Dov’è il vostro tesoro, là sarà il vostro cuore
News del 07/08/2010 Torna all'elenco delle news
Così si apre il brano evangelico di questa XIX Domenica del Tempo Ordinario, da Luca (capitolo 12, 32): "non temere piccolo gregge; perché piacque al Padre vostro di dare a voi il regno".
Riprende il cuore della predicazione di Gesù che è appunto la venuta del regno; e ai suoi discepoli viene affidata la grave missione di continuare ad annunciarlo ed a realizzarlo già da ora, nonostante l’essere un piccolo gregge. La centralità di questa predicazione, che di conseguenza, deve essere tale anche nella preoccupazione dei credenti, è affermata icasticamente nel versetto precedente a quello indicato: "cercate innanzitutto il suo (del Padre) regno, e queste cose (i beni della vita) vi saranno date in più".
Questo riferimento al regno di Dio, cui il discepolo deve dedicare tutto il suo interesse, si colloca in netta antitesi con la comune cultura degli uomini, tesi a cercare solo le cose della terra. Il regno di Dio è l’instaurazione della pace piena per tutto l’uomo e per tutti gli uomini. E’ qui la ragione stessa delle parole che seguono: fare elemosine per procurarsi borse che non si consumano e tesori da porre nel cielo dove non ci sono né ladri che rubano né tignola che corrode.
Gesù vuol dire che a differenza dei beni terreni che si possono perdere, i tesori celesti non corrono alcun pericolo (si riprende una tradizione biblica che era solita considerare le opere buone come tesori conservati nei cieli; un antico detto ebraico recita così: "i miei padri hanno accumulato tesori per sotto, e io ho accumulato tesori per sopra... I miei padri hanno accumulato tesori che non fruttano alcun interesse, ed io ho accumulato tesori che fruttano interessi").
Emerge da queste frasi evangeliche un uomo diverso dal ricco sorpreso dalla morte mentre pensa ai suoi guadagni o è preso dai suoi affanni: è il discepolo che attende il Signore e il suo regno. Il Vangelo chiarisce questa idea con la parabola dell’amministratore posto a capo di una casa dopo la partenza del padrone. L’amministratore pensando che quest’ultimo tarderà a tornare, si mette a picchiare i servi e le serve, a bere e a ubriacarsi. Si tratta di una scena che a prima vista ci sembra esagerata, in verità descrive una situazione piuttosto frequente. In fondo le tante ingiustizie e le migliaia di piccole cattiverie quotidiane che rendono la vita difficile a tutti, nascono da questo atteggiamento piuttosto diffuso. Dall’idea, cioè, di comportarci come piccoli padroncini piuttosto cattivi verso gli altri, con il pensiero abbastanza miope, che tanto a noi non toccherà mai subire nulla.
In realtà il maltrattamento di un’altra persona, oltre ad essere un fatto odioso in sé, contiene sempre una certa dose di stupidità. E’ sempre un fatto violento che, bene o male, si ritorce anche contro chi ha compiuto, da posizione di forza, la piccola violenza. Credo che anche qui avvenga la stessa cosa che capita con il problema dell’inquinamento. Colui che inquina in modo ignorante l’ambiente, anche se pensa che non lo riguardi, finisce per inquinare anche se stesso con l’aria che respira o con il cibo con cui si nutre. La stessa cosa accade per chi rende più difficile la vita per gli altri. Agendo così inquina la vita, e la violenza che ha esercitato si ritorce anche contro se stesso.
E’ per questo che il brano del Vangelo propone di stare ben svegli: "Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne accese" e poi "beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli". L’uomo che vuol dormire spegne la lucerna; chi vuol essere sveglio quando il padrone torna rimane con la lampada accesa.
La vigilanza è una virtù che sembra un po’ in disuso ai giorni nostri. Al contrario è essenziale alla nostra vita. Spesso ci addormentiamo sulle nostre cose, ci lasciamo appesantire dagli affanni e dalle angustie. "Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore", dice Gesù. Ed è qui il problema per parte nostra.
