La grandezza si misura dal cuore

News del 03/07/2010 Torna all'elenco delle news

Partono i discepoli, a due a due, e non a uno a uno. E la prima parola che portano è il gesto della loro comunione, la vittoria sulla solitudine. Partono, forti solo di un amico e di una parola. È importante questo andare a due a due, avere un amico sul cuore del quale poter riposare; un amico almeno che ti garantisca, in cui cercare l'evidenza che esisti, che sei amato, capace di relazioni vere.
A due a due, perché se è solo, l'uomo è portato a dubitare perfino di se stesso. Il primo annuncio consiste in un evento di comunione. «Noi non arriveremo alla meta / a uno a uno, ma a due a due. / Se noi ci ameremo / a due a due, / noi ci ameremo tutti. / E i figli rideranno / della leggenda nera / dove l'uomo piangeva / in solitudine». (Paul Eluard).
Partono, forti di una parola: «Dio è vicino»; vanno, senza pane, né sandali, né denaro, senza nulla di superfluo. Senza cose. Semplicemente uomini.

Ed è un viaggio verso l'uomo essenziale, liberato da tutto il superfluo, verso l'uomo iniziale e spoglio, il nudo uomo delle origini.
Sarai tanto più vicino a Dio, quanto più sprofonderai nel tuo essere uomo, libero da ogni ruolo e attributo, nudo nel riconoscimento della tua nuda umanità.
L'unica preoccupazione dell'annunciatore è di essere infinitamente piccolo. Allora il suo annunzio sarà infinitamente grande.

L'apostolo appare come un sovversivo per il semplice fatto che riprende la condizione umana alla radice, quella luminosa radice che è prima del pane, del denaro, della tunica, quella radice che è l'immagine di Dio.
Ed ecco perché saranno perseguitati: perché fanno crollare tutto un sistema di valori stabilito sul superfluo, sull'apparire, sulla competizione, sul denaro, sul vestito. Perché un uomo non vale per la quantità delle cose che possiede, ma quanto valgono i suoi ideali. Neppure quanto vale la sua intelligenza, ma quanto vale il suo cuore.
Annunciate pace e un regno vicino. Anche la pace si annuncia a due a due, perché la pace non si può viverla da soli. La pace è relazione, comporta almeno un altro, molti altri per essere vera. E se non accettano la pace, scuotete la polvere e avviatevi verso un altro villaggio, perché c'è sempre un altro paese, un'altra casa, un altro cuore che aspetta la pace.
Vanno i settantadue ricchi solo di un santuario di povertà, e dicono: «Nella tua umanità profonda, più intimo a te di te stesso, crocifisso con te nella tua pena, e poi flauto per la tua danza, Dio è vicino». La loro buona novella è: «Dio è con noi, con amore». Questo auguro, di tutto cuore, a ciascuno: «Dio sia con te, con amore». 

Testo di padre Ermes Ronchi
 

I 72 discepoli: zelo e impegno sempre attuali

Il Regno di Dio è una prospettiva di giustizia e di pace universale che si instaura nell'uomo per la stessa grazia del Signore come dono gratuito ma che non può tuttavia prendere corpo e mostrare la sua efficacia se non viene deliberatamente accolta dal cuore umano: perché si instauri fra di noi la prospettiva del Regno che Dio è venuto ad apportare nelle parole e nelle opere di Cristo, è necessario che l'uomo aderisca alla libera iniziativa divina apportandovi il proprio assenso e prendendovi parte attiva affinché, come afferma San Paolo, anche noi possiamo regnare con Lui.
L'instaurazione del Regno di Dio nella vita degli uomini comporterebbe negli ideali la trasformazione del mondo secondo il simbolismo delle immagini di cui alla prima lettura tratta dal Libro del profeta Isaia, poiché rientrando noi tutti nella dinamica del Regno verremmo a realizzare una società e un sistema di convivenza fondato sulla pace e sulla giustizia e sul benessere generale tratteggiato con i termini di prosperità, abbondanza e delizia in Gerusalemme, più altre immagini confortanti che lo stesso profeta ci offre in altri luoghi quali "la pantera che si sdraia accanto al capretto e il bambino che mette la mano nel covo di serpenti velenosi; tuttavia alla gratuità del dono deve corrispondere l'arbitrio dell'accettazione piena e disinvolta, per cui chi ascolta la Buona Notizia del Regno deve mostrare convinzione e corresponsabilità per potervi aderire.

