La nuova logica del Regno

News del 26/08/2010 Torna all'elenco delle news

In questo periodo la liturgia ci riporta a meditare quell'ampia sezione (9,51 - 19,28) del Vangelo, nella quale Luca - attraverso un viaggio molto teologico e poco geografico - fa avvicinare Gesù a Gerusalemme. In questi intesi capitoli l'evangelista vuole accompagnare il discepolo-lettore alla scoperta di cosa significhi in concreto camminare con Gesù verso la Croce.

Siamo a casa di uno dei capi dei farisei e Gesù è invitato a pranzo. Ovviamente, gli occhi di tutti sono posati su di lui. I suoi miracoli, i suoi discorsi pungenti, le sue parabole geniali, erano già saltati di bocca in bocca e, se non bastasse, la sua ultima invettiva contro il potere costituito (Lc 13,31-35) aveva fatto del giovane rabbì di Nazareth uno degli argomenti preferiti nei circoli dei benpensanti.
Apparentemente potrebbe sembrare che le regole offerte da Gesù durante questo pranzo, e proposte attraverso due parabole, siano solo norme di buon comportamento. Inceve Gesù mira molto più in alto. Non vuole dare delle regole di buon educazione, ma regole del Regno di Dio.

Il Rabbì di Nazareth vuole mettere sotto la lente di ingrandimento l'atteggiamento sicuro e orgoglioso dei farisei, che si credono giusti e si illudono di occupare i primi posti.
Ciascuno di noi, oggi, è interpellato a scovare il piccolo fariseo che lo abita! Gesù ci mette in guardia: non è la tua presunta giustizia che ti fa guadagnare il primo posto davanti a Dio. Apparenza, intelligenza, fortuna, abbondante conto in banca, buona carriera, fisico sano e sportivo, sono criteri umani di giudizio.
Ma nel Regno ciò che conta è l'amore. Su questo saremo giudicati.

La seconda parabola di Gesù mira invece a superare la ricerca di simmetria, cioè la parità tra il dare e il ricevere. Il padrone di casa è invitato ad un ribaltamento dei consueti termini di giudizio: non la simmetria, ma la gratuità; non la chiusura, ma l'universalità. Così è il Regno di Dio. Così è il sogno che Gesù custodisce nel cuore per la comunità dei suoi discepoli.

In questa nuova logica, prende forma la beatitudine annunciata da Gesù: "Sarai beato perché non hanno da ricambiarti" (Lc 14,14). E' la beatitudine che annuncia la buona notizia del Regno: l'avvento della gratuità; il superamento del dare per avere; l'incertezza a cui espone l'amore, che ti spoglia di tutto, ti fa nudo, autentico, semplice. In una parola sola: vero.

Animo, fratelli! Lasciamoci strappare alle vecchie logiche di potere del mondo, permettiamo allo Spirito di guidarci sui nuovi e impegnativi sentieri del Regno.

Testo di don Roberto Seregni 

 

La comunità di Cristo, ospitale e aperta agli esclusi

La scena è vivace e colta dal vero (Lc 14,7-14). Invitato a pranzo da un capo dei farisei Gesù osserva che gli ospiti fanno ressa per assicurarsi i primi posti. Sono persone convinte di avere diritto al posto d'onore. E Gesù racconta una parabola, con la quale non intende indicare una semplice regola di galateo, ma una regola religiosa, come cioè comportarsi di fronte a Dio e, di conseguenza, nei confronti degli uomini: «Quando sei invitato a un pranzo non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro più ragguardevole di te e tu debba cedergli il posto...».
Osservando con ironia i commensali che cercavano i primi posti, Gesù condanna la «presunzione di essere giusti»: presunzione che non soltanto snatura il rapporto con Dio (che deve rimanere costantemente un rapporto di dipendenza e di riconoscimento della propria indegnità), ma anche il rapporto con gli uomini: dalla presunzione nascono le pretese, le preoccupazioni gerarchiche, i giudizi taglienti.
Dopo la parola ai convitati, Gesù dice anche una parola per il padrone di casa: «Quando vai a un pranzo, non invitare gli amici o i ricchi vicini, ma i poveri». Perché invitare sempre soltanto parenti ed amici? Siamo sempre all'interno di un amore interessato, all'interno di una concezione chiusa della vita: ci si invita fra amici, fra persone alla pari, oggi io invito te e domani tu inviti me. E i poveri restano sempre fuori, sempre esclusi.

