Eucaristia, cibo di verità nel deserto dell’anima e della storia

News del 05/06/2010 Torna all'elenco delle news

Il trasferimento della solennità del Corpus Domini alla domenica non ha fatto perdere l'importanza e l'incidenza che tale festa ha nelle comunità cristiane italiane. In particolare la tradizionale processione del SS. Sacramento per le principali vie delle nostre città è sentita e conservata, tanto da convocare intorno a questo atto di culto eucaristico moltissimi fedeli, diversi dei quali bambini e soprattutto quelli che in questi giorni hanno ricevuto la Prima Comunione. In altre parti del mondo, e nello stesso Vaticano, il Corpus Domini è rimasto al Giovedì.
La Solennità del Corpus Domini si celebra anche nel contesto della riflessione che la Chiesa Cattolica porta su tale fondamentale sacramento in seguito alla pubblicazione dell'esortazione post-sinodale di Papa Benedetto XVI, "Sacramentum caritatis", nella quale viene abbondantemente trattato l'aspetto teologico, liturgico e pastorale della SS. Eucaristia. Da questa nuova e ricca fonte di insegnamento magisteriale sul Sacramento dell'Altare attingiamo i contenuti essenziali per vivere questa domenica del Corpus Domini con un animo rinnovato nella fede e nel culto verso l'Eucaristia.
"Nel Sacramento dell'altare, -scrive Benedetto XVI - il Signore viene incontro all'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,27), facendosi suo compagno di viaggio. In questo Sacramento, infatti, il Signore si fa cibo per l'uomo affamato di verità e di libertà. Poiché solo la verità può renderci liberi davvero (cfr Gv 8,36), Cristo si fa per noi cibo di Verità.... Nel sacramento dell'Eucaristia Gesù ci mostra in particolare la verità dell'amore, che è la stessa essenza di Dio. È questa verità evangelica che interessa ogni uomo e tutto l'uomo. Per questo la Chiesa, che trova nell'Eucaristia il suo centro vitale, si impegna costantemente ad annunciare a tutti, opportune importune (cfr 2 Tm 4,2), che Dio è amore (4). Proprio perché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, la Chiesa si rivolge all'uomo, invitandolo ad accogliere liberamente il dono di Dio".
Cogliamo questi contenuti nei testi biblici che proclamiamo oggi durante la celebrazione eucaristica come Parola di Dio, proposta all'assemblea che si riunisce per il Giorno del Signore, Pasqua settimanale, il cui centro è appunto la celebrazione eucaristica. Il testo della Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi ci ricorda l'istituzione dell'eucaristia e come questa istituzione e prassi liturgica e sacramentale della primitiva comunità ecclesiale veniva vissuta, trasmessa e colta nella sua essenza più profonda: "Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga".
Il testo del Vangelo di Luca che ascoltiamo ci presenta invece il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, operato da Cristo per le necessità materiali della grande folla che lo seguiva e sentiva la necessità di ascoltare la sua parola. Egli, di fronte al bisogno delle persone, viene incontro a loro e le aiuta con il gesto più naturale che è quello di dare il cibo necessario per la sopravvivenza fisica e di conseguenza anche spirituale. "In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta". Gesù disse loro: "Dategli voi stessi da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: "Fateli sedere per gruppi di cinquanta". Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste".
E' interessante evidenziare come questo pane di sostegno materiale e spirituale venga concesso in abbondanza, tanto da avanzarne moltissimo, in una zona ambientale e geografica priva di ogni cosa, deserta, come evidenzia il testo del Vangelo di Luca. Quindi zona dove altre fonti per ristorare la gente e possibilità di reperire cibo e bevande vari non ci sono. Gesù in tale deserto si fa cibo e cibo indispensabile per la comunità dei credenti dando ad essa la forza di riprendere il cammino. Rifocillati da questa forza materiale, ma anche spirituale, perché ogni aiuto che viene da Dio ingloba in se non solo ed esclusivamente benefici temporali e temporanei, ma soprattutto spirituale perché testimoniano la presenza di Dio nella vita dell'uomo, specie nei momenti di necessità e di bisogno. Gesù è il Sacerdote che consacra e moltiplica il pane della verità, dell'amore e della fraternità in questo contesto. Egli sarà l'unico, vero ed eterno sacerdote nel Giovedì Santo quando istituisce il sacramento della carità e soprattutto quando offre la sua vita per l'intera umanità sull'altare della Croce.
La prefigura di tutto questo la troviamo riportata nel testo del Libro della Genesi, che ascoltiamo come prima lettura oggi e riferito al sacerdote Melchisedek: "In quei giorni, Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: "Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici".
Abram gli diede la decima di tutto".
Non possiamo non considerare come importante ai fini della nostra personale riflessione e meditazione sulla giornata odierna il testo della sequenza del Corpus Domini, nel quale viene detto con grande semplicità ed utilizzando immagini a noi care e familiari il senso di una celebrazione: "Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non dev'essere gettato. Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell'agnello della Pasqua, nella manna data ai padri. Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi". Il Santo Padre Benedetto XVI così ha detto nell'omelia della Solennità del Corpus Domini di quest'anno: "La Sequenza, nel suo punto culminante, ci ha fatto cantare: "Ecce panis angelorum, / factus cibus viatorum: / vere panis filiorum - Ecco il pane degli angeli, / pane dei pellegrini, / vero pane dei figli". E per la grazia del Signore, noi siamo figli. L'Eucaristia è il cibo riservato a coloro che nel Battesimo sono stati liberati dalla schiavitù e sono diventati figli; è il cibo che li sostiene nel lungo cammino dell'esodo attraverso il deserto dell'umana esistenza. Come la manna per il popolo d'Israele, così per ogni generazione cristiana l'Eucaristia è l'indispensabile nutrimento che la sostiene mentre attraversa il deserto di questo mondo, inaridito da sistemi ideologici ed economici che non promuovono la vita, ma piuttosto la mortificano; un mondo dove domina la logica del potere e dell'avere piuttosto che quella del servizio e dell'amore; un mondo dove non di rado trionfa la cultura della violenza e della morte. Ma Gesù ci viene incontro e ci infonde sicurezza: Egli stesso è "il pane della vita" (Gv 6,35.48).
Con questo pane vogliamo saziarci ogni giorno per essere più santi e capaci di amare e perdonare, per fare luce nella nostra vita e in quello del nostro tempo, assetato di verità, pace e giustizia. 