Questo è fondamentalmente il motivo per cui Gesù invia i settantadue discepoli in avanscoperta per i villaggi e le città in cui sta per recarsi egli stesso, istruendoli in tutti i dettagli e senza trascurare alcuno dei particolari.
Nel libro del Deuteronomio (19, 14 – 15) si afferma che ogni testimonianza è veritiera e attendibile quando è resa da almeno due persone e anche Gesù ribadisce questo concetto a proposito della correzione fraterna da rivolgersi a chi commette una mancanza: se non è sufficiente la correzione di un singolo per fare ravvedere il reo, occorre che si chiami in causa una o altre due persone, ai fini che tutto "si svolga sulla parola di due o tre testimoni."(Mt 18, 16). Ma se la testimonianza di due persone è verace in circostanze interne alla comunità, tanto più determinante essa sarà nella testimonianza del Regno di Dio! I discepoli vengono inviati due per volta perché la testimonianza del Regno abbia spessore e rilevanza secondo i connotati biblici, perché infatti prima ancora che annunciatori gli araldi devono essere testimoni di quanto essi stessi hanno esperito, ossia della presenza di Dio nelle parole e nelle opere di Cristo. Non per niente sono tenuti a curare (prima) i malati e ad annunciare loro (subito dopo) il Regno di Dio: accanto ai poveri, agli esclusi e agli abbandonati essi sono i primi destinatari dell'annuncio perché prediletti da Dio e ad essi dell'annunzio va resa una testimonianza immediatamente tangibile ed evidente perché si possano rallegrare.
Annunciare la salvezza è compito che i settantadue devono eseguire con abnegazione e fedeltà, avendo di mira l'ideale Gesù Cristo e la novità del Vangelo come unico loro scopo missionario senza anteporre alcuna cosa ad esso, neppure le amicizie e le relazioni intersoggettive. Ecco perché viene comandato loro di "non salutare nessuno per la strada". Non si vuole con questo incoraggiare da parte del Maestro un atto di superbia e di maleducazione nei confronti degli interlocutori che i discepoli incontreranno sul loro cammino, ma semplicemente avvertire che il mandato è solo il Cristo venturo e non va sostituito con la proposta di se stessi. Chi esercita un ministero attraendo gente solamente a sé e con il solo scopo di suscitare simpatia e attrazione nei propri confronti non è fedele alla missione che gli è stata affidata.
L'annuncio del Vangelo di salvezza, se eseguito con cognizione di causa e consapevolezza, ottiene tutte le ricompense materiali anche a proposito delle necessità del momento, per cui non occorre preoccuparsi del proprio sostentamento perché l'operaio ha diritto alla sua mercede e la troverà nello stesso percorso che è chiamato a compiere purché egli accetti senza riserve e senza restrizioni l'accoglienza e l'ospitalità dei suoi anfitrioni. Prestiamo attenzione: Gesù invita i suoi discepoli ad accettare l'ospitalità in ogni casa e in ogni città mangiando di quello che verrà loro messo innanzi senza cioè che si preoccupino della distinzione mosaica fra cibi puri ed impuri e questo per il semplice fatto che quanto è dono della Provvidenza non va ritenuto impuro, ma accolto con spontanea riconoscenza quale elemento meritorio per il bene che si sta compiendo.
La missione va svolta quindi risolutamente, con prontezza, decisione e determinazione, avendo il solo obiettivo di recare a tutti la gioia della salvezza e la novità di vita che Cristo viene ad apportare. Tuttavia non richiede il successo a tutti i costi. Anzi, essa non esclude che si venga osteggiati, denigrati e addirittura respinti e il non essere accolti nelle città e nei villaggi è previsto già dalla stessa dinamica dell'annuncio perché vi è chi deliberatamente ha optato di rifiutare la salvezza nonostante l'evidenza dei benefici di Dio; non è escluso pertanto che le nostre parole trovino un diniego secco e un'avversione ma questo non deve scoraggiarci nell'esercizio del mandato né deve incutere timore o ingenerare l'idea di aver fallito e di non essere stati all'altezza del compito. Si è semplicemente incontrato sulla strada chi è precluso al dono di Dio e vi si oppone ostinatamente e noi non siamo tenuti a costringerlo a fare il contrario, ma lasciarlo nella libertà sua personale di trastullarsi nelle presunzioni e nelle false certezze, scuotendo anche la polvere dai nostri calzari, ossia evitando che la sua deliberazione possa influenzare in qualsiasi modo anche noi.
In ogni ministero svolto nel nome e per mandato del Signore, occorre quindi agire, mostrare interesse e impegno, ma non pretendere di riscuotere successi in ogni luogo perché i risultati appartengono solo al Padrone nonché Arbitro della storia e del nostro mondo. Noi siamo solo degli strumenti. Oltretutto, se il Signore prevede che non sempre gli esiti siano positivi, evidentemente ciò avviene perché noi consideriamo che appunto è Lui solo artefice della salvezza e che da parte nostra si deve mostrare umiltà.
Ma non abbiamo ancora riflettuto sull'elemento indispensabile necessario affinché l'annuncio di salvezza sia davvero gradito a Dio e confacente alle sue aspettative e questo risiede nella prima frase del brano evangelico odierno: "Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe..." Perché Gesù invita proprio i destinatari dell'annuncio a pregare perché mandi annunciatori del messaggio salvifico alle moltitudini? Come mai non provvede egli stesso ad incrementare il numero dei discepoli missionari, che da 72 potrebbero benissimo diventare anche 200? Evidentemente perché prima di ogni cosa richiede che siano gli stessi annunciatori ad avvertire la necessità del problema della "messe" di Dio; che si rendano essi stessi compartecipi della realtà che il popolo necessita di annunciatori, dal momento che "la fede deriva dall'annuncio" (Paolo); ma soprattutto che considerino che il dono dei ministri è esclusiva del solo Signore e non dipende da alcuna sollecitudine né iniziativa da parte degli uomini. In una parola Dio vuole che il latore di un messaggio edifichi innanzitutto se stesso prima di partire e queste sono le tappe attraverso cui questo è possibile a realizzarsi.

