Amare: il verbo del cammino di ogni uomo

News del 09/07/2010 Torna all'elenco delle news

Contro l'indifferenza, la commozione

Una parabola molto conosciuta, quella del Buon Samaritano e una parola, o meglio un verbo che viene messo al centro dalla liturgia di oggi: il verbo amare. Il verbo amare unito alle due direzioni fondamentali della vita: quella verticale - amare Dio - e quella orizzontale - amare i fratelli -. Qualcuno ha scritto che queste due direzioni ci vengono continuamente richiamate dai due bracci della croce di Gesù... è lui che, con tutta intera la sua vita, ci insegna ad amare.
C'è un cammino, che ognuno di noi è chiamato a fare... ed è un cammino personale, che nessuno può fare al nostro posto... un cammino che ha una tappa fondamentale da vivere ci dicono la Bibbia e Gesù: amare.
Nelle scorse due domeniche questo cammino, questo compimento è l'imparare a conoscersi e a diventare se stessi. I due imperativi che abbiamo provato a consegnarci sono stai questi: vivere la relazione con l'altro perché è l'altro che continuamente mi rinvia a quello che sono, e imparare a fare delle scelte perché è nelle nostre scelte che impariamo a capire chi siamo realmente. Oggi ci viene detto che fondamentale per il cammino dell'uomo è imparare ad amare. Raccontando questa parabola Gesù ci dice che possiamo scegliere l'indifferenza e passare oltre oppure possiamo scegliere di prenderci cura, possiamo scegliere di avere cervello, coraggio e cuore come il samaritano della parabola.
Dicevo della Croce prima... Gesù è l'uomo che crede che la vita ha senso solo se è spezzata, donata, regalata. Crede che la vita trova la sua bellezza solo se è condivisa e per questo va vissuta insieme a chi è ultimo, a chi è ferito. Non l'indifferenza quindi, ma ben altra è la verità scritta dentro l'uomo: ogni uomo realizza se stesso nella misura in cui impara a voler bene e impara ad essere voluto bene. Mi sento proprio di dire che ogni pensiero e ogni scelta da parte di Gesù è sempre stato un pensiero e una scelta d'amore. E' importante sostare su questo verbo che è il più prezioso che abbiamo a disposizione nella nostra vita... rischio di sciupare questa parola, rischio di renderla ambigua, rischio di attribuirle tutti i significati di questo mondo rischiando così di renderla completamente vuota di significati... rischio di fare tutto questo perché forse ancora non so che cosa vuol dire amare. Questo è il mio corpo che è dato per voi... per Gesù amare significa imparare a morire per qualcuno e questo non sempre significa dare la propria vita in modo cruento perché colui che ama impara a morire giorno dopo giorno per qualcuno... E' colui che da il suo tempo, il suo ascolto, le sue energie, la sua intelligenza per colui che ama, è colui che fa della sua vita un'esistenza dedicata a qualcuno.

Sento di grande importanza il tema del viaggio, del cammino... e mi rifaccio a quanto ascoltato da don Daniele Simonazzi durante un incontro... Qui è la svolta della parabola. Il Samaritano era in viaggio: questo è il viaggio nel senso forte del termine. Il salmo 84 dice: 'Beato chi decide nel suo cuore il santo viaggio'. È il viaggio della salita a Gerusalemme. E qui c'è un samaritano, unico, che va controcorrente, che sale. Il Samaritano rappresenta Gesù, è lui il viandante che sale a Gerusalemme. Il Samaritano gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, olio, vino (i Padri della Chiesa dicono che sono i sacramenti) e poi lo carica sopra il giumento, lo porta ad una locanda, si prende cura di lui, poi il giorno seguente estrae i due denari e paga e dice all'albergatore 'abbi cura di lui perché io devo andare a Gerusalemme, ho un affare e poi torno'. È l'itinerario che Gesù sta percorrendo: sale a Gerusalemme, ha da fare qualcosa a Gerusalemme: è la Pasqua del Signore; sale, muore, risorge, ascende al cielo, poi ritorna, ed intanto ha pagato il prezzo della sua vita.