Il tesoro del cristiano è il Signore, e la sua vita è nella sua attesa. La ricompensa di cui parla Gesù, e che sarà data a coloro che egli troverà vigilanti, è una ricompensa incredibile e sconvolge le consuetudini normali: il padrone stesso diviene servo dei servi, si cinge le vesti, li invita a distendersi sui cuscini della sala da pranzo e passa a servirli. E’ il senso di una vita piena che riescono a vivere coloro che sono vigilanti non per sé ma nell’accogliere il Signore. Molti santi, pensando alla vigilanza, hanno detto: "devo vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo". Se tutti vivessimo ogni giorno come se fosse l’ultimo, credo che la nostra vita sarebbe diversa, molto più umana e più bella. Più piena, più ricca, più vera, meno annoiata, meno disperata. Insomma, più vita.
Testo di mons. Vincenzo Paglia
Nesso tra le letture
"In fiduciosa e vigilante speranza", così riassumo il contenuto principale del messaggio liturgico di oggi. Questo è l'atteggiamento di Abramo e di Sara, e di tutti coloro che sono morti nella speranza della promessa fatta da Dio (seconda lettura). Questo è l'atteggiamento dei discendenti dei patriarchi, che aspettavano con fiducia, in mezzo a duri lavori, la notte della liberazione (prima lettura). Questo è l'atteggiamento del cristiano in questo mondo, dedito alle sue occupazioni quotidiane, aspettando con cuore vigile la venuta del suo Signore (vangelo).
L'attesa storica. Dio è un Dio fedele e le sue promesse si compiono, ma, in quanto promesse, non si vedono nell'immediato presente, ma si aspettano per il futuro. Possiamo, dunque, dire che la storia della salvezza è la storia delle speranze e dell'attesa degli ebrei e dei cristiani. Prototipo della speranza è Abramo, come mette in rilevo le lettera agli Ebrei (seconda lettura). Prima, vive nella speranza e nella attesa di un figlio, e Dio lo soddisfa dandogli Isacco, nonostante l'età avanzata e la sterilità di Sara, sua moglie. Poi, nell'attesa e nella speranza di una terra e di una discendenza numerosa. Dio manterrà la promessa, ma non durante l'esistenza terrena di Abramo. In questo modo, in Abramo si inaugura la catena delle speranze e della attesa dei patriarchi e del popolo di Israele. Dopo vari secoli, nel XIII a.C., Dio compirà la promessa della terra con Giosuè. Molti secoli dopo, con Gesù Cristo, Dio compirà la promessa della discendenza, dato che soltanto in Gesù "saranno benedetti tutti i popoli della terra". Nel libro della Sapienza (prima lettura) si menziona un'altra promessa di Dio: la liberazione dalla schiavitù: "Quella notte fu preannunciata ai nostri padri" (cf Gen 15, 13-14; 46, 3-4). Anche questa promessa Dio la compì in modo glorioso e potente, in quella famosa notte in cui gli egiziani restarono nelle tenebre, mentre gli israeliti erano preceduti da una colonna di fuoco che illuminava il loro cammino, quella notte che per gli egizi fu tragica per la morte di tutti i primogeniti, mentre per gli israeliti fu notte di liberazione e di gioia. Dio non soltanto compie la sua promessa, ma vince il male, e con amore attrae e chiama verso di sé gli eletti. Non è soltanto un Dio fedele, ma altresì un Padre che ama.
L'attesa metastorica. Nella lettera agli Ebrei, si presentano i patriarchi e le grandi figure del popolo di Israele, mentre stanno cercando una patria. L'autore della lettera interpreta tale ricerca non in senso storico, ma metastorico: "Aspirano a un patria migliore, cioè, alla patria celeste". Lo stesso Dio che fu fedele compiendo le sue promesse nella storia, sarà fedele nell'al di là della storia. Di questa attesa e speranza metastoriche ci parla soprattutto il vangelo, mediante l'immagine del padrone che i servi debbono aspettare finché giunga per aprirgli la porta non appena busserà. Fin dalla nascita, ogni uomo, in qualche modo, è in attesa del suo Signore. Noi cristiani dobbiamo sperare senza paura, ma con gioia, "perché il Padre si è compiaciuto nel darci il Regno", e Dio, nostro Padre, non smetterà di compiere le sue promesse. Dobbiamo aspettare in atteggiamento di disponibilità per qualsiasi momento: "con la cintura ai fianchi e le lampade accese". Allo stesso modo, l'attesa deve esser vigile, perché il Signore giungerà "come un ladro", quando meno lo si pensa. La migliore maniera di aspettare è sicuramente facendo il bene a tutti ed avendo una condotta degna. L'abusare del proprio potere, colpendo i servi e le serve, mangiando e bevendo fino ad ubriacarsi, è un modo inappropriato di aspettare il Signore, e per questo ci dice il vangelo: "Lo punirà con rigore, assegnandogli il posto tra gli infedeli". L'aldilà, e il giudizio di Dio che implica questa realtà, ci può risultare misterioso, inaccessibile alla nostra intelligenza, ma non è qualcosa di marginale alla fede cristiana, bensì qualcosa di costitutivo del suo credo: "Aspetto la resurrezione dei morti e la gloria del mondo che verrà". Viviamo di speranza, ma tutta la storia della salvezza ci ha mostrato, secolo dopo secolo, che la speranza posta in Dio non delude.
