Il ritrovamento, una festa della misericordia di Dio

News del 10/09/2010 Torna all'elenco delle news

Nel Vangelo di questa domenica c'è prima un pastore che chiama i suoi amici e dice loro: "Rallegratevi con me perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta"; poi una donna di casa che va dalle sue amiche e le invita: "rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta". E, infine, un padre che chiama i servi e dice loro: "presto, portate qui il vitello grasso, ammazzatelo mangiamo e facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita".

Sono tre modi per esprimere la stessa cosa: la gioia di Dio quando ritrova i suoi figli che si erano smarriti. Vorrei immaginarla la gioia di Dio che esplode in ogni santa liturgia della domenica. Si! Ogni domenica Dio ci ritrova e fa festa.
E possiamo paragonare il Signore come quel padre della parabola che dall'alto della casa (chissà, dal campanile!) guarda verso le nostre strade e appena ci vede arrivare, come fece quel figlio che tornava, scende di corsa verso la porta per venirci incontro e abbracciarci.
Ed in effetti la santa liturgia si apre con l'abbraccio di Dio: è il momento del perdono. Subito siamo rivestiti della misericordia: "Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi". E possiamo intonare l'inno di lode, il "gloria". Eppoi si apre il lungo colloquio con la Parola di Dio, interrotto dalla nostra lontananza. Viene quindi il banchetto eucaristico che nutrendoci con il pane santo e il calice della salvezza ci trasforma sino a renderci simili al Figlio prediletto.

Si potrebbe dire che la domenica è tutta qui: la festa dell'abbraccio di Dio, la festa della grande misericordia. Una misericordia che è raro trovare nel mondo, ove invece tanto spesso si incontra l'assenza del perdono e, ancor più, dell'amore.
E' normale tra di noi l'affermazione di se stessi, la rivendicazione dei propri diritti e l'insensibilità al perdono. I due figli della parabola, il minore e il maggiore, sono ambedue gretti ed egoisti. Verrebbe da dire: "povero padre con quei due figli!". Avevano tutto: il padre ricco ed una casa grande; servi che li accudivano e possedimenti di cui godere. Avevano tutto, ma in comune. Preferirono la loro grettezza. "Padre, disse il figlio più giovane, dammi la parte che mi spetta". Davvero sciocco! Preferisce una parte al tutto. In quel giovane, come spesso in ognuno di noi, c'era il fastidio per ciò che è comune; il fastidio di non essere padroni assoluti di se stessi e delle proprie cose. "Dammi quel che mi spetta!" E' un triste ritornello quotidiano. E il giovane si allontanò da casa vivendo da dissoluto. Nel contesto evangelico il termine "dissoluto", più che un comportamento immorale, significa un vita sciolta (dis-soluta) da ogni dipendenza, da quella del padre e della casa. Insomma vivere da dissoluto significa voler far da sé, senza ascoltare e dipendere più da nessuno. Insomma, vivere da solo, lontano dal Padre. Ma facendo così, quel giovane, si ritrovò a fare il guardiano di porci.

Ugualmente egoista fu il fratello maggiore. Non appena i servi gli riferirono il motivo della festa, si adirò contro il padre e non volle entrare. Rifiuta la festa e la misericordia; preferisce un capretto per lui e qualche amico, al vitello grasso e alla tavola imbandita con il fratello e tutti gli altri. Sembra strano che non si lasci prendere da quella festa; ma così accade ogni volta che si vuole la festa solo per sé. Il Padre gli dice: "Tutto quello che è mio è tuo". Ma qual figlio preferisce rimanere fuori, nervoso e triste; sembra incredibile, eppure è triste perché il padre ha organizzato una grande festa.

Questi due figli non sono lontani da noi; convivono nel cuore di ciascuno di noi, accomunati dalla stessa voglia di avere tutto per sé. Esattamente il contrario di quello che desidera il Padre. Ma la voglia di possedere, di avere solo per sé, come il Vangelo ci mostra, conduce alla tristezza, e spesso anche alla rovina.
Quel che però alla fine conta è la capacità di rientrare in se stessi, di accorgersi della tristezza della propria condizione, di rialzarsi e ritornare alla casa del padre. E' sufficiente solo ricordare queste parole evangeliche sulla misericordia di Dio che ci appare infinitamente più grande del nostro peccato. E' proprio questo ricordo che ci dà la forza di rialzarci e riprendere il cammino verso il Signore. Troveremo non un giudice, ma un padre che viene incontro per abbracciarci.

