Umiltà e gratuità nel banchetto della vita

News del 27/08/2010 Torna all'elenco delle news

Nella liturgia della XXII Domenica del Tempo Ordinario il banchetto è indicato come metafora della vita, come specchio dei comportamenti umani e delle loro conseguenze.

La Bibbia parla spesso di persone riunite a mensa; ma soprattutto Gesù, che non disdegnava di mettersi a tavola con amici e nemici, se ne avvale per trasmettere i suoi insegnamenti.
Lo fa mediante le parabole (una per tutte: quella del ricco che banchetta lautamente, incurante del povero alla sua porta) o prospettando il futuro (l'abbiamo sentito domenica scorsa: tutti i popoli siederanno a mensa con Abramo Isacco e Giacobbe); lo fa lasciando i frutti del suo operato sotto forma di cibo, di cui nutrirci in quel banchetto che è la Messa; lo fa', come nel brano odierno, rilevando i comportamenti di chi invita e di chi è invitato.

Anche oggi, nelle occasioni ufficiali, i posti a tavola più vicini al personaggio principale sono riservati agli ospiti di riguardo. Invitato a pranzo da un personaggio di spicco (uno dei capi dei farisei, si precisa), Gesù nota che gli altri intervenuti cercano di darsi lustro occupando i primi posti, cioè i più vicini al padrone di casa. Davanti a quello spettacolo di arrivismo egli, si direbbe con ironia, osserva: "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato".

Dal banchetto, a tutti gli altri momenti della vita. Quanti, così spesso restii a riconoscere le capacità e i meriti degli altri, si affannano ad affermare sé stessi, la propria importanza, la propria superiorità, pretendendo di vederla riconosciuta con l'accesso a posti di prestigio, o col vedere prevalere la propria opinione. Ma, a parte le immancabili delusioni, ci si dimentica che non è il posto che fa l'uomo, e la vera grandezza non è mai disgiunta dall'umiltà.

Ancora prendendo a prestito l'esempio del banchetto, il brano odierno prosegue con un altro richiamo. "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". Ovviamente, il richiamo riguarda ogni espressione della vita: dunque, la generosità non deve avere secondi fini; non bisogna dare per calcolo, pensando ai vantaggi che se ne potranno avere. E non tanto per evitare delusioni, o per coltivare l'intimo compiacimento di sentirsi superiori, ma con sincerità di cuore, considerando che quello di cui possiamo disporre (beni materiali e non, come l'intelligenza, il tempo, la cultura) ci è dato non per nostro uso esclusivo ma come un patrimonio da amministrare per il bene comune.

Umiltà e generosità contraddistinguono un vero uomo, e a maggior ragione un cristiano: a maggior ragione, per due motivi. Primo, perché così ha fatto Gesù, il quale si è umiliato nascondendo la sua divinità sotto le misere spoglie umane, ed è stato generoso tanto da dare per noi la sua stessa vita. Secondo, perché il cristiano si fida delle sue promesse: "Chi si umilia sarà esaltato", "Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti", cioè nella vita eterna. 

Testo di mons. Roberto Brunelli (Nel banchetto la vita)
 

L'umiltà

L'umiltà, che non ha nulla a che vedere con l'umilismo, è riconoscere che solo Dio è grande, solo Dio è buono, solo Dio è misericordioso. Nessuno di noi è buono per carattere o per natura. Al contrario, siamo impastati di egoismo. E la bontà è frutto di conversione, dell'ascolto della Parola di Dio, della pratica della carità.
L'umile capisce, sa amare, sa essere fratello e sorella, sa pregare, sa essere umano, sa smuovere le montagne più alte e sa colmare gli abissi più profondi.
In un mondo in cui tutto è commercializzato, in cui il "do ut des" è la legge ferrea che regola ogni comportamento, davvero è una bella notizia, l'annuncio della gratuità, del gesto fatto per amore e con disinteresse. Di qui nasce una nuova, più ampia solidarietà. Noi, umili discepoli, cosa faremo quest'anno? Quale impegno cercheremo di portare avanti? Il compito affidatoci è quello di apparecchiare e servire il banchetto dell'amore, di voler bene a tutti e particolarmente ai più poveri. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia
 

