Seguire Gesù, in modo radicale, disarmati e poveri

News del 26/06/2010 Torna all'elenco delle news

Un cristiano non è innanzitutto qualcuno che "sa", che ha imparato il Vangelo, che conosce la dottrina e acconsente a credere quello che insegna la Chiesa. E non è neppure uno che osserva scrupolosamente una legge religiosa, senza commettere nessun peccato.
Un cristiano è fondamentalmente uno che si è lasciato afferrare dallo Spirito di Dio, che è stato toccato alla radice del proprio essere dal fuoco di un amore e che ha deciso di mettere i suoi passi su quelli di Gesù. Al di là dei discorsi e dei comportamenti, la fede è la storia di un'alleanza d'amore tra Dio e l'uomo. Giorno dopo giorno la grazia di Dio e la libertà umana si coniugano, camminano insieme, operano insieme... per inventare la risposta sempre nuova della fiducia!
Portare il Vangelo, annunciare la Buona Novella, sì, ma in modo "efficace"! Quante volte abbiamo sentito questo aggettivo far capolino nei discorsi di preti e laici, di giovani ed adulti. Efficacia: parola mitica che porta con sé il sogno di una soluzione magica. Sì, perché la parola efficace convince e mobilita; l'azione efficace colpisce ed induce a scelte decise, determinate, coraggiose; i mezzi e le persone efficaci diventano un ingrediente indispensabile per il successo della causa. Efficace, in fondo - diciamolo chiaramente - è solo un termine meno imbarazzante di forza, potere, ricchezza, ma il significato è lo stesso, anche se l'impatto è meno brutale.
Ma è proprio questo lo stile di Gesù? E' questo quello che chiede ai suoi discepoli quando li chiama con sé? Domanda capacità gestionali, astuzia e prontezza nell'uso di mezzi ingenti, li mette alla prova per vagliare la loro abilità nel raggiungere il successo?
A leggere il Vangelo di questa domenica sembra proprio di no. Gli apostoli, del resto, non erano molto diversi da noi e un problema del genere doveva emergere prima o poi.
Ecco un episodio che viene riferito: un villaggio di samaritani, saputo che Gesù sta dirigendosi verso Gerusalemme, gli chiude le porte in faccia. Disappunto dei discepoli e domanda di pronto intervento. "Facciamogli vedere chi siamo!". "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e lo consumi?". Nient'altro che un esempio, un modo "efficace" per dissuadere da simili comportamenti: tutti capiranno la lezione. Ma Gesù non gradisce questo sfogo di potenza. Anzi, li rimprovera.
Ma allora, dirà qualcuno, che cosa esige questo Maestro strano, questo Messia che non approfitta dei suoi poteri, da coloro che vogliono seguirlo?
Chiede di essere come lui. Povero come lui che "non sa dove posare il capo". Disarmati e deboli come lui che non ha un servizio di polizia che lo difenda. Liberi come lui, perché nulla può trattenerlo dal compiere la missione che gli è stata affidata dal Padre, neppure "sua madre e i suoi fratelli". Fiduciosi e determinati come lui che si dirige risolutamente verso Gerusalemme, nonostante l'opposizione crescente dei capi e i rischi che correrà.
Proprio a Gerusalemme - noi sappiamo come andrà a finire - misureremo fino in fondo che tipo di efficacia sia quella di Gesù. Un'efficacia che passa attraverso il fallimanto, l'abbandono, la condanna, la sofferenza, la croce, per arrivare al giorno radioso della risurrezione. Non il fuoco che riduce in cenere gli avversari, ma l'amore che affronta fiducioso anche le prove più terribili si rivela come il vero vincitore della storia. 

Testo di don Mario Campisi 
 

Seguire Gesù senza esitazioni

Gesù intraprende la strada verso Gerusalemme (9,51) con consapevolezza, coraggio e decisione. Ma anche con fatica: «Rese di pietra il suo volto», così il testo greco. Luca ha iniziato il racconto della missione pubblica di Gesù in Galilea con l'episodio del rifiuto dei nazaretani (4,16-30), ora introduce il viaggio verso Gerusalemme ponendo ancora all'inizio un rifiuto, quello dei samaritani. Sembra che l'evangelista voglia porre tutta l'attività di Gesù sotto il segno del contrasto e del rifiuto. Gesù è rifiutato dai samaritani per un motivo politico e razziale, a lui del tutto estraneo. Gesù ha provato personalmente che cosa significhi vedersi negare l'ospitalità perché straniero, ma all'intolleranza dei samaritani Egli non risponde – come avrebbero voluto i discepoli – con un castigo, bensì con la comprensione. Da rimproverare sono piuttosto i discepoli, che ancora non hanno capito la novità del Maestro, a loro volta prigionieri di quegli stessi pregiudizi che ora tanto li offendono.
Lungo la strada un uomo chiede a Gesù di volerlo seguire. L'uomo è già consapevole che la sequela comporti una vita itinerante: «Dovunque andrai». Ma c'è qualcosa in più che deve sapere: non semplicemente la povertà gli è richiesta, né semplicemente la fatica di una vita pellegrinante, ma l'insicurezza e la precarietà. Un secondo breve dialogo è fra Gesù e un uomo che egli stesso invita alla sequela. Di fronte alla richiesta di Gesù («seguimi») quest'uomo chiede una dilazione. La risposta di Gesù è drastica: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti». L'annuncio del Regno viene prima di tutto, senza eccezioni: viene anche prima della legge. Con questo Gesù non intende qui abolire un dettato della legge, né correggerla. Afferma però che è giunto qualcosa che la supera. È venuto il Regno di Dio, il cui primato non ammette dilazioni. Certamente si tratta di un linguaggio paradossale. Non è questione di seppellire o no i propri cari. È questione di accorgersi che è arrivata una novità che tutto fa impallidire.
Un altro sconosciuto è disposto a seguire Gesù ma chiede il tempo di salutare quelli di casa. Il verbo greco significa salutare e lasciare. Gesù risponde con una specie di proverbio: «Chi ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, non è adatto per il regno di Dio». Se il contadino vuole arare ha diritto, non può però permettersi di guardare indietro. In altre parole, la sequela non sopporta rinvii, né distrazioni, né nostalgie, né uscite di sicurezza. 

Testo di don Bruno Maggioni
tratti da www.lachiesa.it