Di più... contro l'indifferenza, la commozione. Il samaritano, 'avendolo visto, si commosse'. In greco, il verbo 'si commosse' è il medesimo con cui si indica la commozione profonda di Gesù a Nain o quella del padre del figlio prodigo nel vedere il figlio tornare a casa. Ecco l'essenziale: è il commuoversi del samaritano nei confronti dell'uomo bastonato, cioè è il commuoversi di Dio nei confronti della nostra umanità ferita e piagata che muove Dio a venirci incontro per salvarci. Chi è povero e bisognoso vive della misericordia di Dio, accoglie la sua volontà di salvezza nei nostri confronti. Solo Dio, in Gesù, sa farsi prossimo all'uomo che è incappato nei briganti lungo il viaggio che lo porta lontano da Gerusalemme, cioè lontano dalla presenza e dalla relazione con Dio. 

Testo di don Maurizio Prandi 
 

Il "vedere" e il farsi prossimo

Nell'Antico Testamento e nell'accezione ebraica il termine "prossimo" serve più a delineare una serie di categorie di persone piuttosto che evincere la necessità di un atteggiamento (Ravasi) e si riferisce esclusivamente ai membri della comunità del popolo eletto, ai connazionali e a quanti non erano estranei all'appartenenza ad Israele. Nel giudaismo ai tempi di Gesù viene ad indicare colui che appartiene allo stesso gruppo o alla stessa estrazione sociale, e pertanto diventa assai riduttivo e circoscritto. Sembra in tutti i casi che il suo significato sia asettico e teorico, distante da ogni sensibilità e da ogni situazione umana.
Non è così nel vocabolario di Gesù che lo utilizza non senza attribuirgli estrema importanza; tuttavia non è il concetto di prossimo che egli intende evidenziare, quanto il suo contenuto: l'amore disinteressato e gratuito che non conosce frontiere o limitazioni.

Il prossimo è sempre soggetto di amore e di conseguenza può diventarne anche l'oggetto.
Dicevamo infatti all'inizio che la chiarificazione del termine a cui giunge Gesù è necessaria affinché si comprenda il senso dell'amore: in effetti Gesù estingue definitivamente un dubbio ancora più urgente ad essere risolto rispetto al concetto di prossimo visto che il Comandamento di vita di cui al libro del Deueteronomio impone che si ami il nostro prossimo come noi stessi. Ne deriva allora che la dinamica dell'amore vuole che esso si estenda a tutti universalmente, senza limitazioni, ritrosie o ristrettezze di sorta. Il prossimo da amare è l'uomo in tutte le sue dimensioni e soprattutto il nemico, quindi si conclude che l'amore non deve avere confini ma poiché riversato con abbondanza in ciascuno dei nostri cuori da parte di Dio (Paolo) va esteso senza distinzioni a tutti evitando ogni limitazione.
Ancora più precisamente: per capire effettivamente chi è il nostro prossimo non occorrono lezioni di teologia o di geografia umana, ma è indispensabile che anche noi ci facciamo "prossimi" degli altri sull'esempio di questo Samaritano considerando obiettivamente la necessità dell'amore universale e incondizionato per il quale, soprattutto oggigiorno, è necessario preoccuparsi delle necessità degli altri e promuovere il riconoscimento dei diritti di ogni uomo, specialmente fra quelli che si considerano i reietti e gli emarginati.
Alla matrice dei conflitti anche su scala mondiale vi è infatti il mancato riconoscimento dei diritti della persona e la sottovalutazione del rispetto dovuto all'altro nelle sue necessità e soprattutto è urgente che si scongiuri ogni forma di discriminazione razziale e che la violenza non sia ingenerata dall'odio congenito verso popoli, gruppi, culture e credi religiosi e che si riscopra la valorizzazione delle differenze culturali e religiose che sono un comune arricchimento piuttosto che non un ostacolo.

Come affermava Giovanni Paolo II, "Se vuoi la pace, rispetta la coscienza di ogni uomo" perché abbiano fine gli odierni conflitti fra Giudei e Samaritani che molto spesso insanguinano le nostre strade destabilizzando la serenità dei popoli. 