Guardare il presente con occhi lontani. Il cristiano non è un utopista, un sognatore distaccato dal presente con la sua realtà contante e sonante. Il cristianesimo vive il realismo del presente, con i piccoli doveri di ogni giorno, con le lotte per la vita e la sopravvivenza di tanti uomini, con la cronaca nera dei quotidiani o della televisione, con le piccole sorprese che di quando in quando bussano alla porta. In realtà la vita si vive nel presente o non si vive, il presente è l'unico a nostra disposizione perché il passato è già sfumato e il futuro manca ancora di consistenza propria. Il presente è la terra che calpesto, la famiglia in cui vivo, la fidanzata che amo, la madre malata, il figlio irrequieto, l'ufficio in cui lavoro, la parrocchia per la quale passo ogni giorno, l'analisi del sangue o la macchina nuova che ho appena comprato. Il nostro sguardo deve essere posto nel presente, non evadere da esso, assumerlo con tutta la sua realtà, sia essa triste o gradevole. Non dobbiamo avere paura del presente, dobbiamo guardarlo in faccia, con coraggio. Ma il presente non esiste racchiuso nel proprio guscio, per sua stessa natura è aperto al futuro che, passo dopo passo, inesorabilmente, si trasforma in presente. Tale futuro non può dimenticarsi nel vivere quotidiano del momento. Ne consegue che dobbiamo guardare al futuro con occhio lontano. Il futuro è l'orizzonte del presente, è la speranza. Il presente ermetico finisce col suo proprio istante. Il presente aperto vede già la spiga dorata nel seme appena gettato a terra. Il presente ermetico pretende di rendere eterno il pizzico della felicità effimera, che marcisce nelle sue mani, e, non riuscendoci, crolla in catastrofe. Il presente aperto e cristiano getta il proprio sguardo sempre più in avanti, fino a farlo entrare nella dimora stessa di Dio. Che i tuoi occhi illuminino la realtà presente con il fulgore che hanno colto guardando al futuro.
La vigilanza non è un optional. Il futuro di ogni uomo, con tutto il suo spessore, è imprevedibile. Il meteorologo può prevedere il tempo per domani, sebbene con il rischio di sbagliare. L'economista può prevedere l'inflazione nel paese durante il mese di maggio, o nell'anno 2000, con maggiore o minore approssimazione. Ma la storia dell'uomo è impossibile da prevedere, perché è una storia di libertà. Libertà dell'uomo, e soprattutto libertà di Dio. Chi può sapere ciò che saranno gli uomini il giorno di domani? Chi può prevedere i disegni di Dio per il futuro immediato o remoto? L'imprevedibilità del futuro reclama vigilanza. L'uomo prudente, sensato, non considera l'atteggiamento vigilante qualcosa di empiricamente possibile, una tra le molte opzioni. La vigilanza è la migliore opzione. Vigilare perché il futuro non ci colga alla sprovvista. Vigilare per essere capaci di dominare gli avvenimenti, invece di esserne dominati. Vigilare per non perdere mai la pace, nemmeno davanti allo scatenamento più tremendo di prove e di esperienze avverse. In realtà, chi vigila ha guardato negli occhi il futuro, ed è preparato ad affrontarlo con garbo e decisione. Vigilare per scoprire la scrittura di Dio nelle pagine della storia. Vigilare per saper scoprire l'azione dello Spirito nel tuo intimo, nell'intimo degli uomini. Vigilare per terminare con happy end l'ultima pagina del libro della tua vita. Vigilare per mantenere integra la fede, la speranza e la carità, "quando Egli verrà". La vigilanza non è un optional, è una necessità vitale.
Testo di Totustuus
Liturgia della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 8 agosto 2010
Liturgia della Parola della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
tratti da www.lachiesa.it