La vita dell'uomo non dipende da ciò che egli possiede

News del 31/07/2010 Torna all'elenco delle news

Il brano del Vangelo della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Lc.12,13-21) mette in evidenza ancora una volta la preoccupazione di Luca di "inculturare" il Vangelo, di mostrare come l'ascolto della Parola di Dio, l'accoglienza del dono di grazia di Gesù, avviene all'interno dell'esperienza storica dell'uomo producendo la sua trasformazione interiore.

Luca si rivolge a persone che provengono dal paganesimo: ad esse annuncia il Vangelo e in esse il Vangelo manifesta la sua potenza trasformante. Tra tutti gli evangelisti, Luca è quello che con maggior forza annuncia la radicalità che l'ascolto della Parola richiede ed è pure quello che con maggior precisione mostra come la Parola si incarna in comportamenti concreti nuovi: la Parola si incarna, mostrando al tempo stesso che nessuna incarnazione può esaurirne le potenzialità infinite, per cui può incarnarsi in modalità diverse, senza che nessuna la esaurisca.

Luca ci mostra come l'ascolto della Parola di Dio non può non avere implicazioni etiche: non si può concepire il discepolo di Gesù senza una trasformazione della vita. Eppure Luca stesso è preoccupato di richiamarci che l'esperienza della fede trascende ogni comportamento etico, insegnandoci che l'esperienza del discepolo di Gesù, quando è autentica, rimane libera da ogni integralismo.
Nel programma etico di Luca la componente socio-economica ha un posto preponderante: il corretto uso dei beni è visibilmente per Luca un problema centrale, e non è difficile percepire in questa sua insistenza, la preoccupazione di rivolgersi a una comunità cristiana ricca, o piuttosto di interpellare i ricchi presenti tra i lettori cristiani a cui si rivolge la sua opera.

In questo contesto comprendiamo l'importanza del brano che oggi leggiamo per i discepoli in cammino con Gesù, per noi che oggi ci troviamo in un contesto di ricchezza e in un contesto di economia in radicale trasformazione: che cosa significa "ascoltare la Parola di Dio" per noi, oggi? Che cosa ci insegna Luca nel contesto della radicale novità culturale in cui la Parola di Dio ci raggiunge, oggi, e la grazia del Vangelo vuol fare di noi uomini nuovi?

"Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità": Gesù, a uno della folla che gli si rivolge così, risponde: "Uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?"
Sarebbe semplicistico interpretare questa risposta di Gesù come se esprimesse la sua volontà di disinteressarsi di una questione che tocca i rapporti di giustizia tra due fratelli, come se questa sfera di problemi umani non lo toccasse.
In realtà, molte volte nel Vangelo Gesù, risponde con una domanda a chi lo interroga, in modo da farlo sentire interpellato in modo così coinvolgente da raggiungere personalmente la risposta alla sua domanda.
La domanda: "Uomo chi mi ha costituito giudice o mediatore…?" interpella la persona e la impegna a fermarsi e a verificare il motivo per cui si è rivolta a Gesù, a verificare interiormente qual' è il tipo di relazione che la lega a Gesù e in ultima analisi la impegna a porsi la domanda su chi è Gesù.
Chi entra in relazione con Gesù, si sente da lui provocato per trovare la propria identità, la propria verità nella quale ogni scelta particolare trova la propria autenticità. "Uomo, chi mi ha costituito giudice…?" Chi trova la propria verità nella relazione con Gesù, sa che "chi ha costituito Gesù" è il Padre, chi ha fatto in modo che Gesù sia "giudice e mediatore" è la verità della sua relazione filiale con il Padre: Gesù è dal Padre costituito giudice e mediatore sopra gli uomini, ma nel senso che egli rivela il senso profondo della esistenza umana, la verità profonda che ogni uomo sente nella propria coscienza.
Gesù non è giudice sul piano delle leggi umane che cercano di regolare l'immediato della convivenza umana. Gesù è giudice e mediatore perché comunicando agli uomini l'amore del Padre, li rende liberi di giudicare da sé, in modo autentico e secondo le prospettive del Regno di Dio.

"Dividere" l'eredità non può ridursi semplicemente al comporre una lite tra fratelli, che normalmente per queste questioni diventano nemici: quando si fa l'esperienza dell'amore di Cristo, cambia il cuore e la mente, e il "dividere" diventa il modo nuovo di usare i beni, non più per egoismo, ma per rendere vera la fraternità e la comunione.
Quando fa l'esperienza di chi è Colui che costituisce Gesù giudice e mediatore, l'uomo libero sa giudicare da sé, sa gustare anche la ricchezza come un bene da condividere e sa "fare attenzione e tenersi lontano da ogni cupidigia" perché sa che "se anche uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede".
La vita dipende dalla verità dell'esperienza fondamentale che ogni uomo è chiamato a fare: chi entra in relazione con Gesù, vive l'esperienza dell'essere amato dal Padre, entra nella libertà più vera, impara a gustare la vita in ogni attimo, in ogni anche più piccola espressione.

