Signore, sono pochi quelli che si salvano?

News del 20/08/2010 Torna all'elenco delle news

La liturgia di questa XXI domenica del Tempo Ordinario si apre con la visione della salvezza come intesa da Dio: "Io – dice il Signore - verrò a radunare tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria" (Is 66,18).
Dio, potremmo dire, non nasconde il suo progetto di salvezza, ossia fare di tutti i popoli della terra una sola famiglia; anzi, lo mostra sin dai tempi della prima alleanza con Israele.
Isaia, infatti, sebbene parlasse solo al popolo d'Israele, prefigurava il giorno in cui tutti i popoli della terra si sarebbero raccolti sul monte santo per lodare l'unico Signore. In verità, già nella prima pagina della Scrittura appare con evidenza questo respiro universale di salvezza: in Adamo ed Eva sono raccolti tutti gli uomini e tutte le donne, di ogni terra e di ogni tempo. E Noè, salvato dal diluvio, riceve un patto di alleanza da Dio a nome dell'intera umanità.
Il Signore da sempre è amico dei popoli e sin dalle origini vuole la salvezza di ogni uomo e di ogni donna. La salvezza è un dono del cielo per tutti; e a tutti il Signore vuole darla. Ma nessuno può reclamarla per diritto, o appropriarsene per nascita o per mera appartenenza esteriore. La salvezza non è proprietà di una etnia, di un gruppo, di una comunità, di un popolo, di una nazione.
Il Vangelo di Luca, annunciato in questa domenica, fa domandare a Gesù: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". L'opinione corrente, in verità, si basava sulla convinzione che bastasse appartenere al popolo eletto per partecipare al regno futuro. Questa domanda, invece, sembra suggerire che non basta appartenere al popolo eletto per ottenere la salvezza. Gesù, è d'accordo, ma va oltre. Non risponde direttamente all'interlocutore e si rivolge a tutti dicendo: "Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno". Gesù sottolinea che la porta è stretta; che è ancora aperta, ma che il tempo si è fatto breve e sta per essere chiusa. Bisogna perciò entrare, perché il padrone di casa "si alzerà e chiuderà la porta". E se si resta fuori, magari perché si indugia troppo nelle proprie cose, non è più sufficiente mettersi a bussare ripetutamente, vantando appartenenze, consuetudini, e persino meriti. Il padrone non aprirà.
Ecco perciò la questione centrale posta da Gesù attraverso l'immagine della porta: è urgente accogliere il Vangelo. E' a dire che la salvezza non consiste nell'essere membro di un popolo e neppure nella semplice appartenenza ad una comunità.
E' necessario aderire al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita.
Anche nella Chiesa si può avere la stessa consuetudine rimproverata al fariseismo: vivere cioè con la superbia e la sicurezza di non dover correggere nulla dei propri comportamenti; vivere osservando pratiche esteriori, ma avendo il cuore indurito, lontano da Dio e dagli uomini. Mentre l'indifferenza sembra prendere il sopravvento e l'abitudine a rinchiudersi in se stessi appare rafforzarsi, è necessario che ognuno ascolti fedelmente il Vangelo e lo metta in pratica. Non di rado invece i singoli credenti, come anche le stesse comunità cristiane, si lasciano sorprendere dalla mentalità gretta ed egoista di questo mondo e si rinchiudono nei propri problemi. Lo sappiamo: la porta dell'egoismo è larga e frequentata.
Ha ragione perciò la Lettera agli Ebrei a ricordarci la correzione del cuore e dei comportamenti. E la porta è il Vangelo. E' stretta, ma non tanto da non potervi entrare. E' stretta rispetto ai numerosi e lunghi rami spuntati dal nostro egoismo. Per entrare in questa porta è necessario tagliare questi rami; i rami dell'orgoglio, dell'odio, dell'avarizia, della maldicenza, dell'indifferenza, dell'invidia, e tanti altri ancora. Questi rami si sono come sviluppati a tal punto da renderci difficile l'ingresso in quella porta.
Chi accoglie il Vangelo con il cuore ritrova la vera misura di sé e si lascia condurre.
Ed è vero, come scrive la Lettera agli Ebrei, che "sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia". E il frutto è entrare nella grande sala preparata dal Signore. Qui: "verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa del regno di Dio".
Noi già da ora, in questa santa liturgia, possiamo gustare questa festa e gioirne con uomini e donne che prima ci erano estranei ed ora sono divenuti fratelli e sorelle partecipi dell'unica famiglia di Dio. Per questo Gesù può ripetere a noi quello che già disse a coloro che lo ascoltavano: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono" (Lc 10, 23-24). 

