Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti

News del 04/09/2010 Torna all'elenco delle news

Termina con queste parole il cap.14 del Vangelo di Luca che stiamo leggendo in queste ultime domeniche. Se l'ascolto della Parola ha un posto di primo piano nella vita del discepolo di Gesù, questo invito così esplicito vuole sottolineare l'importanza del messaggio contenuto in questo capitolo: ancora una volta dobbiamo sottolineare che la lettura liturgica omette alcune parti che lodevolmente ciascuno di noi è invitato a leggere personalmente.

Tutto ha inizio dall'invito che Gesù ha ricevuto da un capo dei farisei, in giorno di sabato, ad entrare in casa sua per mangiare il pane. Vedendo ciò che accadeva, che tutti cercavano i primi posti, Gesù ha pronunciato una parabola.
Mentre è a tavola, pronuncia una parabola sul sedersi a tavola: la "parabola" fa parte del linguaggio normale di Gesù, sempre attento alla realtà concreta che ha sotto gli occhi. Con la parabola, egli esprime il suo modo di guardare la realtà: nella concretezza vede la presenza di Dio, tutto diventa simbolico e la realtà che cade sotto l'esperienza sensibile si autotrascende, diventa una parola che rende visibile ciò che Dio vuole manifestare di sé.
Così, Gesù, invitato a mangiare il pane pronuncia la parabola sull'invito a mensa, dove, il suo essere invitato a condividere il pane, diventa la rivelazione del progetto del Padre che egli è mandato a realizzare: Dio vede l'umanità come una comunione di fratelli chiamati a mangiare insieme il pane, a condividere la vita.

E Gesù mostra che questa è proprio la sua missione: è Lui che sedendo a mensa genera la comunione, trasforma l'umanità in una famiglia. Tutto il cap.14 di Luca non ha come scopo fondamentale di dare un insegnamento morale sull'umiltà ma di svelare il progetto di Dio sull'umanità che Gesù mette in atto.

A noi che leggiamo il Vangelo è rivolta la proposta della fede: Gesù è con noi e ci invita a trasformare la nostra vita in una festa nella quale sperimentiamo la gioia dello spezzare il pane, del condividere la bellezza della vita. Noi siamo degli invitati a mensa da Colui che vuole la felicità per noi, ma per gustare questa gioia dobbiamo spogliarci da ogni preoccupazione, prepotenza, paura. La felicità è un dono gratuito che viene dato a chi ha le mani vuote, aperte per accoglierlo, a chi siede a mensa per accogliere il pane, non a chi è già sazio di beni.
Il progetto di Dio è di un Padre che ama i figli che si lasciano amare da lui, che riempie di beni gli affamati, che innalza gli umili. E' un progetto concreto: Gesù parla stando seduto a una mensa e dice a noi che possiamo gustare questa gioia adesso, quando spogliati da ogni desiderio di primeggiare, di oscurare gli altri, di accaparrarci ogni cosa, ci guardiamo come fratelli e ci scambiamo vicendevolmente un pezzo di pane.
Ma è un progetto che nasce dalla fede in Lui: è Lui solo che ci dona la forza perché è Lui solo che è sempre con noi, che diventa il pane spezzato che ci nutre con il suo amore, perché noi abbiamo il coraggio a nostra volta di spezzare la nostra vita come fratelli.
Abbiamo bisogno di Lui per entrare nella festa dei fratelli, dobbiamo essere suoi discepoli per gustare la gioia: dobbiamo sottolineare che il progetto a cui Gesù ci chiama è di meravigliosa bellezza, perché è fatto di libertà, di amore. Ma certo egli con estrema chiarezza ci dice che per entrarvi occorre capovolgere la logica che l'uomo normalmente segue: gli ultimi, i poveri, sono coloro che possono sedersi a mensa ed essere pieni di gioia, perché Colui che prepara la mensa li ama.

In questo contesto possiamo capire il brano che leggiamo in questa domenica XXIII, Lc.14,25-33.
"Molta gente camminava con Lui": hanno capito che camminare con Gesù significa trovare il respiro pieno della vita. "Voltandosi egli disse…": il Vangelo sottolinea spesso che Gesù per parlare deve voltarsi, egli sta sempre davanti perché chi lo segue possa tenere sempre lo sguardo fisso su di Lui.
La parola che pronuncia è ancora una volta sconvolgente: l'orizzonte che egli vuole aprire è meraviglioso ma la via per varcare la soglia appare una follia. Ci vuole coraggio, ci vuole una fede in Lui senza limiti per aderire a ciò che egli chiede a chi vuol essere suo discepolo: per tre volte ripete l'avvertimento "…non può essere mio discepolo". Gesù vuole persone libere e per questo non inganna, non nasconde nulla: è così grande ciò che propone che per questo chiede tutto, solo persone libere possono possedere tutto, solo chi si è spogliato di tutto e non cerca più niente può gustare l'Amore e cominciare ad amare.
"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre…e persino la propria vita, non può essere mio discepolo". Purtroppo la nuova versione della Bibbia ritenendolo urtante, traduce questo verbo "non odia" con "non ama me più di suo padre o sua madre…", come se Gesù volesse stabilire una scala quantitativa nell'amore: ma Gesù non vuole affatto stabilire un confronto.

