... Solo una è la cosa di cui c'è bisogno...

News del 17/07/2010 Torna all'elenco delle news

Anche in questa XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) il Signore ci ha raccolti per condurci con lui verso Gerusalemme. E' un viaggio diverso dai nostri; non siamo noi infatti a stabilire la meta e neppure l'itinerario. Non siamo noi i maestri e i pastori di noi stessi, come abitualmente siamo spinti a fare.

In questo viaggio, che nelle domeniche ha come delle tappe, è il Signore che sta davanti a noi; è lui che guida i nostri passi, perché possiamo raggiungere la statura spirituale alla quale siamo chiamati.
Domenica scorsa la liturgia ci ha fatto sostare accanto a quell'uomo mezzo morto ch'era stato invece abbandonato dal sacerdote e dal levita. E ci mostrato nel "buon samaritano" l'immagine vera del cristiano.
Oggi, quasi a voler creare un dittico nel descrivere l'identità del discepolo, viene aggiunta un'altra immagine, quella di Maria seduta ai piedi del Maestro. L'evangelista Luca fa seguire immediatamente la scena di Marta e Maria a quella del buon samaritano.
Volentieri ricordo un caro amico, Valdo Vinay, il quale amava ripetere che non era certo un caso la contiguità di questi due brani evangelici; anzi, a suo parere, essi vanno letti sempre uniti, perché rappresentano il "dittico" dell'identità del cristiano, che deve essere, nello stesso tempo, Buon Samaritano e Maria.

In queste due immagini sono, infatti, rappresentate le due dimensioni inseparabili della vita evangelica: la carità e l'ascolto della Parola. Il Vangelo non prevede gli esperti della carità da una parte, e gli esperti della preghiera dall'altra. Ogni credente deve stare in ascolto di Gesù, appunto, come Maria e, nello stesso tempo, deve curvarsi sull'uomo lasciato mezzo morto lungo la strada, come fece il Samaritano.
Non c'è opposizione, quindi, tra carità e preghiera, tra "vita attiva" e "vita contemplativa"; quella che il Vangelo stigmatizza è piuttosto l'opposizione tra il tirar via e il fermarsi di fronte a chi ha bisogno; tra l'essere presi totalmente dalle proprie cose e il lasciarsi trascinare dall'ascolto del Vangelo.
E' totalmente estranea dal Vangelo quella contemplazione che ignora la pena quotidiana, come anche una vita presa tutta dai propri problemi e dai propri affanni.

Ma fermiamoci all'episodio evangelico di Marta e Maria. La loro casa si trovava in Betania, un sobborgo di Gerusalemme. Gesù amava fermarsi da loro: vi trovava calore ed affetto. Di fronte alle gravi e difficili dispute che lo aspettavano a Gerusalemme, e soprattutto di fronte all'ostilità sorda e cattiva che spesso vi riscontrava, si può comprendere quanto fosse per lui consolante trovare una casa ove essere accolto e dove poter riposare. E per lui, che non aveva neppure una pietra come guanciale ove posare il capo, quella casa era davvero un rifugio desiderato.
L'amicizia di Lazzaro, di Marta e di Maria lo sosteneva nella sua faticosa missione evangelizzatrice. Di qui si può comprendere il pianto di Gesù di fronte alla morte dell'amico Lazzaro. Ebbene, in questa casa di Betania – ma non dovrebbe essere così per tutte le case dei discepoli? - sembra ripetersi la stupenda scena descritta nel libro della Genesi (18,1-10), propostaci in questa domenica come prima lettura. Si tratta dell'episodio di Abramo che accoglie sotto la sua tenda tre pellegrini. A tutti noi è noto il capolavoro del santo pittore russo, Rubliov, che ha immortalato questa scena con i tre angeli raccolti attorno alla mensa preparata da Abramo. Aveva ben in mente, il pittore russo, quanto è scritto nella lettera degli ebrei: "Non dimenticate l'ospitalità; alcuni praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo" (13, 2). Qui, a Betania, i tre, con la loro squisita ospitalità, hanno accolto l'angelo di Dio, il Maestro di Nazareth. Si potrebbe dire che nella scena di Marta e Maria che accolgono Gesù, si porta al suo culmine l'accoglienza di Abramo.