Testo di mons. Vincenzo Paglia 

 

La porta larga e la porta stretta

C'è una domanda che ha sempre assillato i credenti: sono molti o pochi quelli che si salvano? In certe epoche, questo problema è diventato così acuto da gettare alcune persone in una angoscia terribile. Il Vangelo di questa Domenica ci informa che un giorno questo problema fu posto a Gesù: "Mentre era in cammino verso Gerusalemme, un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano?" La domanda, come si vede, verte sul numero; in quanti ci si salva: in molti o in pochi? Gesù, rispondendo, sposta il centro dell'attenzione dal quanti al come ci si salva, cioè entrando "per la porta stretta".

È lo stesso atteggiamento che notiamo a proposito del ritorno finale di Cristo. I discepoli chiedono quando avverrà il ritorno del Figlio dell'uomo e Gesù risponde indicando come prepararsi a quel ritorno, cosa fare nell'attesa (cfr. Mt 24, 3-4). Questo modo di fare di Gesù non è strano o scortese. È semplicemente l'agire di uno che vuole educare i discepoli a passare dal piano della curiosità, a quello della vera sapienza; dalle questioni oziose che appassionano la gente, ai veri problemi che servono per la vita.

Già da questo possiamo capire l'assurdità di quelli che, come i Testimoni di Geova, credono di sapere addirittura il numero preciso dei salvati: centoquarantaquattromila. Questo numero che ricorre nell'Apocalisse ha un valore puramente simbolico (il quadrato di 12, il numero delle tribù d'Israele, moltiplicato per mille) ed è spiegato immediatamente dall'espressione che segue: "una moltitudine immensa che nessuno poteva contare" (Ap 7, 4.9).

Oltre tutto, se quello è davvero il numero dei salvati, allora possiamo chiudere subito bottega, noi e loro. Sulla porta del paradiso ci deve essere appeso da tempo, come all'ingresso di certi parcheggi, un cartello con la scritta "Completo".

Se, dunque, a Gesù non interessa tanto rivelarci il numero dei salvati, quanto il modo di salvarsi, vediamo cosa egli ci dice a questo riguardo. Due cose sostanzialmente: una negativa, una positiva; prima, ciò che non serve, poi ciò che serve per salvarsi.
Non serve, o comunque non basta, il fatto di appartenere a un determinato popolo, a una determinata razza, tradizione, o istituzione, fosse pure il popolo eletto da cui proviene il Salvatore. Ciò che mette sulla strada della salvezza non è un qualche titolo di possesso ("Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza..."), ma è una decisione personale, seguita da una coerente condotta di vita. Questo è più chiaro ancora nel testo di Matteo che mette in contrasto tra di loro due vie e due porte, una stretta e una larga (cf. Mt 7, 13-14).

Perché queste due vie sono chiamate rispettivamente via "larga" e via "stretta"? È forse la via del male sempre facile e piacevole da percorrere e la via del bene sempre dura e faticosa? Qui c'è da fare attenzione per non cadere nella solita tentazione di credere che tutto va magnificamente bene quaggiù ai malvagi e tutto invece va sempre storto ai buoni.
La via degli empi è larga, sì, ma solo all'inizio; a mano a mano che ci si inoltra in essa, diventa stretta e amara. Diventa, in ogni caso, strettissima alla fine, perché finisce in un vicolo cieco. La gioia che in essa si prova ha come caratteristica di diminuire via via che la si gusta, fino a generare nausea e tristezza. Lo si vede in certi tipi di ebbrezze, come la droga o l'alcol, il sesso. Occorre una dose o uno stimolo sempre più grande per produrre un piacere della stessa intensità. Fino a che l'organismo non risponde più ed è lo sfacelo, spesso anche fisico.
La via dei giusti invece è stretta all'inizio, quando la si imbocca, ma poi diventa una via spaziosa, perché in essa si trovano speranza, gioia e pace del cuore.