Egli chiede tutto: c'è un momento nel quale occorre fare una scelta radicale. Gesù è la visibilità di Dio: egli propone al suo discepolo l'ebbrezza dell'esperienza della totalità dell'Amore.

Questo richiede il distacco, che è espresso da questo verbo greco che è tradotto con "odiare", da tutto ciò che è limitato. Ma chi sperimenta la totalità dell'Amore che è la concretezza della persona di Gesù, ritrova tutto e comincia davvero ad amare il padre, la madre… e la propria vita. Questa è la bellezza proposta da Gesù: abbandonare tutto, gustare l'Amore per ritrovare tutto e cominciare ad amare tutto.
"Chi non porta la sua croce…non può essere mio discepolo": non è un invito masochistico alla sofferenza ma ad accettare di percorrere con Lui la strada della propria vita personale, per gustare già adesso la vita della libertà della risurrezione.
E ancora una volta Gesù ci avverte che ciò che egli propone è possibile, è bello, è concreto: vogliamo viverlo? Non basta l'emozione di un attimo: occorre sapere che è in gioco tutto il capitale dei valori che è nelle nostre mani. Vogliamo una vita grande? Occorre il coraggio di impegnare tutto per poterla vivere. Se impegniamo poco non otteniamo niente.
"Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo": a ciascuno di noi Gesù rivolge questa sua parola. Nella superficiale banalità in cui rischiamo di ridurre la nostra vita, cade questa parola di Gesù: abbiamo il coraggio di rinunciare a tutti i nostri averi? Solo così siamo suoi discepoli ed entriamo nella festa della vita che egli prepara per noi. 

Testo di mons. Gianfranco Poma 
 

Nesso tra le letture

La sapienza è la parola-chiave nelle tre letture. Alla capacità umana di ragionare, così debole e incerta, si oppone la sapienza con cui Dio ammaestra gli uomini affinché ottengano la salvezza (prima lettura). La prudenza umana fa dei calcoli per sapere se si può contare sui mezzi sufficienti per costruire una torre o sul numero sufficiente di soldati per attaccare il nemico. Questa prudenza è necessaria, ma, per essere discepolo di Gesù Cristo, si richiede altresì la sapienza che proviene da Dio (vangelo). La lettera di san Paolo a Filemone, non è forse una vetta di tatto umano e di sapienza appresa alla scuola della fede? (seconda lettura).

Scienza dell'uomo e sapienza della fede. Con la prima espressione voglio indicare lo sforzo dell'uomo per conoscere la verità in tutte le sue dimensioni e vivere secondo essa; con la seconda, l'azione di Dio nella nostra intelligenza per renderci partecipi della sua rivelazione, e nella nostra volontà per indurci a vivere secondo la stessa. Quante differenze tra di loro, ma anche quanti aiuti e quanta complementarietà! La scienza è caratterizzata dal limite; un limite che si supera continuamente, aprendo il passo ad un altro nuovo, e così una volta dietro l'altra; per questo, per principio, l'uomo del presente ha più scienza di quello del passato, e quello del futuro avrà più scienza di quello del presente. Nel libro della Sapienza leggiamo: "A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi può rintracciare le cose del cielo?". La sapienza non ha limiti, ma unicamente quello che le pone la nostra povera intelligenza. Ciò spiega che esista la possibilità di uomini con maggiore sapienza nel passato che nel presente, o di uomini con minore sapienza nel futuro. Essendo dono di Dio, la sapienza non è sottoposta al tempo. "Chi può conoscere la tua volontà, se tu non gli dai la sapienza e non gli invii il tuo spirito dal cielo?" (prima lettura). Si vede con chiarezza che la scienza è sforzo umano, e la sapienza dono divino: ciò che la scienza ignora è molto di più di ciò che conosce, invece per mezzo della fede si sa tutto, anche se non si arriverà a conoscere tutto. La scienza spesso insuperbisce ed esalta chi la possiede, la sapienza rende umile e riconoscente chi la riceve. La scienza finirà con l'uomo, la sapienza è eterna, come lo è Dio, sua fonte perenne. Nel vangelo troviamo splendidamente formulata la sapienza della croce, e nella seconda lettura la sapienza della carità con uno schiavo che è divenuto qualcosa di inaudito, fratello!