Testo di padre Gian Franco Scarpitta (testo integrale)



Commento Luca 10,25-37

L'inno, riportato nella seconda lettura (Col 1,15-20), celebra con accenti entusiasti il primato, la centralità totalizzante di Cristo sul piano della creazione e su quello della redenzione. Due termini si richiamano l'un l'altro senza sosta dall'inizio alla fine dell'inno: "Lui" e "tutte le cose". Tutta la realtà ruota attorno a "Lui" (Cristo). Da "Lui" ha la sua origine, in "Lui" la sua ragion d'essere e il proprio significato. In "Lui" la meta ultima del proprio dinamismo. "Il Redentore dell'uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia". Così iniziava la prima enciclica di Giovanni Paolo II (4 marzo 1979). E' veramente così per noi? E' Lui, il Signore Gesù, che motiva, spiega, armonizza, raccoglie in unità le scelte più diverse e gli aspetti molteplici, e talora conflittuali, della nostra esistenza? "Se non fossi tuo, o mio Cristo, io sarei un uomo perduto" (s. Gregorio Nazianzeno). Il papa nella sua enciclica affermava ancora che "Cristo si è unito a ogni uomo" e quindi "tutte le vie della Chiesa conducono all'uomo". I veri discepoli di Gesù sanno che il loro Maestro li chiama e li manda a servire l'uomo, ogni uomo. E' il suo insegnamento nel Vangelo di oggi.
C'è un segreto per "ereditare la vita eterna", cioè per realizzarsi pienamente e raggiungere la felicità perfetta? Questo segreto ce lo rivela la Parola di Dio. Eccolo!: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore... e il prossimo tuo come te stesso". Non basta però conoscere tale segreto. Bisogna attuare la Parola che richiama il legame indissolubile tra il comandamento dell'amore di Dio e il comandamento dell'amore del prossimo: "Fa' questo e vivrai". Ogni gesto, che compio, è autentico se è sempre un gesto di amore a Dio e nello stesso tempo al prossimo.
"E chi è il mio prossimo?". Gesù non dà una risposta teorica, ma racconta un fatto: il gesto d'amore compiuto dal Samaritano, cioè uno straniero, un eretico per i Giudei. Il suo gesto manifesta alcune caratteristiche essenziali dell'amore richiesto da Gesù:
- Un amore universale. Il Samaritano soccorre chi gli era socialmente estraneo, anzi nemico. Un amore, quindi, che non discrimina, non esclude nessuno. Non guarda tanto al colore della pelle, al colore politico, religioso, ideologico; ma prende atto che ha a che fare con un uomo: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico". E' quest' "uomo" il protagonista, messo in scena fin dall'inizio e che successivamente entra in rapporto (mancato) col sacerdote e col levita, e poi in rapporto (realizzato) col Samaritano. E' semplicemente un uomo e come tale suscita compassione nel Samaritano.
- Un amore coraggioso, che non teme di rischiare e paga di persona. Se i primi due non si sono fermati, è per ragioni di purità rituale, ma anche per la paura, se indugiavano, di subire la stessa sorte del malcapitato.
- Un amore sommamente generoso, che non si accontenta di un pronto intervento, ma si preoccupa anche del futuro di quest'uomo e coinvolge altri (l'albergatore) nella cura di lui.
La chiave del comportamento del Samaritano si trova contenuta in due verbi: "lo vide e ne ebbe compassione". La compassione spiega e provoca il suo "farsi vicino" al ferito con tutte le azioni che esprimono il suo soccorso efficace e concreto. In effetti, il verbo "ebbe compassione" nella lingua greca del vangelo significa "sentirsi sconvolgere le viscere" ed è spesso usato per indicare la tenerezza di una madre nei confronti del figlio che soffre. Non si tratta perciò di una compassione emotiva e superficiale. Ma si intende un atteggiamento di profonda partecipazione e coinvolgimento. E' un immedesimarsi nella realtà dell'altro, un "patire-sentire con l'altro".
Ciò risalta ancor meglio se osserviamo che il comportamento del Samaritano si contrappone nettamente a quello dei due rappresentanti del culto. Tutti e tre arrivano, vedono. I primi due, però, passano oltre, mentre il terzo si avvicina, perché nel vedere è scattata in lui la compassione.