La domenica è il giorno benedetto per tornare. La santa liturgia ci viene incontro e sconfigge ogni nostra tristezza, ogni nostro peccato, ogni nostra chiusura. Lasciamoci prendere da questa festa e gustiamola. La domenica allarga il cuore, fa cadere i muri, fa aprire le porte della mente, fa vedere lontano verso il mondo, verso i poveri. La domenica è larga, come larga è la misericordia di Dio. La domenica è ricca, non gretta; è piena di sentimenti, più bella dei nostri istinti banali e scontati. La domenica è il giorno santo in cui Dio ci rende uomini e donne più felici. Un antico inno, composto dal santo vescovo Giovanni Crisostomo cantava:

Se uno è amico di Dio, goda di questa festa bella e luminosa. Chi ha lavorato e chi non l'ha fatto, chi è nella pace e chi è nel dolore, chi si è smarrito e chi è stato a casa, chi è appesantito e chi è sollevato, tutti vengano e saranno accolti. La santa liturgia è festa, è perdono, è abbraccio di Dio per ognuno.

Così sia per noi oggi. Amen.

Testo di mons. Vincenzo Paglia 
 

Nesso tra le letture

Nell'insieme della liturgia risuona la misericordia di Dio Padre. Ha la sua nota più elevata nel vangelo, che raccoglie tre magnifiche parabole della misericordia divina verso i peccatori. Nella prima lettura, ascoltiamo la musica della misericordia di Dio verso il suo popolo, grazie all'intervento di intercessione di Mosè. In ultimo, nella prima lettera di san Paolo a Timoteo, sentiamo una certa commozione udendo la confessione che Paolo fa della misericordia di Gesù Cristo verso di lui: "Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità" (seconda lettura).

Amore e perdono: le due facce della misericordia. Il Dio che Gesù Cristo ci "dipinge" nelle tre parabole evangeliche, è il Dio dell'amore. Dio ama i peccatori, e per questo li cerca come il buon pastore va alla ricerca delle pecore smarrite: o come una padrona di casa cerca un assegno che non sa dove ha messo, finché lo trova. Dio ama il peccatore, come un padre ama i suoi figli: quello "sfrontato", che va via di casa chiedendogli in anticipo la sua eredità, e quello che resta in casa, ma si comporta con lui in modo distante e qualche volta scontroso. E poiché ama, non può fare altro che mostrare il suo amore: perdonando, comunicando l'amore, celebrando la festa, invitando tutti a condividere la sua gioia. Questo ritratto di Dio, dipinto da Gesù Cristo, ci commuove e ci infonde coraggio per vivere degnamente come figli. Questo ritratto risalta ancor di più se lo poniamo a fianco del ritratto che ci offre la prima lettura, tratta dalla storia dell'Esodo. L'autore ci narra ciò che si potrebbe denominare "il peccato originale" del popolo di Israele: appena finito di "firmare" il patto di alleanza con Javeh, rompendo codesta alleanza, si costruiscono un toro di metallo fuso e lo trasformano nel loro "dio" invece di Javeh. Dio si riempie di ira, e vuole sterminarli. Soltanto l'intercessione di Mosè fa sì che Dio "si penta" ed apra la porta del suo cuore alla misericordia. Indubbiamente, c'è un progresso nella rivelazione del cuore di Dio! Con Paolo ci rendiamo conto che adesso la misericordia di Dio porta per nome "Gesù Cristo". In effetti, Cristo non solo gli si è mostrato misericordioso, traendolo fuori dal suo accecamento sulla via di Damasco, ma ha avuto altresì tanta fiducia in lui, da chiamarlo a predicare il vangelo della misericordia nel mondo intero. Come non sentire una profonda gratitudine davanti a tanta magnanimità di Gesù Cristo!

Caratteristiche della misericordia divina. 1) Innanzitutto si dovrà sottolineare che la misericordia di Dio non è sottomessa alle leggi del tempo. E questo, in un duplice senso: primo, qualsiasi momento è buono perché il Buon Pastore cerchi la pecora perduta, come qualsiasi è buono perché il figlio si metta in cammino verso la casa del padre; in secondo luogo, la porta del cuore del Padre è aperta ventiquattro ore al giorno, non ha orari. Nessuno potrà dire a Dio: "Quando ti ho cercato, tu non c'eri". 2) La misericordia divina non si esaurisce mai, è segnata dall'eternità che Egli è, e nella quale Egli vive. Finché esisterà la vita, ci sarà sempre la possibilità di ricorrere a Lui e di essere accolti nelle sua braccia di Padre. Dio non guarda il comportamento indegno che si è avuto, né il numero delle volte che lo si è abbandonato e disprezzato: guarda unicamente i movimenti interiori dell'anima che anela al perdono e all'abbraccio paterno, guarda gli occhi umidi come uno smeraldo in cui brilla il pentimento, guarda i passi indecisi di chi si avvicina a Lui per dirgli: "Ho peccato. Perdonami. Che cosa vuoi che faccia?". Dio non guarda alla categoria del peccato, ma alla categoria dell'anima. 3) La misericordia di Dio è trasformante, rivoluziona, in una certa maniera, la vita dell'uomo. Il popolo di Israele, in mezzo a tante difficoltà e nonostante le sue cadute ed infedeltà, portò sempre alta la bandiera del Dio fedele e redentore del suo popolo. Il caso di Paolo è luminoso: mise tutte le sue qualità al servizio del vangelo di Gesù Cristo, e per lui si spese e si consumò, fino a dare la sua vita. Dei due figli, non sappiamo come sarebbe continuata la storia, ma non dobbiamo forse pensare che si sarebbero comportati in futuro come figli fedeli e affettuosi?