Abbiamo considerato la missione dei settantadue discepoli che vengono istruiti su un contenuto importante da trasmettere e pertanto equipaggiati adeguatamente per tale scopo. Tuttavia le parole rivolte da Gesù a questi 72 uomini non si esauriscono alla cerchia del loro ministero, ma raggiungono anche chi in tutti i tempi è invitato ad esercitare la missione di annuncio di qualsiasi tipo, anche in ordine al lavoro di catechesi, pedagogia, formazione in senso cristiano come pure evangelizzazione presso altri popoli lontani da noi; queste e altre circostanze in cui l'annuncio comporta non di rado contrarietà e delusioni, come pure contrasti e motivi di abbandono e di scoraggiamento, per scongiurare i quali va considerato lo zelo operativo dei settantadue.
Anche noi tutti traiamo coraggio e fiducia dal Signore nella medesima dimensione pedagogica con cui egli istruisce i suoi messaggeri e traiamo vantaggio dalle prerogative e dalle garanzie con cui essi sono avviati e spronati traendo di conseguenza anche noi la dovuta motivazione e l'imput che ci sono necessari.
Sia gli impegni che le promesse che animano i 72 discepoli sono da riscoprirsi in profondità soprattutto ai nostri giorni, quando sembra che la società si aspetti una Chiesa timida e silenziosa al presenziare di delicate questioni sociali come la legittimazione delle unioni omosessuali o le altre forme di convivenza fuori dal matrimonio e le rappresentanze del Magistero ecclesiastico sono di fastidio diventando oggetto di intimidazione e di minaccia quando si esprimano secondo le competenze dell'annuncio etico cristiano... E' indubbio che da parte nostra si debbano rispettare le convinzioni altrui senza imporre a nessuno alcuna forma di condizionamento o di scelta specialmente in ambito politico, ma è riprovevole e ridicolo che si avversino aspramente le istituzioni ecclesiali ogni qual volta proferiscano anche un'opinione o un'idea che verta in senso contrario alle preferenze di molti altri... Ciò è semplicemente allusivo alla malcelata meschinità che sottende nient'altro che un vago senso di timore in quanti si ostinano a misconoscere ogni l'imperativo etico al solo scopo di raggiungere ad ogni costo i propri obiettivi di comodo.
Fatto sta che bisogna sconfessare l'opinione pressocché dilagante per cui la Chiesa sia oggi meno perseguitata che ai tempi dei primi Apostoli; per cui non si può omettere di comunicare la nostra fiducia e il nostro incoraggiamento a chi è reso destinatario di inconsulti atti minatori, giacché proprio questi danno la certezza dell'efficienza del lavoro svolto.
Ma soprattutto ricordare a noi stessi e agli altri che Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. 

Testo di padre Gian Franco Scarpitta
 

tratti da www.lachiesa.it