E chi è il mio prossimo? ovvero: A chi posso farmi prossimo, ora e qui?

News del 10/07/2010 Torna all'elenco delle news

XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 

Il vero buon samaritano

"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico…": la parabola del buon samaritano, una pagina tra le più celebri del vangelo, basta da sola a dire tutto sul precetto fondamentale dell'amore del prossimo.
Gesù la racconta, in risposta a un "dottore della Legge", cioè un riconosciuto esperto nell'interpretazione della Bibbia, il quale pensa di metterlo in difficoltà con una domanda: so, Maestro, che cosa sta scritto nella Bibbia; per ereditare la vita eterna bisogna amare Dio e il prossimo; ma chi sarebbe il prossimo?
La risposta è in forma di racconto. Lungo la strada in discesa che attraversa il deserto della Giudea, tutto aride collinette rocciose, non era raro che i predoni assaltassero i viandanti. Gesù immagina appunto una loro vittima, derubato di tutto, percosso a sangue e abbandonato mezzo morto. Gli passano accanto, indifferenti, un sacerdote e poi un levita, due uomini delle categorie più rispettate nell'antico Israele, mentre un samaritano, cioè uno degli stranieri eretici che gli ebrei detestavano e dai quali si tenevano a distanza, proprio lui si ferma a prestargli soccorso: "Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla propria cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno".
Il racconto condensa in un esempio tutto quanto occorre tenere presente nei rapporti con quanti entrano, stabilmente o occasionalmente, nella nostra vita. Sono loro "il prossimo", da amare non a chiacchiere ma con i fatti.
Fatti concreti, commisurati non sulle nostre voglie, sui nostri umori del momento, ma sulle loro necessità.
Fatti che impegnano la nostra attenzione e la nostra disponibilità, vale a dire la nostra intelligenza e il nostro cuore.
Fatti: di fronte a un uomo ferito e abbandonato, il samaritano non si limita a buone parole di consolazione ma gli dedica il suo tempo, le sue cose (il vino per disinfettare, l'olio per lenire il male) e anche il suo denaro.
Fatti, come quelli dei tanti (si contano a milioni solo in Italia) che dedicano il tempo libero al volontariato, o i tanti altri che sostengono con i loro soldi le organizzazioni di carità.
Troviamo in questo racconto un Gesù provocatorio: un detestabile samaritano è delineato migliore di due tra i più rispettabili ebrei. Sottinteso: spesso le persone non sono quelle che sembrano; giudicare per categorie (gli zingari, gli extracomunitari, gli ex carcerati, gli omosessuali, e chi più ne ha più ne metta) si basa su pregiudizi che tante volte si rivelano privi di fondamento.
Di grande rilievo, inoltre, è la lettura che della parabola hanno dato già gli antichi Padri della Chiesa, i quali, senza nulla togliere al suo valore di esempio per noi, vi hanno visto anche un significato più profondo.
L'uomo che scende da Gerusalemme a Gerico rappresenta tutti gli uomini, per ciascuno dei quali la vita è una traversata del deserto; ciascuno è solo nel cammino attraverso il deserto spirituale di questo mondo, dove incontra dei briganti che colpiscono "dentro" (le esperienze negative, le delusioni, l'inquietudine motivata dalle cause più diverse) e talora colpiscono duro, lasciandoci spiritualmente mezzi morti.
Molti ci passano accanto senza prestarci aiuto, o perché non si accorgono delle nostre ferite, o perché sanno contrapporvi solo chiacchiere o, peggio, perché non gliene importa nulla.
Ma uno c'è, che conosce minutamente lo stato di salute della nostra anima, la sa e la vuole curare. Quella del buon samaritano è una parabola autobiografica: il vero buon samaritano, attento e, se lo vogliamo, disponibile per ciascuno di noi, è lui. E non occorre dirne il nome. 

Testo di mons. Roberto Brunelli 

 

A chi posso farmi prossimo, ora e qui?

Alla parabola del buon Samaritano dono dedicate diverse pagine del libro di papa Benedetto XVI su Gesù di Nazaret. La parabola non si comprende se non si tiene conto della domanda alla quale con essa Gesù intendeva rispondere: "Chi è il mio prossimo?

