Il cristianesimo non è facile, ma felice
News del 20/08/2010 Torna all'elenco delle news
Il brano di Isaia (66,18-21: I lettura), quasi al termine del libro, contiene una splendida promessa del Signore: "Io verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria". E con i figli di Israele, che saranno ricondotti dalla "dispersione", insieme gli offriranno il culto. Come non pensare alla realtà della Chiesa, dove la grande varietà dei popoli e delle culture è chiamata ad adorare il Signore, formando un'unica armonia nell'unità di una sola famiglia? Questo respiro universale dal testo di Isaia passa nel salmo responsoriale: "Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte nazioni, dategli gloria". Recitandolo o cantandolo, proviamo nel cuore il desiderio che tutti, anche chi riteniamo troppo lontano e diverso per mentalità e per credo religioso, si uniscano con noi nel lodare il Signore, nel celebrare il suo "amore forte e fedele"? Tale amore motiva il disegno, che Dio ha concepito da sempre, di salvare tutti gli uomini. Nel Vangelo di oggi Gesù affronta questo tema.
"Signore, sono pochi quelli che si salvano (= sono salvati da Dio)?".
La salvezza è l'unico problema serio dell'uomo. Ogni religione si presenta come una via per raggiungerla.
In modo particolare, i cristiani professano la fede in "Dio nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati" (1Tm 2,4) e in "Gesù Cristo salvatore nostro" (Tt 3,7). La domanda, nel modo in cui viene posta a Gesù, tradisce una vana curiosità e la convinzione di fondo che soltanto i membri del popolo eletto o le persone "per bene" di Israele otterranno la salvezza. Falsa sicurezza e scarsa disponibilità all'impegno: tali atteggiamenti possono annidarsi anche nell'animo di un cristiano, che in quanto battezzato sa di essere amato con predilezione da Dio. Il vero discepolo nutre una grande fiducia in Dio che salva, ma insieme un forte senso di responsabilità.
"Colui che ti ha creato senza di te non ti salverà senza di te...Nessuno si disperi, ma nessuno sia sicuro di sé. È male disperare, ma è anche male presumere" (sant'Agostino). È quanto cogliamo nelle parole di Gesù.
Alla domanda (quale sarà il numero dei salvati, alla fine dei tempi?) non risponde direttamente. Ciò che conta non è sapere quanti si salvano, ma piuttosto qual è l'itinerario sicuro per giungere alla salvezza. A Gesù preme ricordare che cosa è necessario fare, che cosa è in gioco. Non dice se saranno pochi o molti quelli che si salvano, ma lancia un appello alla decisione, con un'immagine molto espressiva. E' un insegnamento estremamente lucido e perentorio: salvarsi è possibile a tutti, ma non è facile. Bisogna lottare con tenacia.
"Sforzatevi di entrare per la porta stretta". Propriamente il verbo "sforzarsi" nel testo greco del Vangelo ("agonizomai") significa "lottare" (cfr. agonismo, agonia...). Una lotta dura in cui sono impegnate fino allo spasimo tutte le fibre e le energie di una persona, per riportare vittoria. Luca come modello supremo di "lottatore" presenterà Gesù, che nell'Orto degli Ulivi (Lc 22,44) resiste all'attacco del diavolo, supera la tentazione di cadere nell'infedeltà a Dio e accetta la passione.
La salvezza Gesù la presenta attaverso l'immagine, frequente nei profeti, del banchetto (cfr. Is 25,6-8) che raffigura la pienezza della vita, della festa, della gioia, della comunione con Dio e tra fratelli.
C'è una porta che introduce nella sala del banchetto. E' aperta a tutti, ma è stretta, scomoda, difficile da attraversare: "Molti non ci riusciranno".
Non basta avere il desiderio di giungere alla festa. Bisogna sforzarsi, lottare per passare attraverso la porta, liberandosi dall'illusione che l'ingresso spetti di diritto Certamente noi veniamo salvati e non possiamo salvarci con le nostre forze. Ma Dio non ci salva senza la nostra collaborazione.
La porta non rimane aperta sempre. Il tempo che ci è concesso per entrare non è illimitato e noi non possiamo disporne a nostro piacimento. Nel momento della nostra morte la porta sarà chiusa definitivamente dal padrone di casa, cioè dal Signore, e non sappiamo quando avverrà. Non è da saggi, allora, gestire la vita secondo i nostri capricci e rimandare magari alla vecchiaia l'impegno per la salvezza. Chi non è entrato in tempo, a causa della sua inerzia e indifferenza, resterà fuori per sempre. Allora sarà troppo tardi. Invano gli esclusi busseranno e rivendicheranno il diritto di essere ammessi: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". Cioè, ti abbiamo conosciuto, abbiamo ascoltato i tuoi insegnamenti, abbiamo letto il Vangelo, abbiamo preso parte all'Eucaristia. Ma non basta una comunione soltanto esteriore col Signore attraverso un rito formalistico. Non basta essere battezzati, ma occorre adempiere gli impegni del proprio battesimo. Occorrono le azioni giuste. A quelli, appunto, che vengono respinti il Signore dice: "Allontanatevi da me voi tutti operatori di iniquità".