Testo di P. Raniero Cantalamessa

 

Nesso tra le letture

I testi liturgici si muovono tra due poli: uno, la chiamata universale alla salvezza, l'altro, il coraggioso impegno a partire dalla libertà. Il libro di Isaia (prima lettura) termina parlando della volontà salvatrice di Jahvé a tutti i popoli e a tutte le lingue. Il vangelo, da parte sua, ci indica che la porta per entrare nel Regno è stretta, e che soltanto i coraggiosi passeranno attraverso di essa. In questo sforzo della nostra libertà ci accompagna il Signore, con la sua pedagogia paterna che non è esente da correzione, sebbene non sia quest'ultima l'unica forma di pedagogia divina.

Chiamata universale alla salvezza. Il destino universale della salvezza non è stato scoperto dal Concilio Vaticano II, ma si trova nell'intimo stesso della Parola e della Rivelazione di Dio: "Dio vuole che tutti si salvino". Nel testo della prima lettura Isaia, in una visione magnifica, vede venire a Gerusalemme, la città della salvezza, quasi in forma di processione liturgica, gli uomini di tutti i popoli, servendosi dei più svariati mezzi e portando le loro offerte a Dio. Dio ha chiamato e continua a chiamare tutti, senza eccezione, perché Dio è Signore e Padre di tutti. Può Dio Padre chiamare alcuni dei suoi figli alla salvezza e ad altri no? Sarebbe assurdo ed indegno della sua divina paternità! Dove senza dubbio c'è differenza è nei mezzi che Dio offre ai suoi figli per la salvezza. Il testo di Isaia dice che verranno a Gerusalemme su cavalli, carri, portantine, muli e dromedari. In altre parole, le vie per giungere alla salvezza di Dio, simboleggiata in Gerusalemme, sono molte e diverse. Al giorno d'oggi, la via più sicura è la fede cristiana, ma esiste anche la via delle religioni non cristiane. Esiste la via dell'etica e della coscienza. Esiste la via dell'ascesi e della mistica, ecc. D'altra parte, l'universalità della salvezza non ammette eccezioni né di popoli né di epoche, né di categorie sociali o professionali, né di caratteri (socievole, introverso, euforico...), di fisionomia (bello o brutto, proporzionato o sproporzionato...), fisiologia (forte o debole, grasso o magro...). Tutti ricevono la chiamata allo stesso modo, ma ciascun essere umano trova le sue proprie difficoltà e i suoi aiuti nel cammino verso la salvezza, che almeno in parte sono in rapporto con la razza, la fisionomia, il carattere, ecc. Per Dio non ci sono limiti: ha fatto tutto il possibile! Che faremo noi uomini di fronte a questa offerta universale?

La libertà dall'impegno. In una occasione qualcuno domandò a Gesù: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". Sappiamo che tutti sono chiamati a salvarsi, ma, si salveranno realmente tutti? Nella sua risposta, attraverso un linguaggio immaginativo e simbolico, Gesù cerca di inculcarci tre verità fondamentali: 1) La porta per entrare nel Regno di Dio, il regno della salvezza, è una porta stretta. La porta della chiamata la apre Dio e la apre a tutti, ma la porta della risposta dipende dalla libertà umana, e non tutti sono disposti ad entrarvi, soprattutto sapendo che è una porta stretta. Gesù ci dice perfino che ci saranno molti che cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Perché? Perché pretendono di entrare carichi di molte cose che impediscono loro il passaggio. Voler entrare implica il voler distaccarsi, e il farlo realmente. Senza questa volontà di distacco e senza questa libertà di sforzo, non si può oltrepassare la porta della salvezza. 2) L'ottenimento della salvezza non dipende dalla religione, e nemmeno dall'esperienza religiosa, perfino mistica, ma dalla condotta, dalle opere di salvezza. Non basta essere cristiano per assicurarsi la salvezza, perché se non facciamo le opere da cristiani, ascolteremo la voce di Dio che ci dice: "Non vi conosco, non so da dove venite". Non è l'esperienza religiosa (l'aver mangiato e bevuto alla sua presenza) quella che causa la salvezza; se non va unita a opere che nascano da tale esperienza, Dio si vedrà obbligato a rispondere: "Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me, operatori di iniquità". 3) Quelli che si salveranno, proverranno non soltanto da un luogo, ma da tutti i popoli e da tutti i confini della terra. "Verranno da oriente e da occidente, dal nord e dal sud, e si metteranno a tavola nel regno di Dio". In tutti gli angoli della terra ci sarà gente coraggiosa e generosa che vorrà entrare per la porta stretta e che adotterà tutti i mezzi per riuscirci.