A questa domanda di un dottore della legge, Gesù risponde raccontando una parabola. Nella musica e nella letteratura mondiale, ci sono degli "attacchi" divenuti celebri. Quattro note, disposte in una certa sequenza, e ogni intenditore esclama subito, per esempio: "Quinta sinfonia di Beethoven: il destino che bussa alla porta!". Molte parabole di Gesù condividono questa caratteristica. "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico...", e tutti capiscono immediatamente: parabola del buon Samaritano!

Nell'ambiente giudaico del tempo si discuteva su chi doveva essere considerato, per un israelita, il proprio prossimo. Si arrivava in genere a comprendere, nella categoria di prossimo, tutti i connazionali e i proseliti, cioè i gentili che avevano aderito al giudaismo. Con la scelta dei personaggi (un Samaritano che soccorre un giudeo!) Gesù viene a dire che la categoria di prossimo è universale, non particolare. Ha per orizzonte l'uomo, non la cerchia familiare, etnica, o religiosa. Prossimo è anche il nemico! Si sa infatti che i giudei infatti "non mantenevano buone relazioni con i samaritani!" (cfr. Gv 4, 9).

La parabola insegna che l'amore del prossimo deve essere non solo universale, ma anche concreto e fattivo. Come si comporta il samaritano della parabola? Se il Samaritano si fosse accontentato di accostarsi e di dire a quel disgraziato che giaceva nel suo sangue: "Poveretto, quanto mi dispiace! Come è successo? Fatti coraggio!", o parole simili, e poi se ne fosse andato, non sarebbe stato tutto ciò un'ironia e un insulto? Lui fece dell'altro: "Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno".

La cosa però veramente nuova, nella parabola del buon samaritano, non è che in essa Gesù esige un amore universale e concreto. La vera novità, fa notare il papa nel suo libro, è altrove. Terminato di narrare la parabola Gesù domanda al dottore della legge che lo aveva interrogato: "Chi di questi tre [il levita, il sacerdote, il samaritano] ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? ".

Gesù opera un capovolgimento inatteso rispetto al concetto tradizionale di prossimo. Prossimo è il Samaritano, non il ferito, come ci saremmo aspettati. Questo significa che non bisogna attendere passivamente che il prossimo spunti sulla propria strada, magari con tanto di segnalazione luminosa e a sirene spiegate. Tocca a noi essere pronti ad accorgerci che c'è, a scoprirlo. Prossimo è quello che ognuno di noi è chiamato a diventare! Il problema del dottore della Legge appare rovesciato; da problema astratto e accademico, si fa problema concreto e operativo. La domanda da porsi non è: "Chi è il mio prossimo?", ma: "A chi posso farmi prossimo, ora e qui?"

Nel suo libro, il papa fa un'applicazione attuale della parabola del buon samaritano. Vede l'intero continente africano simboleggiato dallo sventurato che è stato spogliato, ferito e lasciato mezzo morto ai margini della strada e vede in noi, membri dei paesi ricchi dell'emisfero nord, i due personaggi che passano e tirano diritto, se non addirittura i briganti che lo hanno ridotto così.

Io vorrei accennare a un'altra possibile attualizzazione della parabola. Sono convinto che se Gesù vivesse oggi in Israele e un dottore della Legge gli chiedesse di nuovo: "Chi è il mio prossimo?" cambierebbe leggermente la parabola e al posto di un samaritano metterebbe un palestinese! Se poi a interrogarlo fosse un palestinese, al posto del samaritano troveremmo un ebreo!

Ma è troppo comodo limitare il discorso all'Africa o al Medio Oriente. Se fosse uno di noi a porre a Gesù la domanda: "Chi è il mio prossimo?", cosa risponderebbe? Ci ricorderebbe certamente che il nostro prossimo non è solo il connazionale, ma anche l'extracomunitario, non solo il cristiano, ma anche il musulmano, non solo il cattolico, ma anche il protestante. Ma aggiungerebbe subito che non è questa la cosa più importante; la cosa più importante non è sapere chi è il mio prossimo, ma vedere a chi posso io farmi prossimo, ora e qui; per chi posso essere io il buon samaritano. 