Testo di padre Antonio Rungi 

 

Il deserto non è la mancanza di cose, ma l'incapacità di vedere oltre.

Con la solennità del Ss. Corpo e Sangue del Signore (Corpus Domini) si arriva all'apice delle feste che hanno prolungato, con tre tonalità diverse, il tempo di Pasqua. L'evangelista Luca pone la scena nel deserto. Ma sapendo che il Vangelo non si limita a raccontarci la cronaca ma porta sempre in sé un messaggio, il deserto in questione ben presto si svelerà come l'aridità e la cecità dei discepoli al seguito di Gesù.

È una gente affamata di senso quella che ricerca Gesù, lo segue, si informa sui suoi spostamenti. Gesù avverte questa richiesta che proviene dal popolo e lo accoglie in cuor suo. La prima fame e sete dell'uomo è di non essere solo, di aver qualcuno con cui condividere, parlare, ridere e piangere. Proprio perché, come dice la Genesi, l'uomo è creato per la relazione ed è bene che non stia solo. Gesù non chiede il perché della sequela della folla verso di lui; non chiede spiegazioni e non cerca motivazioni. Egli annuncia loro il Regno del Padre e guarisce chi è malato. Sarà il condividere e lo stare con loro che farà emergere tutto ciò. Da questo atteggiamento – tutt'altro che secondario –viene da pensare all'approccio con chi si avvicina alla fede cristiana, a chi ritorna dopo anni in parrocchia, a chi se ne è andato da essa sbattendo la porta e ora è proprio il sacramento del figlio a riavvicinarlo.

È umanamente e spiritualmente attrezzato il sacerdote di oggi ad accogliere e a guarire come il suo Maestro? È una domanda che riflette lo scontento che a volte una persona si trova a dover gustare nell'incontro con chi è chiamato, per vocazione, a "dar loro da mangiare". Non si può congedare con poche battute o con risposte dottrinali e cattedratiche chi cerca di ripartire, di ritrovare un senso (grazie alla fede) alla propria vita. Ma è bene essere chiari: tutto ciò, da parte del sacerdote, richiede tempo, capacità alta di ascolto, condivisione di dolori e gioie assieme a chi le racconta. I discepoli indicano a Gesù una soluzione di comodo e di non coinvolgimento: "Congeda la folla perché vada". I primi ad aver bisogno dell'accoglienza e della guarigione di Gesù sono proprio i suoi discepoli. La vicinanza al Maestro non è garanzia di condivisione perché questa è un'altra cosa.

La condivisione è il darsi con amore e gratuità senza fare calcoli. "Dategli voi stessi da mangiare": è lapidario e deciso Gesù, quasi come una forbice che recide una radice malata affinché non si ammali tutta la pianta. Non è un caso che San Giovanni della Croce arriva a dire che si sarà giudicati sull'amore. L'amore dato è cibo che nutre. Quando esso è troppo pensato e ragionato lascia a digiuno. Ed infatti i discepoli cadono nella morsa del calcolo "non abbiamo che cinque pani e due pesci"; è la mentalità che pensa al singolare. Gesù comprende che i primi ad essere a digiuno sono proprio i suoi discepoli ed è per questo che li invia alle folle dicendo loro di dividersi in gruppi. La fame di un singolo è ampliata quando viene lasciato solo. In quel "a gruppi di cinquanta" c'è la chiave del digiuno interiore. È necessario sedersi perché la mensa che il Signore sta preparando porta il nome di Eucaristia.

In questo periodo in cui si celebra in molte parrocchie il sacramento dell'Eucaristia, donata per la prima volta ai bambini, si valorizzi in tutte le sue forme e parti questa preziosa occasione data alla comunità, al bambino, alla famiglia. Non è rito magico e tanto meno un concentrato di emozioni sentimentaliste quello che si compie nel bambino che riceve per la prima volta il Corpo e Sangue di Gesù. Si aiuti in modo particolare la famiglia e la comunità tutta a vivere questa tappa della vita cristiana con grande fede e con profonda preghiera. C'è il rischio di uscire di chiesa e avere ancora fame perché non si è cercato il pane dell'intimità, della preghiera con Dio e del nutrimento della Parola, ma la "bella cerimonia" ha prevalso su tutto. Rimane pur vero e valido che l'espressione dei sentimenti vuole il suo spazio e visibilità, senza ridurre il tutto a quel giorno dimenticando che il giorno dopo si avrà ancora fare. "Ne portarono via dodici ceste".

Testo di don Giacomo Ruggeri