Vivere come Dio, dare senza avere

Sarai beato! Perché la ricompensa al dono non è il contraccambio, ma la felicità dell'altro, e la vita che attorno a te risorge. Con le parole di Gesù entriamo in un territorio inusuale, al di là dei diritti e dei doveri, al di là della legge un po' gretta della reciprocità, verso una sorta di divina follia, verso semi di una nuova civiltà.

Che scopo ha invitare i più poveri dei poveri? Per noi, che siamo tutti prigionieri di una vita di scopi? «Noi amiamo per, preghiamo per, compiamo opere buone per... Ma motivare l'amore non è amare; avere una ragione per donare non è dono puro, avere una motivazione per pregare non è preghiera perfetta» (Vannucci).

Quando offri un pranzo (ed è già cosa grande essere capaci di offrire), non invitare né amici, né fratelli, né parenti, né vicini ricchi: belli questi quattro gradini del cuore in festa, quattro segmenti del cerchio caldo degli affetti, della gioiosa geografia del cuore (amici, fratelli, parenti, vicini); non invitarli, perché poi anche loro ti inviteranno e il cerchio si chiude nell'eterna illusione del pareggio tra dare e avere, e allora è la storia che si chiude e si chiudono le brecce per ulteriore vita.

Quando offri un pranzo invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ecco di nuovo quattro gradini, quelli che ti portano oltre il cerchio del sangue, oltre il piacere della reciprocità, aprono l'impensato e le brecce per una storia ulteriore. Invita questi strani commensali, e non perché tu ne hai bisogno (bisogno di amici, di gratitudine, di sentirti buono) ma perché loro ne hanno bisogno.

Sarà forse un pranzo un po' triste per te? Ma per loro sarà un pranzo felice. E tu sarai beato. Perché la gioia più grande è quella che da te defluisce e che riattingi, moltiplicata, dal volto dell'altro. E sarai beato, perché agisci come agisce Dio, perché vivere è dare. La felicità ha a che fare con il dono e non può mai essere solitaria.

E sarai beato, perché c'è più felicità nel dare che nel ricevere. Questo è il divino vangelo, vangelo da Dio e non da uomini, che mette a soqquadro la logica del tornaconto, e tutta la storia non lo può contenere, e l'uomo intero non basta.
E mi dà gioia pensare che il Signore mi invita su queste strade un po' folli, ma così libere, certo che nessun sistema sociale può contenere ed esaurire la forza giovane del Vangelo, che il Regno crescerà in ogni sistema come una falla di luce.

Il Dio dei capovolgimenti, dell'Esodo, di Giobbe, della croce, è ancora all'opera. Amare riamati basta a riempire la propria vita. Ma è solo l'amore che non cerca il contraccambio, è solo la carità (parola che sembra vecchia e fuori moda ma che il vangelo rifà vergine di nuovo) che riempie di speranza e di viventi, di vita che sia vita, il grande vuoto della terra e del cuore

Testo di padre Ermes Ronchi 


Nesso tra le letture

Il punto di riferimento dei testi liturgici sembra essere chiaramente l'umiltà. È l'atteggiamento dell'uomo di fronte alle ricchezze del mondo materiale o del mondo dello spirito (prima lettura). È e deve essere l'atteggiamento migliore dell'uomo, e particolarmente del cristiano, nelle relazioni con gli altri, nelle diverse situazioni che la vita offre (vangelo). E, soprattutto, deve essere il comportamento proprio dell'uomo di Dio, un comportamento che scopre la propria piccolezza nella magnanimità di Dio (seconda lettura).