Testo di padre Raniero Cantalamessa 

 

Nesso tra le letture

La questione Gesù potrebbe essere il centro di convergenza dei testi liturgici. Gesù è una grande domanda, e la Bibbia ci offre una grande risposta. Nel vangelo Gesù si autopresenta come il buon samaritano, disponibile per qualsiasi necessità, laddove esista e chiunque sia il bisognoso. La prima lettura ci parla della Parola vicina, sulle labbra e nel cuore, e tale Parola vicina si identifica con Gesù, il Dio-uomo, che ci parla con parole di uomo. Nella lettera ai Colossesi, in un antico e bellissimo inno Cristologico, Gesù è cantato come il primogenito di tutta la creazione, al quale tutto fa riferimento e nel quale tutto incontra pienezza.

Il buon samaritano, pseudonimo di Gesù. La parabola del buon samaritano non è soltanto un tesoro cristiano, appartiene alla ricchezza dell'umanità. Forse non sarebbe esagerato dire che non c'è uomo che non la conosca, che non abbia cercato di interpretarla qualche volta nella sua vita. Si può mettere in risalto, pertanto, che non è una parabola fatta vita, ma una vita fatta parabola, e per questo si può dire che il buon samaritano è uno pseudonimo di Gesù. Alla domanda dello scriba su chi è il suo prossimo, Gesù avrebbe potuto rispondere direttamente: "Io sono"; preferì, invece, scegliere il cammino parabolico e fare della narrazione uno specchio della sua esistenza, interamente donata all'uomo per amore. Veramente Gesù Cristo è il prossimo di ogni uomo, cioè, vicino, accessibile, disponibile, accogliente, prossimo in qualsiasi situazione o circostanza umana. Una prospettiva interessante per leggere i vangeli potrebbe essere questa della prossimità, adottando come punto di partenza il grande mistero dell'incarnazione, per mezzo della quale Dio si fa prossimo dell'uomo in Gesù di Nazaret. Gesù è prossimo ai bambini, ai malati, ai discepoli, agli inquieti, ai potenti, ai poveri e bisognosi, a tutti. La prossimità di Gesù Cristo all'uomo fa parte del mistero dell'incarnazione e della nascita.

Gesù, Parola vicina. Per il Deuteronomista la Parola è la rivelazione di Dio innanzitutto sul Sinai, e adesso nella pianura di Moab. Una rivelazione divina che non è qualcosa di principalmente estrinseco, ma che realmente è una Parola interiore, della quale ogni seguace di Gesù Cristo si appropria fino a giungere a farla sua. Una Parola e una rivelazione che acquistano volto e nome propri in Gesù Cristo. Egli è la Parola fatta carne. Egli è la Parola che risuona in tutte le parole della Bibbia. Egli è la Parola che, per opera dello Spirito Santo, si addentra nell'anima del credente fino ad annidarsi in essa, trasformandola nella sua dimora. Si trova sulle nostre labbra la Parola, perché, quando leggiamo la Scrittura, leggiamo in essa Cristo. Si trova nel nostro cuore, perché la Parola non è un suono vuoto, e neppure un mero contenuto conoscitivo, ma una persona, che si conosce e si ama nell'intimità, per la via del cuore. Per un cristiano, codesta parola vicina e interiore, che si trova sulle sue labbra e nel suo cuore, è Gesù Cristo. Egli è la Parola che ci avvicina alla conoscenza e all'intimità di Dio, che ci avvicina alla vera conoscenza di noi stessi e del senso di tutta la creazione.

Gesù, primogenito della creazione. L'inno della seconda lettura ricorre a varie immagini per rispondere alla questione Gesù. Gesù è l'immagine visibile del Dio invisibile, è il primogenito, cioè, l'archetipo di ogni creatura: punto di riferimento, pertanto, del cosmo e della storia. In definitiva, la creazione intera guarda verso Gesù Cristo come al suo modello, alla sua ragion d'essere, al suo ultimo destino. Per questo, l'inno della lettera ai colossesi ci dice che in Gesù risiede tutta la pienezza. Infine, applica a Gesù altri due nomi: capo del corpo, che è la Chiesa, ossia centro di coesione e di direzione dei cristiani, e primogenito di tra i morti: Colui in cui anticipatamente ci si mostra il destino finale di tutti gli uomini che cercano sinceramente Dio. Come primogenito della creazione, tutto ingloba, tutto configura, tutto sigilla con la sua immagine e con il suo amore.