Occorre attuare la volontà del Signore in tutti gli ambiti della nostra vita. E' così che si manifesta concretamente la comunione con Lui che ci è stata donata nel battesimo. A questo punto Gesù apre uno spiraglio sulla festa conviviale del Regno, a cui prenderanno parte i patriarchi d'Israele, i profeti e uomini di ogni dove (cfr. Is 66,18: I lettura).
"Verranno da Oriente e da Occidente...Sederanno a mensa". Nel Regno di Dio, nella perfetta comunione con Dio, si realizza anche la piena comunione fra tutti gli uomini, in una pienezza di gioia e di festa. Un altro duro colpo alla falsa sicurezza degli Ebrei e anche dei Cristiani: Dio chiamerà i salvati da tutte le nazioni. L'unica condizione per ottenere la salvezza è la conversione.
Davanti a questa festa finale dell'intera famiglia umana col Signore, che Gesù fa intravedere, il cuore si riempie di speranza e di gioia. Ma nello stesso tempo Gesù ci propone un impegno forte, senza fare sconti. E' in gioco la salvezza. Chi non si sforza, chi non lotta a tempo debito e con un comportamento giusto, cioè conforme alla volontà di Dio, si esclude da sé da questa salvezza. La conseguenza: "pianto e stridore di denti." Un'espressione che indica il rimorso, la disperazione, la delusione cocente di chi riconosce, troppo tardi, d'aver perduto per colpa propria l'unico bene che lo avrebbe fatto felice.
Nel cammino verso la salvezza non ci sono privilegi o corsie preferenziali. La salvezza è un dono, a cui non si ha diritto. Un dono che si riceve con gratitudine e con un'accoglienza libera e responsabile. Ciò significa il coraggio di lottare, di impegnarsi al massimo per "entrare attraverso la porta stretta". Significa andare controcorrente, alleggerirsi di tutto ciò che ingombra.
Lo sforzo è la via verso la gioia. Il lasciarsi andare, l'adagiarsi senza sforzo è la via verso il fallimento e la disperazione.
In altri termini, la gioia è il "gigantesco segreto del cristiano, (Chesterton). Quale gioia? Quella che scaturisce da una vita autentica, non da una vita comoda, che pretende di avere tutto e subito senza fatica. Dio, proprio perché è Padre, non risparmia le prove.
Lo richiama ai suoi destinatari l'autore della lettera agli Ebrei (12, 5-13: II lettura), interpretando le persecuzioni, che subiscono, come una correzione paterna da parte di Dio: "Il Signore corregge colui che Egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio" (da Prov 3, 11-12). Dio è Creatore e grande Artista. Vedendo gli uomini tormentati da innumerevoli sofferenze, dovremmo considerarlo un Padre che non ama i suoi figli o un Artista non interessato alle sue opere d'arte? In realtà agli occhi delle fede Dio è quel Padre che non ha liberato il suo Figlio unico da una crudelissima passione, ma attraverso il dolore – vissuto nell'obbedienza piena e nella fiducia totale – lo ha portato a maturare una relazione filiale perfetta con Lui (cfr. Eb 5, 7-10).
Pretendiamo che educhi in modo diverso gli altri suoi figli? San Vincenzo de Paoli ricorre all'immagine dell'artista che intende scolpire una statua della Madonna. Davanti al blocco di marmo non si limita a guardarlo o ad accarezzarlo. Ma non gli risparmia violenti colpi di martello. Poi maneggia lo scalpello, quindi il cesello...finché l'opera non è compiuta e corrisponde all'idea che egli aveva in mente. Così fa Dio. Mi verrebbe da pensare che ha creato gli uomini come capolavori "incompiuti", non rifiniti, perché la piena riuscita dell'opera d'arte dipendesse anche dalla loro libertà, dalla loro collaborazione con l'Artista divino. Egli con lo strumento misterioso del dolore costruisce, leviga, affina il suo capolavoro. Quando la fatica nel vivere il Vangelo ("porta stretta") e il dolore di ogni tipo rendono pesanti le nostre giornate, è una grande grazia poter pensare: in questo momento Dio mi sta amando con un cuore di Padre e con la "passione" di un Artista. Ha bisogno che io lo lasci fare. Una ragazza molto malata scrisse nel suo diario: "Sono arrivata a dire sì. Spero di riuscire anche a dire grazie".
Ogni atto d'amore che farò - e amare è fatica, è sempre un po' morire a se stessi - sarà un piccolo passo avanti nel passaggio verso la grande festa con Dio, sarà già un pregustarla.
"Il cristianesimo non è facile, ma felice" (Paolo VI).
Testo di mons. Ilvo Corniglia
tratto da www.lachiesa.it