Il Vangelo non vuole sminuire i gesti concreti fatti da Marta, l'accoglienza è fatta anche di questo; come pure non vuole fare delle due sorelle i simboli di due stati di vita. Il problema sta nella profondità dell'accoglienza. Marta è "tutta presa dai molti servizi; preoccupata e agitata per molte cose", al punto da dimenticare il senso stesso di quello che stava facendo, ossia l'accoglienza a Gesù. Anche nella parabola del buon samaritano, potremmo dire che il prete ed il levita sono talmente presi dai loro compiti, anche religiosi, che dimenticano l'essenziale del loro servizio, la compassione di Dio. Come sta scritto: "Misericordia voglio, non sacrifici".
Nel caso di Marta, è talmente evidente il distorcimento dei fini, che invece di pensare a Gesù con affetto e premura, si lascia prendere dai nervi, nel vedere Maria seduta ad ascoltare, e scatta verso Gesù rimproverandolo: "Non t'importa che mia sorella mi ha lasciato sola a servire?". Gesù con calma ed affetto, le risponde che lei si agita e si preoccupa per troppe cose, mentre una sola è quella veramente necessaria: l'ascolto del Vangelo. Questa è la cosa migliore, perché cambia il cuore e la vita.

Chi ascolta la Parola di Dio e la custodisce sarà un uomo e una donna di misericordia e di pace. Maria, vera discepola di Gesù, ha scelto questa parte, la migliore: il primato assoluto, nella propria vita, dell'ascolto di Gesù. Se lo ascolteremo, vivremo come lui, e saremo salvi. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia 



Nesso tra le letture

La prima lettura e il vangelo parlano chiaramente dell'ospitalità. Vi si parla di Abramo che, in piena canicola, offre una splendida accoglienza a tre misteriosi personaggi. Vi si parla di Marta di Betania, che accoglie Gesù e i suoi discepoli nella propria casa, e di Maria, sua sorella, che accoglie come discepola attenta la parola di Gesù nel suo cuore. Il testo della lettera ai colossesi presenta Paolo che ospita nel suo corpo e nella sua anima Cristo Crocifisso, per completare le tribolazioni di Cristo nel suo corpo, che è la Chiesa.

Ospitalità e benedizione. È risaputo che l'ospitalità era, tra i nomadi, la virtù per eccellenza. In un certo modo, essa godeva di un certo carattere sacro e inviolabile, degno del massimo rispetto. Il racconto della prima lettura narra l'ospitalità di Abramo nei confronti di tre personaggi un po' misteriosi, ma si tratta si un'ospitalità che va accompagnata da una benedizione sorprendente e in contrapposizione alle leggi naturali. Richiama l'attenzione in questo testo il fatto che Abramo si rivolga ai tre personaggi al singolare: "Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo". Per Abramo, codesti personaggi sono messaggeri (angeli) di Dio, che vengono ad annunciargli qualcosa da parte di Jahvé. La narrazione ha, pertanto, sembianza di essere una teofania, in cui Abramo accoglie ed ospita generosamente e gioiosamente Dio sotto il volto di tre suoi delegati. Il messaggio di Dio non si fa attendere ed è di benedizione: "Tornerò da te fra un anno a questa data, e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio". Quale altra benedizione migliore potrebbe aspettarsi Abramo, se non la discendenza, che fino ad ora gli era stata negata a causa della sterilità di sua moglie? Adesso si chiede ad Abramo di accogliere senza esitazioni, con assoluta fiducia, questa benedizione di Dio. Ed Abramo accolse di nuovo questa parola di benedizione, e Dio gli diede un figlio nella sua vecchiaia. Ospitare generosamente il mistero di Dio, ospitare fiduciosamente la sua parola, e, di conseguenza, avere la sicurezza che Dio benedirà la nostra esistenza.

Due forme di ospitare l'amico. Queste due forme sono rappresentate da Marta e Maria. Sono due forme altrettanto buone e necessarie, benché la seconda sia preferibile alla prima. Marta ospita Gesù e i suoi discepoli in casa sua. In questo modo, mostra loro innanzitutto il suo apprezzamento e la sua amicizia, li protegge inoltre dal caldo ardente del deserto, che hanno appena attraversato per giungere fino a Betania, e dà loro da bere e da mangiare per recuperare le forze, spese durante la lunga e faticosa camminata. Maria ospita Gesù ascoltando la sua parola, seduta ai suoi piedi, come una discepola entusiasta che non vuole perdersi nemmeno una virgola degli insegnamenti del Maestro. Questo alloggio interiore, spiritualmente attivo, è stimato da Gesù di maggior valore dell'alloggio esterno, incentrato sulla preparazione della tavola per un pasto di ospitalità. Per questo Gesù dice a Marta: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno". Gesù non disprezza assolutamente l'ospitalità di Marta, la considera di grande valore. Ma, allo stesso tempo, le ricorda che c'è un'altra ospitalità più importante, e, indirettamente, invita Marta a dargliela. È come se Gesù dicesse alla sua ospite: "Guarda, Marta, prepara una cosetta qualsiasi, e poi vai a sederti vicino a Maria, e ad ascoltare come lei la mia parola". Due forme di ospitare l'amico, di diverso valore, sebbene entrambe siano necessarie.