Le giuste relazioni nascono dall'umiltà. È un luogo comune dire che l'uomo è un essere relazionale, e che codeste relazioni sono con i suoi simili, con il mondo che lo circonda e con Dio. Ciò che forse non si vede chiaramente è quali sarebbero le relazioni più autentiche e proprie. La storia dell'umanità offre esempi numerosi di diverse forme di vivere la propria relazionalità. Ci sono coloro che sono stati guidati nel loro comportamento da una relazione di odio e di distruzione. Gli altri sono nemici, e bisogna farla finita con loro. Dio è nemico e si deve " ucciderlo", come proclamava Nietzsche; la natura, la foresta si deve distruggere per costruire città, spazi umani. Una relazione interamente sbagliata! Esiste anche la relazione di possesso. Possedere le cose per costruire un regno di benessere; possedere gli altri per servirmene a favore della mia grandezza e del mio potere; possedere Dio, per "maneggiarlo" secondo la mia volontà. Nemmeno questa sembra essere del tutto una relazione giusta! Il timore, sarà una buona relazione? Paura di un Dio di imponente grandezza e terribile nei suoi giudizi; paura degli uomini e delle cose, per complesso di inferiorità o per mancanza di senso pratico. No, nemmeno il timore è una relazione adeguata! La vera relazione nasce dall'umiltà e si manifesta come relazione di amore. Poiché sono umile, cioè, poiché riconosco la mia condizione di creatura con la sua immensa piccolezza, vivo in atteggiamento di amore la mia relazione personale con Dio. Tale amore mi induce a percepire la sua grandezza e la sua generosità nei miei confronti, ad aver fiducia in Lui nonostante la mia piccolezza, a ringraziarlo per i suoi doni, prefigurata da codesta città di Sion in cui si enumerano tutti i beni che Dio può concedere all'essere umano (seconda lettura). Poiché sono umile, amo gli altri e non mi considero superiore ad essi, né cerco di dare loro qualcosa per riceverne a mia volta la ricompensa (vangelo). Poiché sono umile, non mi insuperbisco con il potere delle ricchezze che potrò avere né con la grandezza della scienza che posseggo (prima lettura). L'uomo, nel suo essere e nelle sue relazioni, è puro dono di Dio, di che cosa potrà inorgoglirsi? La giusta relazione dell'uomo con Dio, con i suoi simili e con le cose è l'amore, un amore che si fa servizio, rispetto, gratitudine, solidarietà.

L'umiltà, virtù gradita a Dio. A Dio creatore non può non esser gradito che l'uomo accetti la sua condizione di creatura e stabilisca le giuste relazioni con Lui e con tutta la creazione, poiché questo è l'umiltà. La mancanza di umiltà, al contrario, rompe l'armonia nell'interiorità dell'uomo e nello stesso universo, e codesta rottura non piace al Creatore. Per questo, leggiamo nel Siracide che "sono gli umili quelli che glorificano Dio", e nel vangelo che "chi si umilia sarà esaltato". Perché a Dio piace l'umiltà? Proprio perché l'umile non ha nessuna pretesa di soppiantare Dio, di "essere come Dio", o, almeno, di ritenersi un superuomo o un supersaggio. Molto bene ci raccomanda il Siracide: "non pretendere ciò che ti sorpassa, non cercare ciò che supera le tue forze". L'umile è gradito a Dio, perché non lo considera come un rivale, ma come un padre e un amico. L'umile è gradito a Dio, non solo perché si riconosce creatura, ma altresì peccatore, ed indegno della sua condizione di figlio. Proprio per questo, l'umile mantiene verso Dio un atteggiamento di figlio, sì, ma che mendica la sua benevolenza e il suo amoroso perdono. Tutto questo ci fa comprendere meglio ciò che la stessa Scrittura ci assicura: "Dio resiste ai superbi, ma concede il suo favore agli umili". La differenza tra il superbo e l'umile la potremmo formulare così: "Il superbo cerca di piacere a se stesso, perfino a costo di Dio, mentre l'umile cerca di piacere a Dio, perfino a costo di se stesso" .