Nell'agire del Samaritano Gesù mostra come l'amore vero "decentra", nel senso che non considero più gli altri in relazione a me, ruotanti attorno a me; ma considero me in relazione agli altri. Non più io al centro dell'attenzione, ma l'altro.
L'esempio del Samaritano sottolinea il legame stretto fra l'amore di Dio e quello del prossimo: il culto separato dall'amore è sterile, anzi falso. E' ciò che non hanno capito il sacerdote e il levita. Sono rimasti prigionieri dei loro schemi mentali. Non hanno saputo cogliere la volontà di Dio che in quel momento esigeva il loro ritardo o assenza dagli atti di culto per offrirgli invece il culto vero (l'amore) in quel luogo profano e lontano dal tempio di Gerusalemme. Il culto autentico che invece è stato offerto dal Samaritano. L'uomo ferito era, infatti, il tempio di Dio.
Non hanno capito che il bene, l'amore non solo non ha frontiere; ma deve essere "inventato" con capacità creativa in tutte le situazioni più strane e imprevedibili in cui ognuno di noi può venire a trovarsi. Non hanno capito che l'amore non è una misura da applicare a tutti in modo uguale, come un cliché; ma ciascuno va amato in maniera unica e irripetibile.
E noi abbiamo capito? Anche noi tante volte siamo prigionieri di determinati atteggiamenti che ci bloccano e ci impediscono di amare prontamente il prossimo. A titolo di esempio ne richiamiamo tre:
- La fretta: tutti corrono. È tanto difficile incontrare qualcuno che ha tempo per te, che sa "perdere tempo" e sa "interrompere" la propria attività (come fa il Samaritano) per donarti tutta la sua attenzione. Che non ti dice: "Ho da fare!". Ma: "Ora ho da fare con te!". Non ti dice: "Ci mancavi anche tu...". Ma: "Ci sei soltanto tu!".
- La paura di un nuovo impegno, la paura di essere disturbati, la ricerca dei propri comodi, il desiderio di essere lasciati in pace...
- La ricerca di un alibi: gli alibi per "defilarci" siamo bravissimi a scoprirli, a inventarli, a costruirli.
Occorre, allora, una vigilanza continua. Noi siamo infatti istintivamente portati a prendere le distanze dall'altro, a rifiutarlo, perché vediamo nell'altro un possibile pericolo per la nostra autonomia, per la nostra libertà, per la nostra tranquillità.
Gesù ha ampiamente risposto alla domanda "Chi è il mio prossimo?". Il prossimo d'amare, con tutte le modalità concrete vissute dal Samaritano, è ogni persona che si trova nel bisogno. Ma Gesù, concludendo il suo racconto, rilancia una contro-domanda: "Chi dei tre è stato prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Lo scriba risponde: "Chi ha avuto compassione di lui". Letteralmente: colui che gli ha usato misericordia. Non importa tanto sapere chi è l'altro da amare, ma piuttosto decidere di fare un passo verso l'altro, farmi vicino, prossimo all'altro, "farmi l'altro". Come il Samaritano, come Gesù stesso, che in modo discreto in questa parabola parla di sé, raccontando la sua storia di totale solidarietà e condivisione con noi uomini feriti e malati. Una storia d'amore che in ogni Eucaristia viene ricordata e rivissuta: "Va' e anche tu fa' lo stesso".
Ecco, allora, in sintesi il messaggio sempre attuale di questa pagina di Vangelo: per avere la vita eterna occorre amare Dio con tutto il cuore e, inseparabilmente, amare il prossimo. In che modo? Lasciandomi guidare dalla compassione che mi rende "vicino" e solidale ad ogni uomo, pronto a "usargli misericordia". La via alla vita, ormai, è la compassione attiva e l'impegno misericordioso, che hanno in Gesù il modello e la sorgente. Gesù, samaritano misericordioso, oggi continua a soccorrere l'uomo che giace ferito ai margini della strada, simbolo di ogni uomo povero e bisognoso di aiuto, attraverso la nostra attenzione concreta. Gesù che, però, si nasconde anche nell'uomo ferito. In Lui riceve la nostra attenzione misericordiosa e mi supplica: "Non mi rifiutare. Sono Gesù!"

Lungo la settimana lascerò che Gesù ripeta anche a me personalmente, alla mia famiglia, alla mia comunità: "Fa' questo e vivrai!...Va' e anche tu fa' lo stesso". 

Testo di mons. Ilvo Corniglia