La sapienza della fede in azione. La sequela di Cristo non è una scelta originale dell'uomo, ma una scelta a partire da una chiamata che viene da Dio. Proprio per questo, la sequela di Cristo non è possibile in base a puri ragionamenti umani, ma esige la sapienza della fede. Il testo evangelico ci pone di fronte ad alcune opzioni che dovranno essere illuminate dalla sapienza divina. C'è il caso dell'opzione per la sequela di Cristo, anche a costo dei più stretti vincoli familiari, quando questi ultimi entrino in conflitto con la chiamata. C'è l'opzione della croce, seguendo le orme di Cristo nel suo cammino verso Gerusalemme. C'è la rinuncia a tutti gli averi, a tutte le ricchezze, ad ogni potere, pur di vivere radicalmente la sequela Christi. Non richiedono forse tutte queste scelte una profonda sapienza di fede? Nella seconda lettura, Paolo nella sua lettera a Filemone ci offre un magnifico esempio di questa sapienza divina. Innanzitutto, la sapienza di Paolo, che si manifesta nella delicatezza, nella discrezione e nel tatto ammirevoli con cui tratta la situazione di Onesimo (uno schiavo di Filemone, che era fuggito dal suo padrone a causa probabilmente di un furto, e che Paolo aveva convertito e battezzato, e adesso invia di nuovo a Filemone perché lo riceva non più come schiavo, ma come fratello). E, in secondo luogo, l'esortazione di Paolo alla sapienza propria del credente, in questo caso, Filemone, perché veda in Onesimo un "figlio" di Paolo, suo cuore; perché veda in Onesimo non uno schiavo (sebbene continui ad esserlo), ma un fratello carissimo nel Signore. In base a questa sapienza, come Filemone non gli darà una buona accoglienza nella sua propria casa? Senza che Onesimo cessi di essere nella condizione di schiavo, quest'ultima è superata di gran lunga dalla fraternità nata dalla fede.

La sapienza alla portata di tutti. Una cosa è certa: non tutti sono dotati per essere "scienziati", uomini di scienza, ma tutti sono capaci di essere saggi, recettori della sapienza della fede. Un'altra cosa è certa, ed apparentemente paradossale: Che ci siano "scienziati" che mancano di sapienza, come ci sono ignoranti di scienza che sono, tuttavia, grandi per sapienza. Non è che la scienza e la sapienza debbano trovarsi necessariamente l'una contro l'altra; piuttosto, la cosa giusta è che collaborino e si prestino mutuo servizio. Magari tutti noi uomini volassimo con queste due ali per gli spazi della nostra esistenza! Ma non sempre è così, e non sono pochi i casi in cui l'uomo tenta di volare con una sola ala, con il pericolo di schiantarsi al suolo. In tutti i modi, ciò che deve riempire di ammirazione e di gratitudine è che Dio abbia voluto porre la sapienza alla portata di tutti. Anche dei bambini? Anche degli ignoranti e di quelli con un quoziente intellettuale minimo? Anche degli handicappati? La realtà storica plurisecolare, e particolarmente del XX secolo, mostra con grande chiarezza che tali fratelli nostri godono molte volte di una sapienza divina invidiabile. Mentre si afferma la portata universale della sapienza, non si può tralasciare di dire che non tutti la accettano né tutti la amano, né tutti vivono conformemente ad essa. Perché non tutti la accettano? Le vie dei pensieri umani sono imperscrutabili! Entrano in gioco l'educazione, l'ambiente in cui si è cresciuti e vissuti, i principi regolatori della propria esistenza... Perché non tutti la amano? Il cuore dell'uomo è un abisso insondabile! Forse si deve a egoismo, forse all'indurimento del cuore, forse a freddezza spirituale o alla forza di una passione.. Perché non tutti vivono secondo essa? C'è di mezzo la libertà umana, e sono in gioco i condizionamenti del mondo in cui viviamo e delle proprie passioni, estremamente potenti e non poche volte senza alcun freno. È evidente, pertanto, che urge apprendere fin da piccoli questa sapienza divina, nel seno della famiglia e della parrocchia, perché si vada radicando a poco a poco nella vita.

Scienza versus sapienza?. In una cultura che opera per contrasti e per opposti, la risposta positiva a questa domanda sarebbe la più logica. Alla scienza dell'uomo si oppone la sapienza di Dio, e alla sapienza di Dio si oppone la scienza dell'uomo. Per cui, tra scienza e sapienza non ci sarebbe riconciliazione possibile. Così continuano a pensare molti nostri contemporanei, così sostengono con calore sulla stampa e nei mezzi di comunicazione sociale. Non è questa la posizione cristiana, né può esserlo. La dottrina cristiana ci insegna a dire: "scienza e sapienza"; pertanto, non opposizione, ma collaborazione, non esclusione, ma complementarità. La ragione per noi credenti è semplice: chi dà all'uomo la capacità della scienza è lo stesso Dio, che gli concede il dono della sapienza. Per il non credente si dovrà dire che in entrambi i casi si tratta della ricerca della verità, sebbene sia per vie differenti. In codesta ricerca tutti noi ci troviamo insieme: alcuni volando con un solo motore, altri con due. Perché, nella ricerca della verità da parte di entrambi, i risultati sono qualche volta differenti? A mio avviso, si tratta di un invito a continuare a cercare, perché non si è ancora raggiunta la "verità completa", codesta verità che soddisfi le esigenze della scienza umana e della sapienza divina. Ed aggiungerò che è requisito indispensabile per entrambe le parti il non avere pregiudizi di nessun genere, e il non arroccarsi sulle proprie posizioni anche a costo della verità stessa. 

 Testo di Totustuus 
 
Liturgia della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 5 settembre 2010

Liturgia della Parola della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 5 settembre 2010

tratti da www.lachiesa.it