Ammirare la pedagogia di Dio. La Bibbia, è, tra l'altro, il libro della pedagogia di Dio per la salvezza dell'uomo. Dio come pedagogo è simboleggiato dalla figura del padre. Cioè, la pedagogia divina è guidata dall'amore peculiare di un padre verso i suoi figli. Il testo della seconda lettura sottolinea un aspetto di questa pedagogia: la correzione. Quale padre c'è che non si sia visto in qualche occasione obbligato a correggere i suoi figli? A volte la correzione può terminare in castigo, un castigo educativo, istruttivo. Il figlio sa che, sebbene pianga e batta i piedi, la correzione o il castigo sono per il suo bene, e provengono da un padre che lo ama di cuore. Dio, per condurre l'uomo verso la porta stretta della salvezza, si vede obbligato a volte ad usare la "correzione" e il "castigo". Anche in codesta maniera ci manifesta il suo amore di Padre. L'uomo, più che lamentarsi, inquietarsi con Dio, considerarsi vittima, dovrà ammirare la meravigliosa pedagogia di Dio, che con la sua premurosa provvidenza è costantemente sospeso alla nostra vita, segue da vicino tutti i nostri passi, e, quando è necessario, ricorre alla correzione per il nostro bene.

Ma è evidente che un padre non può ridursi a un semplice correttore. Sarebbe una caricatura della pedagogia paterna! Il padre, soprattutto, guida, incoraggia, entusiasma i suoi figli per le vie della verità e del bene. Così è anche la pedagogia divina, che mette alla nostra portata numerosi mezzi per risvegliare in noi il desiderio profondo della salvezza e per guidarci per la via sicura verso di essa. E lo fa in un modo assolutamente personale, perché Dio non è un educatore di massa, ma di figli.

La salvezza: iniziativa di Dio e compito dell'uomo. All'uomo è impossibile salvarsi da solo: è Dio che salva. Ma Dio non impone la salvezza, la offre. Dio non risparmia all'uomo il compito di accettarla, e così, di essere salvato. Non è l'uomo che prende l'iniziativa della salvezza, ma Dio. Però non è Dio che ha il compito della salvezza, ma l'uomo. Iniziativa e compito! Bellissima coniugazione di sinergia tra un Padre che ama alla follia i suoi figli, e dei figli che si preoccupano di comportarsi come tali! Se Dio rinunciasse, per assurdo, all'iniziativa della salvezza, rinuncerebbe al suo amore di Padre e al suo progetto eterno sul destino dell'uomo. Se l'uomo rinunciasse al suo compiuto di salvezza, da una parte, rinuncerebbe alla sua condizione di uomo caduto, e, dall'altra, al suo fine e destino eterni. L'iniziativa di Dio infonde all'uomo sicurezza e certezza della salvezza. Il compito della salvezza gli fa mettere in gioco la sua libertà, e dare tutto se stesso ad usarla in sinergia con l'iniziativa divina. Tutto ciò è stupendo, ma ci accade sovente di vivere la vita senza pensare molto a queste cose, travolti forse dagli stessi avvenimenti quotidiani. La domenica è un buon giorno per pensare a tutto ciò, per fare una sosta nel cammino della quotidianità e pensare a qualcosa che vale la vita, e l'eternità. Se la "salvezza" fosse più presente nei nostri piccoli doveri di ogni giorno, non cambierebbe forse qualcosa nel nostro modo di vivere e di agire? Non è tempo di lamenti! È tempo di azione e di speranza! 

Testo di Totustuus
 

Liturgia della XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 22 agosto 2010

Liturgia della parola della XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 22 agosto 2010

tratti da www.lachiesa.it