Fa' anche tu lo stesso. Gesù è il buon samaritano, è l'uomo più prossimo ad ogni uomo e a tutti gli uomini. La grandezza della vocazione cristiana risiede nel fatto che Gesù non ci dice: Ava, e insegna anche tu lo stesso", ma Ava, a anche tu fa' lo stesso". Come ci dirà san Giacomo: "La fede senza le opere è una fede morta". Oggi ogni cristiano è chiamato a ripetere Gesù nella sua vita, a fare del buon samaritano un proprio pseudonimo. Gesù dice ad alcuni cristiani: "Fa' tu lo stesso nella tua casa: con tua madre, che è malata; con il tuo vicino, che è anziano e non può contare su se stesso per molte cose; con tuo figlio, che ha avuto un incidente e dovrà vivere per il resto della vita su una sedia a rotelle". Ad altri cristiani Gesù dirà: "Va' e anche tu fa lo stesso quando vai per strada, dando volentieri l'elemosina a chi te la chiederà, dando gentilmente informazioni a chi ti domanda un indirizzo o il nome di un negozio; va' e anche tu fa' lo stesso quando vai in autobus o in metropolitana, cedendo il posto a sedere agli anziani, alle donne con bambini piccoli, agli invalidi, essendo rispettoso e padrone di te quando l'autobus è stracolmo e ti spingono da tutte le parti, o tentano perfino di derubarti". Fa' lo stesso: questa frase la dovremmo tener presente nella nostra mentre e nel nostro cuore durante tutti i giorni. Una frase che possiede un potenziale enorme di creatività e di impulsi nuovi all'azione in favore dei nostri fratelli uomini. Fa' anche tu lo stesso: questa sola frase è capace di inventare il futuro, di forgiare un mondo nuovo e migliore. Quanti di noi cristiani ci faremo caso?

Una Parola rivolta a te. Tutta la Bibbia è parola, parola di Dio. Le parole umane in cui è scritta la Bibbia sono come suoni che giungono ai nostri orecchi, entrano dentro di noi, e attraverso di essi ascoltiamo la Parola di Dio, il suo messaggio di verità, di amore, di autentico umanesimo cristiano. È una Parola diretta a tutti, perché tutti la possiamo comprendere e a tutti può aprire le porte della salvezza. Ma, soprattutto, è una Parola rivolta personalmente a ciascuno, a te. Può accadere che, quando tu leggi un testo della Bibbia, ci siano altri uomini che stanno leggendo lo stesso testo in qualche altro lato del pianeta, ma è sicuro che il messaggio sarà assolutamente personale, rivolto a te, con il tuo nome e cognome. Quando, nella liturgia della Parola, nella messa, si fanno le tre letture, tutti i presenti ascoltano gli stessi testi, ma in ciascuno essi risuonano in modo differente, inviano messaggi particolari ad ognuno. Per la Parola di Dio non conta il numero, ma la persona, ogni persona, nel suo carattere unico, irripetibile e diverso da tutte le altre. Un Padre della Chiesa diceva che la Scrittura è come una lettera che Dio scrive ad ogni uomo. Non una lettera di protocollo o meramente amministrativa, ma una lettera di un Padre a suo figlio, una lettera dove il Padre parla di se stesso con grande semplicità, ma, allo stesso tempo manifestando i suoi pensieri e desideri più intimi. Ascolta codesta Parola di Dio per te, in essa ne va della tua vita e della tua felicità, in essa ti viene data la chiave per vivere dando significato alla tua esistenza. Non ti spaventi la lievità della Parola. Sembra fragile e lieve, ma possiede la solidità dell'acciaio. È Parola di Dio! 

Testo di Totustuus
 

Liturgia della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C): 11 luglio 2010

Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

tratti da www.lachiesa.it