Guardare in direzione del Cielo
News del 07/08/2010 Torna all'elenco delle news
Dopo aver nel Vangelo di domenica scorsa istruito i discepoli sul corretto uso delle cose, in questo brano li esorta sul corretto uso del tempo. Siamo davanti a una serie di immagini e parabole con cui Gesù esorta alla vigilanza nell’attesa del suo ritorno (padre Raniero Cantalamessa).
Gesù si rivolge ai discepoli come al ‘piccolo gregge’, un’immagine classica nell’Antico Testamento per indicare il popolo che Dio scelse, protesse e guidò sulle vie della salvezza, applicate da Cristo a coloro che saranno la scaturigine del nuovo popolo di Dio.
“Non temere piccolo gregge” una esortazione carica di affetto e di incoraggiamento rivolto da Gesù ai suoi discepoli. Gesù li esorta a non perdersi d’animo perché il Padre nella pienezza della sua benevolenza, con gratuità ha voluto riservare a loro un dono immenso, il dono del Regno. Questo ‘Regno’, in fin dei conti, non è altro che la potenza di Dio che salva, liberando l’uomo dal male. Origene: “Cristo è il Regno di Dio in mezzo a noi”. Giovanni Paolo II: “il cristianesimo è anzitutto ‘buona notizia’ che ha il suo centro, anzi il suo stesso contenuto, nella persona di Cristo, il Verbo fatto carne, unico Salvatore del mondo.
“Non temere...” anche a Pietro che non aveva preso nulla quella notte e che si riconosceva peccatore di fron188 te alla pesca miracolosa, Gesù disse “non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10).
“Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile dei cieli...”. La comunità dei discepoli viene esortata ad accrescere il proprio tesoro in cielo condividendo i propri beni. In tal modo il discepolo di Cristo che attua il ‘Regno di Dio’ in sé e negli altri, fa già circolare nelle strutture terrene la salvezza che nasce dall’amore (Settimio Cipriani).
Siamo nel tempo escatologico, si aspetta la venuta del Signore attendendo al servizio del prossimo. La condivisione con gli altri è l’indice più vero ed efficace che i beni della terra non stanno occupando lo spirito; non siamo né ricchi né potenti, ma abbiamo la dignità di uomini, e condividendo i beni si rispetta negli altri questa dignità; e il distacco dai beni materiali rende interiormente liberi per sentirsi pronti ad andare incontro al Signore che viene, per riporre in Dio tutta la propria sicurezza (la sicurezza di Dio è la sola novità che Filippo Nesi diffonde con una disinvoltura lieta), e accogliendo il suo Regno di amore e di salvezza.
Il dieci agosto è festa di san Lorenzo, il diacono pienamente dedito al servizio della carità nella Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione. Il giorno undici agosto è santa Chiara. A diciotto anni fuggì di notte, lei bellissima, alla ricerca dell’amore Gesù. Durante la funzione della festa delle Palme era assorta nel pensare la passione e morte di Gesù, sì che non avvertì di andare a ritirare la palma; il vescovo accortosi andò di persona a dargliela. Ecco la santità di san Lorenzo e di santa Chiara filtrata dalla croce.
Il messaggio di oggi è in realtà un messaggio improntato a grande realismo. In apparenza Gesù sembra indul189 gere a un tono moralistico o a fare delle esortazioni per gente un po’ lenta a recepire le novità del Vangelo. E invece, ancora una volta, viene tratteggiata la figura del discepolo come persona libera, vigilante e responsabile; capace di vivere in pienezza il suo presente, aperto al futuro (Enrico Masseroni).
Gesù viveva in un mondo dove i servi erano tantissimi e i padroni pochissimi, dove c’era ancora la schiavitù, quindi la figura del servo faceva parte del suo mondo. Egli non ha esitato a farsi servo dei servi (Gv 13,3); “io sono in mezzo a voi come uno che serve” (Lc 22,27). Servizio e amore devono andare sempre insieme: senza il servizio l’amore è vuoto, e senza l’amore il servizio non è perfetto (Albert Vanhoye).
Noi siamo servi del Signore, ed esserlo è anche l’unica condizione necessaria per essere liberi, anziché servi di tutto il resto (servire Deo regnare est) (Carlo Bazzi).
Su questo stile di attesa si sviluppano le tre parabole tutte dominate dalla certezza e dalla sorpresa della venuta del Signore.
Quella del padrone che torna dalle nozze a notte fonda e trova i servi pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese, per poter aprire subito. Ai servi vigilanti si offre, pieno di amore, a imbandire per loro la cena. La parabola ha una delle immagini più belle di tutta la Bibbia: beati quei servi che al ritorno il padrone troverà vigilanti. Egli si cingerà le vesti, li farà sedere a mensa e passerà a servirli: è la promessa della beatitudine riservata a coloro che fanno parte del Regno di Dio. La morte va intesa come la venuta del Signore, l’ingresso nella sua compiacenza che si mette a servire; chi appartiene a Gesù si può attendere tutto da Lui.
Poi c’è la parabola del ladro che a sorpresa irrompe nella casa, il Signore è paragonato a un ladro che irrompe all’improvviso. Immagine singolare, mai usata prima nel giudaismo, ma che ha avuto fortuna presso i cristiani. È stata ripresa da Paolo: “voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore” (1 Ts 5,2). L’hanno usata anche Pietro (2 Pt 3,10) e anche (Ap 3,3; 16,15).
La terza è quella dell’amministratore fedele e saggio che è pronto ad offrire al padrone il resoconto di tutto in qualsiasi ora in cui il padrone lo chiami a rapporto.
C’è l’appello rinnovato e ripetuto di Gesù “state pronti” perché la vita cristiana è tensione, movimento, attesa, vigilanza. Il nostro orientamento è quello dell’amore per il Signore, con questo orientamento ci si troverà pronti e potremo accoglierlo con gioia.
“Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (sant’Agostino) e continua “è per Te solo che io vivo parlo e canto”.
Dio ha depositato nel cuore umano il desiderio di Lui, dice san Gregorio, per cui definisce Dio: Tu che il mio cuore ama.
Nelle letture di questa domenica c’è l’intreccio tra fede speranza e carità. La carità ci tiene svegli nel cammino e orienta alla speranza verso l’avvenire e l’invisibile; assieme all’amore e alla speranza si intreccia la fede cantata mirabilmente nella lettera agli Ebrei.
In questa lettera la fede è detta: “fondamento delle cose che si sperano e come prova di quelle che non si vedono”, più esattamente, come “mezzo per possedere già in anticipo le cose che si sperano, e come mezzo per conoscere le cose che non si vedono (Albert Vanhoye).
La fede è realmente la base di tutta la nostra vita cristiana. Senza di essa non c’è speranza. Senza di essa non c’è carità, non c’è adesione alla volontà di Dio nell’amore. Già nell’Antico testamento Dio aveva educato il suo popolo ad avere fede, a partire da Abramo. Questi ha avuto una fede perfetta che lo spingeva alla totale docilità a Dio.
Dopo quarant’anni dalla morte di Gesù ai cristiani in difficoltà è rivolta la lettera agli Ebrei.
Testo di p. Luciano Colombo, IMC