Anche la parabola sul ricco che progetta di avere sempre di più per poter realizzare una vita che realizzi questo sogno: "Anima mia, hai molti beni a disposizione per molti anni: riposati, mangia, bevi, goditela", conduce a prendere coscienza di quanto sia fallace il progetto di chi "accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio".
E' evidente che Gesù non demonizza i beni e le ricchezze, quanto piuttosto il far dipendere dal possesso dei beni il senso della vita. Con la contrapposizione "accumulare tesori per sé" e "arricchirsi presso Dio", Gesù intende educare i suoi discepoli ad una scelta radicale: "tesaurizzare per se stessi" significa finalizzare tutto a sé, dilatare il proprio io, convincersi che con le proprie forze si può conquistare tutto ciò che dà l'ebbrezza dell'onnipotenza, con l'illusione folle di aver cancellato con i propri mezzi il limite umano; "arricchirsi presso Dio" significa fare con Gesù l'esperienza del figlio che riceve tutto da Padre, lasciarsi cambiare il cuore perché diventi capace di lasciarsi amare e di amare, guardare agli altri come fratelli, non idolatrare il proprio io ma condividere, mettere tutte le proprie energie per costruire un mondo fraterno, di libertà e di amore, gustare la bellezza della vita in modo autentico, senza illusioni idolatriche.

Luca parla a noi, oggi: nel nostro mondo ricco e a rischio di illusioni drammatiche, sappiamo lasciarci afferrare da Gesù, condividere la sua esperienza filiale, imparare ad amare come lui ama e sappiamo, con l'intelligenza e la scienza di oggi, elaborare progetti di vita civile e progetti economici per dare forma, oggi, alla civiltà dell'amore? 

Testo di mons. Gianfranco Poma 

 

Nesso tra le letture

I testi liturgici di questa domenica ci propongono due modi di vivere e di stare al mondo. C'è il modo di vivere dell'uomo vecchio, e c'è il modo di vivere dell'uomo nuovo (seconda lettura), esiste l'uomo che cerca le cose della terra, e quello che cerca le cose del cielo (seconda lettura), quello per cui tutte le cose sono vanità, e quello per cui tutto è provvidenza di Dio (prima lettura). Il vangelo, da parte sua, oppone la vita di chi calcola tutto nell'avere, ed accumula delle ricchezze per sé, e la vita di chi fonda la sua esistenza sull'essere, ed accumula ricchezze davanti a Dio.

Vivere per sé. È un modo di stare al mondo, di realizzare l'esistenza nell'arco degli anni tra la nascita e la morte. È un modo di pensare, di agire, di mettersi in relazione con gli uomini e con le cose. Il punto di riferimento di tutto è l'io. Il sapere, il lavoro, lo sforzo con i loro buoni risultati appaiono, davanti all'io, caduchi e vani. Se l'uomo è un essere sul punto di morire, a che cosa gli serve il suo sapere, il suo lavoro, se non può vincere il suo destino mortale, la sua immersione nel nulla? Tutto è vanità, fumo che il vento porta via. Quando l'io è il centro della vita, abbiamo l'uomo vecchio, incapace di uscire da solo dalla tenebra del suo ermetismo, sempre più sommerso nel fondo del vizio e del peccato, con lo sguardo sempre più posto nelle cose della terra senza la possibilità di alzarlo verso il cielo. Uomo vecchio, perché in certo modo ripete nella sua vita la storia antichissima del primo Adamo, del gusto del peccato e della caduta originale. D'altra parte, l'io, è estremamente povero lasciato nelle sue proprie mani, perché privilegia l'avere e l'apparire. C'è qualcosa di più effimero e labile di queste due realtà? Come si può fondare un'esistenza su qualcosa che oggi è, e domani scompare? Come si può guardare in faccia la morte, quando i grandi valori che hanno retto la vita sono stati i beni materiali e le apparenze, ai quali è proibito varcare la soglia dell'aldilà? A ragione si possono applicare a chi vive per sé le parole di Gesù nella parabola del testo evangelico: "Stolto! Questa stessa notte ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai accumulato, di chi sarà?". Così è chi accumula ricchezze per sé, chi incentra in sé il suo proprio vivere ed agire tra gli uomini.