Il Vangelo vuole invece una fraternità con due caratteristiche ben precise: la gratuità e l'universalità. Devi dare anche a coloro dai quali non puoi sperare nulla in cambio. Gesù sta pensando alla sua futura comunità: la sogna come un luogo di ospitalità per tutti gli esclusi. Non si tratta certo di un insegnamento nuovo. Gesù l'ha già rivolto a tutti nel discorso della montagna (Lc. 6.32-34): se amate soltanto coloro che vi amano, qual è il vostro merito? Anche i peccatori amano coloro che li amano.
C'è la beatitudine per chi è povero («beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio») e c'è anche la beatitudine per chi trasforma i propri beni in occasione di ospitalità, ma deve trattarsi di un'ospitalità anche verso gli esclusi («sarai beato perché non hanno da ricambiarti»). 

Testo di don Bruno Maggioni 
  

Umiliazione ed esaltazione!

Il banchetto nuziale al quale tutti gli invitati facevano a gara a prendere i primi posti è l'occasione per Gesù per svolgere un'adeguata catechesi sull'umiltà e sulla vera esaltazione che è quella che ci riconosce e si riconosce in Cristo esaltato sulla croce.
L'evangelista Luca, buon osservatore dei comportamenti umani, nel brano riporta la narrazione del fatto ed anche il messaggio che sottostà al testo e all'insegnamento del Signore.

In genere questo brano lo si riconosce come attribuibile agli altri e particolarmente adatto agli altri, quasi che sempre gli altri siano i superbi, gli orgogliosi, quelli che amano i primi posti, essere adulati, stimati. Come dire che noi siamo umili e gli altri superbi. In realtà, questo è un brano che riguarda tutti e tutto, perché in fatto di umiltà scarseggiamo tutti, e chi apparentemente sempre rifuggie i primi posti, i posti di onore, gli uffici che contano, alla fine è il primo ad aspirare a simili posti e addirittura a brigare per raggiungerli in modo subdolo, indegno, vergognoso e falsificando fatti e carte. E' il carrierismo e l'arrivismo, rampante di questi tempi in tutti gli ambienti.

Se andiamo a rivolgere lo sguardo su questa nostra società ci accorgiamo quanti falsi modesti ed umili circolano negli ambienti umani e relazionali. C'è la rincorsa e l'accaparramento ad occupare anche fisicamente i primi posti, i posti in prima fila, i posti riservati, perché meritati o semplicemente perché raccomandati. Chi assume questo atteggiamento non solo non è gradito a Dio, ma non lo è particolarmente agli altri.
I santi, nonostante la loro vera umiltà, si sentivano orgogliosi e lavoravano molto per smussare le varie angolature e spigolature dei loro caratteri e delle loro personalità, perché emergesse nella loro vita e nei loro comportamenti la vera e non la falsa umiltà. Alla scuola di Gesù Cristo e a quella della Vergine Maria ogni vero credente che vuole incamminarsi sulla strada della perfezione e della santità non può non partire dall'umiltà, dall'ultimo posto per poi avanzare nei gradi dell'ascesi cristiana che è come nel banchetto nuziale di cui parla il Vangelo oggi: è un andare verso i posti più vicini allo Sposo. E in genere, quando nel Vangelo si parla di Sposo e Sposa, si indica rispettivamente Gesù Cristo e la sua Chiesa.
Per essere in Cristo e nella Chiesa è necessario un buon grado di umiltà profonda che solo la grazia di Dio può far maturare e crescere giorno dopo giorno.