Paolo, anfitrione del Crocifisso. Maria ha ospitato la parola di Gesù. Paolo ospita la croce di Gesù, o, meglio, un crocifisso. "Completo ciò che manca ai patimenti di Cristo". Sebbene l'ospite sia un crocifisso, Paolo non si spaventa né si angoscia, lo accoglie con gioia perché sa per esperienza che in Cristo crocifisso risiede la speranza della gloria per lui e per tutti i cristiani. Per Paolo non è un ospite obbligato, molesto, ma la ragione del suo esistere e della sua missione. Dirà: "Sono crocifisso con Cristo. Vivo io, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me". Marta accoglie in casa sua l'amico buono e sommamente apprezzato, Maria accoglie il Maestro che ha parole di vita, Paolo ospita il Redentore, che con la sua passione, morte e resurrezione, redime l'uomo dai suoi peccati, lo salva da se stesso. L'ospitalità di Paolo culmina, come nel caso di Abramo, in benedizione, nella benedizione suprema.

Ospitalità verso gli emigranti. Oggi la parola "ospitalità" si può tradurre con "solidarietà". Il cristianesimo ci insegna che tutti siamo fratelli, e per questo tutti dobbiamo essere solidali gli uni verso gli altri. Poiché non dobbiamo dimenticare che la solidarietà è reciproca. L'anfitrione si mostra solidale accogliendo l'ospite, e quest'ultimo rendendo evidente la sua solidarietà accogliendo con gratitudine e rispetto l'ospitalità che gli viene offerta. In definitiva, l'anfitrione accoglie Cristo nell'ospite, e quest'ultimo accoglie Cristo nell'anfitrione. Tutto ciò risulta di grande attualità davanti al problema non piccolo né facile degli emigranti, che, come ondate costanti, giungono soprattutto ai paesi d'Europa e d'America. Essi sono nostri fratelli in Cristo, o, almeno, in umanità, e per questo dobbiamo rispettarli ed accoglierli. Essi, da parte loro, non debbono dimenticare che noi siamo loro fratelli, a cui debbono rispetto ed accoglienza nel proprio cuore. Come non pensare che, dietro lo schermo dell'emigrazione, si nasconde, in qualche occasione, la microcriminalità, la mafia di immigrati clandestini, l'importazione illecita di tabacco e di droga, la mafia disumana dei sequestri di bambini per venderne gli organi o l'inganno di giovinette che saranno portate in diversi paesi d'Europa e vendute alla prostituzione? Quando il reciproco rispetto umano viene meno, non si deve né esasperare né generalizzare, lasciandosi cadere nel razzismo o nell'odio verso tutti gli stranieri, ma l'autorità pubblica dovrà intervenire, e, quando ciò sia necessario, espellere i delinquenti. L'ospitalità ha le sue regole umane e cristiane, e tutti dobbiamo rispettarle con fedeltà, affinché la convivenza sua proficua per tutti.

Ospitare Colui che ci ha ospitato. Penso che sia importante che prendiamo coscienza del fatto che anche noi siamo ospiti. Venendo alla vita siamo ospitati da Dio, autore della stessa, in questa grande casa che è la terra; sì, perché tutta la terra è la casa di Dio per ogni uomo che viene a questo mondo. Siamo stati ospitati con affetto in una famiglia: i nostri genitori e fratelli, i nostri nonni, i nostri zii... Siamo stati ospitati in una società, in una nazione, in una cultura, in una istituzione politica, educativa... E soprattutto siamo stati ospitati da Dio nella Chiesa, la casa che Dio ha regalato a noi, credenti in Cristo. La reciprocità ci obbliga. Dobbiamo ospitare chi ci ha ospitato, soprattutto l'Ospite per eccellenza, che è Dio Nostro Signore. Dobbiamo dare il dovuto rispetto all'Ospite nelle nostre parole. Il bestemmiare, il giurare invano, il negare Dio rompe le regole del rispetto dovuto. Dobbiamo dare il dovuto rispetto a Dio nella Chiesa, davanti al Santissimo Sacramento. Un rispetto che si traduce in coscienza della presenza di Dio nell'Eucarestia, in adorazione umile e grata, nel riconoscimento pratico del carattere sacro della Chiesa, ecc. 

Testo di Totustuus 

 

Liturgia della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 18 luglio 2010

Liturgia della Parola della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

tratti da www.lachiesa.it