Vivere davanti a Dio. Dio non è, a dire la verità, l'antagonista dell'io, della realizzazione personale. In nessun modo! Ma la sapienza eterna ci insegna che la propria realizzazione si compie per mezzo del cammino del vivere per Dio, del vivere agli occhi di Dio. Il lavoro e il sapere, agli occhi di Dio, hanno un senso e un destino provvidenziali, al di là dei limiti della sfera mondana. Tutto ciò che si fa per Dio in questo mondo, lo trascende, ed abita, purificato ed elevato, nell'eterna dimora di Dio. Vive davanti a Dio e per Dio l'uomo nuovo, che è stato ricreato da Cristo mediante il battesimo a sua immagine e somiglianza, che è stato circonciso non nella carne ma nel cuore, e, vivendo davanti a Dio, vive senza paura della morte, che considera, più che una fine assurda e senza senso, una porta verso un'esistenza nuova della quale già si partecipa, sebbene in modo molto povero ed elementare. Per questo, l'uomo nuovo ha i piedi ben posti sulla terra e nelle occupazioni di questo mondo, ma il suo sguardo e il suo cuore sono volti in alto, nel cielo, verso il quale cammina con fiducia e speranza. Chi vive per Dio non si estrania dal mondo, non lo disprezza né lo odia, perché è la casa che il Padre gli ha dato affinché vi abiti. Lavora come tutti gli altri, spende le sue forze per produrre ricchezza, ma ha un cuore puro e distaccato, e sa molto bene che i beni di questo mondo hanno un destino universale, e non possono essere ingiustamente accaparrati in poche mani. Invece di dire a se stesso: "Riposa, mangia, bevi, banchetta", pensa piuttosto a come aiutare affinché gli uomini tutti, soprattutto quelli che sono più vicini alla sua vita, abbiano il proprio opportuno riposo, dispongano di alimenti e possano sanamente godere del necessario per un banchetto di festa.

L'homo oeconomicus non ha futuro. Siamo soliti classificare spesso l'uomo secondo qualche aspetto che lo caratterizza. Così, per esempio, si parla di "homo faber" per sottolineare la sua capacità manuale, o "homo cogitans" per mettere in risalto la sua vocazione di pensatore. Con l'espressione "homo oeconomicus" si mette in rilievo il tipo di uomo incentrato sul denaro e sul benessere. Ebbene, dobbiamo affermare che questo uomo manca di futuro. C'è gente che dice: "Con il denaro puoi fare tutto ciò che vuoi; apre tutte le porte". Non è vero. Con il denaro non puoi comprare la felicità, sebbene a volte possa fare felici. Con il denaro non puoi comprare l'amore, al massimo una notte di passione o un'avventura effimera e frustrante. Il denaro non ti rende virtuoso, piuttosto, apre con non poca frequenza la porta all'antro del vizio. Che lo riconosciamo o no, tutti cerchiamo un futuro più felice, ma tale futuro non lo troverai in un conto bancario in costante crescita. Lo troverai dentro di te, nel sacrario della tua coscienza, nella pace interiore di fronte a te stesso e di fronte a Dio. Soprattutto, non ha futuro, perché l'"homo oeconomicus" non è cittadino del cielo, gli manca il passaporto, e, davanti alla morte e al giudizio di Dio, il conto in banca non conta per nulla. Perché non cambiare l'homo oeconomicus in homo pneumaticus, in uomo illuminato, guidato e configurato dall'azione dello Spirito Santo? Non è facile, ma è possibile, auspicabile. Sono molti coloro che lo hanno fatto. Tentalo, se non lo hai fatto ancora. Invita altri a provarci.

Ha senso cambiare senso? I due modi di vivere di cui abbiamo parlato sono come un'autostrada, con le due vie separate, senza possibilità di manovra per cambiare direzione quando uno voglia. Alcune carreggiate vanno soltanto in una direzione ed altre nella direzione contraria. Ciò dà molta maggior sicurezza ai conducenti, rende più facile e meno stancante il guidare, si può andare a maggiore velocità! si viaggia con piacere, in generale, anche se si dovrà stare attenti nelle curve, non eccedere nella velocità, non lasciarsi vincere dalla fatica. Avanzo, progredisco verso Babilonia, vedo che non vado da solo, ma che molti vanno per la mia stessa direzione. Penso di aver scelto bene la città dei miei sogni e che sarà un godimento viverci, con gente per bene. Di quando in quando osservo che c'è un cartello in cui è scritto "cambio di senso". Ho visto che alcuni hanno lasciato la strada e hanno cercato di cambiare direzione. La mia prima reazione è stata: "Ma che stupido! Ha senso cambiare senso?", e ho proseguito. Poi, davanti ad altri cartelli uguali, o in momenti inaspettati, mi è venuta l'immagine di quelli che uscivano dall'autostrada. Perché lo avranno fatto? Sarà gente strana? Penseranno di aver sbagliato direzione? Avranno compreso che Babilonia non è un'isola di felicità? La verità è che la spina del dubbio mi si è conficcata dentro. Che cosa fare? Ti incoraggio a cambiare direzione, a prendere la strada che si dirige a Gerusalemme; a farlo nel prossimo cambio di senso, senza aspettare l'ultimo! Non credere che siano pochi quelli che vanno in codesta direzione. Cambiando senso, ti renderai conto del fatto che il traffico è anche intenso. Gerusalemme, la città del gran Dio! Gerusalemme, la città in cui Gesù Cristo diede la sua vita per noi! Gerusalemme, la città dei figli di Dio! Gerusalemme, simbolo di verità e di giustizia, simbolo di amore e di solidarietà! Gerusalemme, la città fondata da Dio perché tu vi abiti! 

Testo di Totustuus


Liturgia della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 1 agosto 2010

Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

tratti da www.lachiesa.it