Umiltà, ossia, la verità. Ciò che Gesù Cristo, nel vangelo, cerca di darci, non è una lezione di cortesia e di buona educazione. Gesù va più a fondo, all'essenziale, al substrato intimo della persona. E là, che cosa trova? Trova un cartello che dice: "tutto è dono, tutto è grazia". L'uomo che non sarà capace di ammetterlo, si trova nella menzogna, si autoinganna e cercherà in molti modi di ingannare anche gli altri. Per esempio, compiacendosi dei suoi successi, parlando dei suoi trionfi, esaltando le sue molte qualità, credendosi e rendendosi importante... Chi sarà capace di ammetterlo, sta nella verità, e sarà profondamente umile. Perché l'umiltà è la verità con cui noi vediamo noi stessi davanti a Dio. Da solo, davanti a Dio l'uomo è polvere, vento, nulla. Per la grazia di Dio è la sua immagine ed è suo figlio. Magari potessimo dire come san Paolo: "Per la grazia di Dio sono ciò che sono, e la grazia di Dio non è stata vana in me". Quale maniera diversa di vivere quando si vive nella verità! L'uomo umile fa sempre la verità nell'amore: la verità su se stesso, la verità sugli altri e la verità su Dio. Ti consiglio di guardarti nello specchio dell'umiltà per vedere se ti riconosci o se è tale l'impatto contrastante con la realtà che lo specchio non la sopporta e si rompe in mille pezzi. Non posso non affermare che una Chiesa di umili sarà una Chiesa più autentica, più fedele al disegno originale del suo Fondatore. Ciascuno di noi, con la sua umiltà, può contribuire in qualcosa.

Attenzione alla falsa umiltà! Abbiamo detto che l'umiltà è la verità, come insegna santa Teresa di Gesù. Esistono, tuttavia, forme apparenti di umiltà. Mancando loro la verità, tali forme non possono essere umiltà autentica. Ricordiamo alcune forme di falsa umiltà. Un chiaro caso è il complesso di inferiorità: "Io non valgo per questo incarico", "Io non posso fare questo lavoro", "Io non ho questa qualità". A volte dietro tali frasi si nasconde una ingente pigrizia. Il più delle volte si nasconde un'astuta superbia che vuole evitare ad ogni costo di svolgere un cattivo ruolo e restare male di fronte agli altri. Umile è chi riconosce le sue qualità, il suo valore, i suoi buoni risultati, ma attribuisce tutto a Dio, come alla sua fonte. Altro esempio di falsa umiltà è non accettare la lode degli altri, rifiutare qualsiasi riconoscimento pubblico, dimostrare indifferenza davanti all'opinione altrui. Nel fondo molte volte è solo una posa per riassaporare di nuovo la lode ascoltata, o perché si torni ad insistere sui buoni risultati ottenuti, o per adulare i tuoi orecchi con la buona opinione di cui godi davanti agli altri. Umile, al contrario, è chi accetta la lode, ma la eleva a Dio; accetta il riconoscimento pubblico per la buona opera o la buona opinione degli altri su di lui, ma scopre in ciò un gesto di carità fraterna ed un'azione misteriosa di Dio. Un ultimo caso è quello di chi crede che tutto gli riesca male, che è nato sotto una cattiva stella, e che non c'è nulla da fare. In un tale individuo la superbia è così grande da renderlo cieco per vedere qualsiasi cosa buona che faccia; ha occhi solo per le cose cattive, o per i limiti e le imperfezioni delle cose buone. L'umile, piuttosto, sa vedere la bontà nelle cose, perfino in quelle che gli riescono male. E dice con san Paolo: "Per quelli che amano Dio tutte le cose contribuiscono al loro bene". 

Testo di Totustuus
 

Liturgia della XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 29 agosto 2010

Liturgia della Parola della XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 29 agosto 2010

tratti da www.lachiesa.it