La difficile scienza del perdono cristiano. La Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, è la cattedra dalla quale Dio insegna ai cristiani, e a tutti gli uomini, la scienza della misericordia, dell'amore e del perdono. È una scienza il cui apprendistato dura l'intera esistenza, perché in qualsiasi momento della vita ci può insidiare l'artiglio dell'odio o della disperazione nel dolore. Come amare chi ti ha diffamato o calunniato, privatamente o pubblicamente? Come perdonare chi, in tua assenza, è entrato in casa tua e ti ha derubato? Come amare un pedofilo, che ha voluto abusare dei tuoi figli o di quelli dei tuoi vicini ed amici? Come perdonare chi ha messo tua figlia nel nero tunnel della tossicodipendenza, distruggendo così tua figlia e la tua famiglia? Queste domande, ed altre similari, mostrano quanto sia difficile la scienza del perdono cristiano. Ma l'ideale è chiaro. Se siamo stati promossi in questa dura e strana scienza, siamo grati al Signore, e continuiamo a cercare di superare la nostra votazione. Tuttavia, non ci scoraggiamo, se ancora siamo lontani da lui. Innanzitutto, manteniamo la decisione e la volontà di imparare questa misteriosa scienza, nonostante tutti gli ostacoli che incontreremo. Poi, cerchiamo di esercitarci nel perdonare ad altri le piccole mancanze di rispetto o di attenzione, gli scherzi pesanti che qualcuno ci potrebbe fare, ecc. per crescere e estendere a poco a poco la nostra capacità mediante l'esercizio. Leggiamo, anche, spesso, la Bibbia, soprattutto queste parabole della misericordia, i salmi in cui riluce in modo ammirevole la misericordia divina, e tanti altri testi in cui appare la misericordia di Dio in azione. In ultima istanza, alziamo il nostro sguardo e il nostro cuore verso Gesù Cristo, verso tutta la sua vita, dall'incarnazione alla croce e alla resurrezione, affinché nel contatto assiduo e orante con la vita e il mistero di Gesù Cristo, andiamo assimilando gradualmente, passo dopo passo, la meravigliosa scienza del perdono cristiano. Difficile scienza! Tutto il nostro essere si ribella di fronte a certi casi e situazioni. Meravigliosa scienza! Con il perdono dell'offesa, tutta l'umanità in certo modo è migliorata e resa degna, e Dio potrà dire: "Soltanto per questo vale la pena di aver creato l'uomo".

Il potere dell'intercessione. L'intercessione è un altro dei nomi dell'amore. Chi intercede si situa come un ponte di amore tra l'offensore e la persona offesa. Ama l'offeso, e per questo condivide la sua pena, ma ha anche la confidenza sufficiente per supplicarlo in favore dell'offensore. Ama l'offensore, cerca di muoverlo al pentimento di ciò che ha fatto, e lo induce perfino a chiedere perdono alla persona offesa. E così, mediante l'intercessione, si ottiene la riconciliazione e si stabilisce finanche l'amicizia. L'intercessione cristiana non esclude nessun ambito della vita: intercedere per un familiare presso un altro che è stato offeso; intercedere per un condannato a morte perché la condanna non sia eseguita; intercedere per i prigionieri politici, perché siano liberati, ecc. Però l'intercessione cristiana è eminentemente religiosa: intercedere presso Dio per i peccatori. È ciò che fa Mosè davanti al peccato degli israeliti, come ci narra la prima lettura. È soprattutto ciò che fa Gesù Cristo, poiché tutta la sua vita si può riassumere come una costante intercessione presso il Padre per ottenere la redenzione dell'umanità peccatrice. Nel catechismo ci viene insegnato che "l'intercessione è una preghiera di domanda che ci conforma molto da vicino alla preghiera di Gesù, l'unico intercessore presso il Padre" (CCC 2634). 

Testo di Totustuus
 

Liturgia della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 12 settembre 2010

Liturgia della Parola della XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 12 settembre 2010

tratti da www.lachiesa.it