Nel contesto di questo banchetto è interessante pure notare come Gesù nella parabola che fa seguire all'osservazione dei comportamenti degli invitati egli ci ricordi quanto spazio deve avere il nostro cuore verso gli ultimi e i bisognosi. Ai grandi pranzi ed agli appuntamenti con Dio, con la storia, con la gioia, il successo, il benessere non possono essere presenti sempre i ricchi e quanti già hanno tutto, bisogna invece invitare chi non ha nulla perché questi non potranno ricambiare il bene ricevuto e allora il bene fatto avrà un merito davvero grande agli occhi di chi lo riceve e soprattutto agli occhi di Dio. Sappiamo bene che non agiamo come Gesù ci suggerisce. Alle varie tavole del benessere invitiamo solo chi sta già bene e può ricambiarci il bene ricevuto con altrettanto o superiore bene. Operiamo per interesse e il nostro agire ha sempre uno scopo ed una meta da raggiungere per il proprio tornaconto. Nessuno fa niente per nulla.
 

Al discorso della modestia e dell'umiltà è dedicato anche il breve passo del Libro del Siracide, molto esplicito, che con linguaggio efficace mette in risalto l'essenza della vera grandezza. Quante volte riflettiamo su questi testi sacri e magari vorremmo anche impegnarci di più ad abbassare il maledetto orgoglio che si annida dentro di noi e invece di ottenere il risultato di abbassarci ci innalziamo sempre di più. 

In questa corsa al primo posto, all'onore, si sgomita e ci si fa spazio in modo davvero poco leale e soprattutto cristiano. Da qui il monito che ci viene dal testo sacro: quanto più sei grande, tanto più umiliati. Solo Cristo può dire questo e ha testimoniato questo. Per noi esseri umani, l'umiltà è una lenta e faticosa conquista che non si risolvere con una battuta, né con la simpatia, né con la barzelletta per essere graditi al popolo e per dire ad essi che siamo scesi a loro livello, né con un linguaggio per nulla edificante per dire che non ci differenziamo dagli altri. E ciò con lo scopo di essere considerati alla pari, mentre in realtà siamo diversi gli uni dagli altri ed ognuno deve esprimere sè stesso nella massima libertà. Non possiamo inibirci nei nostri carismi e nelle nostre attività, perché sappiamo che gli altri ci possono giudicare come orgogliosi o come quelli che vogliono stare sempre ai primi posti.

Il breve brano della Lettera agli Ebrei ci riporta alla realtà della vita e dei fatti, letti nell'orizzonte di quella fede che deve guidare il nostro camminare verso il Signore. La nostra vera preoccupazione è accostarsi al trono di Dio con il coraggio dei santi e delle scelte radicali che è doveroso fare, soprattutto quando l'orgoglio ci ostacola a camminare speditamente nella via della santità. Questa via è inconciliabile con la strada della superbia e dell'orgoglio che possiamo comprare a buon mercato in tutte le piazze e le agorà di questa umanità sempre più presuntuosa e piena di sè, ma sempre più vuota e inutile per quello che dice e fa', purtroppo allontanando Dio dalle proprie prospettive. 

Testo di padre Antonio Rungi 
 

La rivoluzione sociale dell'umiltà

L'inizio del Vangelo di questa domenica ci aiuta a correggere un pregiudizio assai diffuso: "Un sabato Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo". Leggendo il Vangelo da una certa angolatura, si è finito per fare dei farisei il prototipo di tutti i vizi: ipocrisia, doppiezza, falsità; i nemici per antonomasia di Gesù. Con questi significati negativi, il termine fariseo e l'aggettivo farisaico è entrato nel vocabolario della nostra e di molte altre lingue.

