disonesto, che viene proposto, paradossalmente, come esempio di vita quando si tratta di garantirsi il proprio futuro. Di fronte al bene superiore della salvezza dell'anima ogni mezzo è buono per conseguire questo fine, perché il perseguimento del fine buono passa anche attraverso la scelta dei mezzi più idonei in quel determinato tempo e momento della nostra vita: sarà una confessione fatta dal profondo del cuore, un incontro con un direttore spirituale, la partecipazione a qualche celebrazione, l'ascolto della parola di Dio che ti modifica profondamente. Ogni occasione è buona per il Signore per far ravvedere il peccatore dalla sua linea di condotta errata ed esaminarsi, per poi scegliere la strada più o meno facile e conveniente per raggiungere il suo principale scopo. Il testo del vangelo di Luca di questa domenica ci invita ad esaminarci a fondo, perché ci sono in gioco le nostre piccole o grandi fedeltà alla chiamata di Dio, da quella battesimale a quella della personale vocazione ad un determinato stato di vita.
Il comportamento dell'amministratore disonesto spesso riguarda anche il nostro modo di pensare ed agire. Nelle piccole o grandi cose ci facciamo scaltri e furbi per assicurarci un avvenire, per garantirci un aiuto, una sussistenza, una collaborazione, una compagnia, un servizio. D'altra parte il Vangelo prende dalla vita quotidiana gli esempi più lampanti e significativi dell'agire umano. Questo padrone a cui fa riferimento il testo che ha un servitore di cui sente parlare molto male e al quale chiede spiegazione del suo operare, prospettando a lui la rimozione dal suo ufficio, non fa altro che premunirsi rispetto a ciò che accadrà da lì a poco quando dovrà rendere conto della sua amministrazione, che sicuramente non sarà esatta, in quanto gestita ai fini personali e per raggiungere benefici per se stesso. Occasione buona per la verifica della contabilità per continuare ad agire per il suo scopo. Una persona scaltra e previdente che insegna quanto impegno ed ingegno personale bisogna mettere in campo per conseguire il bene supremo che è la salvezza della nostra anima. Se Dio è davvero il bene assoluto della nostra vita bisogna fare ogni sforzo per conseguire comunque questo bene. Se sono altri gli interessi, allora ci lasciamo andare senza mettere in campo le migliori energie spirituali per salvarci, anzi rischiamo di dannarci servendo ad un padrone diverso da quello che è il vero Signore della nostra vita e della storia.
San Paolo Apostolo nella sua prima a Timoteo ci ricorda la centralità di Cristo nella nostra vita. Questo ricentrarsi continuamente su Gesù Cristo richiede anche il coraggio di fare scelte etiche precise, sapendo che il bene che facciamo, l'impegno per la giustizia, la pace, la verità che profondiamo ci ripagherà abbondantemente davanti al trono dell'unico vero giudice della storia.
E su questa scia di impegno a favore della verità, della giustizia, della causa del povero e del sofferente si centra il testo della prima lettura di oggi, tratto dal profeta Amos.
Quanto siano ancora attuali queste denunce che con altri mezzi ed altre modalità vengono alla luce in questo nostro tempo segnato da troppi ed esclusivi interessi materiali di gruppi di persone e potere a danno dei deboli, dei fragili, di coloro che non hanno voce, degli esclusi e degli emarginati. Gli imbrogli nel commercio, l'approfittarsi del lavoro altrui, la retribuzione non corrispondente alla dignità della persona ed ai diritti fondamentali della giustizia sono realtà dei nostri giorni di fronte alle quali pochi sono coloro che gridano allo scandalo e nessuno che faccia qualcosa per rimuovere tali situazioni dalla faccia della Terra, sempre più luogo di benessere per pochi e sempre più tomba e cimitero, luogo della sofferenza per la maggior parte del genere umano.
La parola di Dio ci invita a vigilare anche sul comportamento di chi scegliamo alla guida di una comunità civile, locale o nazionale, perché non facciano del potere a loro delegato un'occasione per amministrare disonestamente le cose per i propri tornaconti offendendo la dignità di un intero popolo. Facendo nostro il monito di San Paolo Apostolo nella lettura di oggi vogliamo anche noi fare suppliche, elevare preghiere ed esprimere ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità. Mi sembra che tutto questo non è molto semplice da realizzare, anzi più avanti andiamo e più le cose sembrano peggiorare nella nostra società. Cosa fare come cristiani per rispondere a queste molteplici sfide che ci vengono dall'ambiente in cui viviamo? La preghiera è il primo mezzo necessario e poi l'unità di intenti nel perseguire il bene di tutti e per tutti.
Testo di padre Antonio Rungi
tratti da www.lachiesa.it