Una simile idea dei farisei non è corretta. Tra di essi c'erano certamente molti elementi che rispondevano a questa immagine, ed è con essi che Cristo si scontra duramente. Ma non tutti erano così. Nicodemo, che va da Gesù di notte e che più tardi lo difende dinanzi al Sinedrio, era un fariseo (cfr. Gv 3,1; 7, 50 s.). Fariseo era anche Saulo prima della conversione, ed era certamente persona sincera e zelante, anche se ancora male illuminata. Fariseo era Gamaliele che difese gli apostoli davanti al Sinedrio (cfr. At 5, 34 ss.).

I rapporti di Gesù con i farisei non furono soltanto conflittuali. Condividevano spesso le stesse convinzioni, come la fede nella risurrezione dei morti, sull'amore di Dio e del prossimo come primo e più importante comandamento della legge. Alcuni, come nel nostro caso, lo invitano perfino a pranzo in casa loro. Oggi si è d'accordo nel ritenere che non furono tanto i farisei a volere la condanna di Gesù, quanto la setta avversaria dei Sadducei, cui apparteneva la casta sacerdotale di Gerusalemme.

Per tutti questi motivi, sarebbe altamente auspicabile che si smetta di usare i termini fariseo o farisaico in senso dispregiativo. Ne guadagnerebbe anche il dialogo con gli ebrei che ricordano con con grande onore il ruolo svolto dalla corrente dei farisei nella loro storia, specie dopo la distruzione di Gerusalemme.

Durante il pranzo, quel sabato, Gesù diede due insegnamenti importanti: uno rivolto agli invitati, l'altro all'invitante. Al padrone di casa, Gesù disse (forse a quattrocchi, o in presenza dei soli discepoli): "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini..." Così ha fatto lui stesso, Gesù, quando ha invitato al grande banchetto del Regno poveri, afflitti, miti, affamati, perseguitati (le categorie di persone elencate nelle Beatitudini).

Ma è su ciò che Gesù dice agli invitati che vorrei soffermarmi questa volta. "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto...". Gesù non intende dare consigli di buona creanza. Neppure intende incoraggiare il sottile calcolo di chi si mette all'ultimo posto, con la segreta speranza che il padrone gli faccia cenno di salire avanti. La parabola qui può trarre in inganno, se non si pensa di quale banchetto e di quale padrone Gesù sta parlando. Il banchetto è quello più universale del Regno e il padrone è Dio.

Nella vita, vuol dire Gesù, scegli l'ultimo posto, cerca di far contenti gli altri più che te stesso; sii modesto nel valutare i tuoi meriti, lascia che siano gli altri a riconoscerli, non tu ("nessuno è un buon giudice in una causa propria"), e già fin da questa vita Dio ti esalterà. Ti esalterà nella sua grazia, ti farà salire in alto nella graduatoria dei suoi amici e dei veri discepoli del suo Figlio, che è la sola cosa che conta davvero.

Ti esalterà anche nella stima degli altri. È un fatto sorprendente, ma vero. Non è solo Dio che "si china verso l'umile, ma tiene a bada il superbo" (cfr. Salmo 107,6); anche l'uomo fa lo stesso, indipendentemente dal fatto se è credente o meno. La modestia, quando è sincera e non affettata, conquista, rende la persona amata, la sua compagnia desiderata, la sua opinione apprezzata. La vera gloria fugge chi la insegue e insegue chi la fugge.

Viviamo in una società che ha estremo bisogno di riascoltare questo messaggio evangelico sull'umiltà. Correre ad occupare i primi posti, magari passando, senza scrupoli, sulle teste degli altri, l'arrivismo e la competitività esasperata, sono caratteristiche da tutti deprecate e da tutti, purtroppo, seguite. Il Vangelo ha un impatto sul sociale, perfino quando parla di umiltà e di modestia. 

Testo di padre Raniero Cantalamessa 
 

tratti da www.lachiesa.it