QUANDO LA FEDE è guarire dal vuoto dell'azzardo: la testimonianza del catecumeno Angelo Barresi
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Quando la fede è guarire dal vuoto di una vita finita nelle sabbie mobili dell'azzardo.
Quella di Angelo Barresi, battezzato a 47 anni lo scorso 30 ottobre in Cattedrale insieme a suo fratello Francesco, era una vita divorata dalle scommesse, un gioco divenuto incontrollabile e patologico, che si era ormai impadronito di ogni suo pensiero e di ogni suo respiro. Il gioco è stato l’unica ragione della sua esistenza per quasi metà della sua pur giovane vita. Oltre il lavoro, nelle sue giornate non c’era più spazio per altro che per le scommesse. Più che mai per lui il cammino di fede compiuto nel catecumenato è stato uscire dal gorgo nel quale era stato risucchiato e rinascere a vita nuova.
Racconta Angelo, partendo dall’inizio: «i nostri genitori, di fede cattolica, ci hanno lasciati liberi di trovare ognuno la propria strada da grandi». Angelo ha cercato di fare la sua scelta nel confronto tra esperienze diverse. «C’è stato un periodo della mia vita, dai 20 ai 27 anni, in cui ho cercato di trovare la verità, andavo sporadicamente in chiesa, mi sentivo anche affascinato da quello che diceva mia zia testimone di Geova e sono andato alle adunanze. Ma poi ho abbandonato tutto per il gioco. Tutte le altre cose sono scomparse».
È qui che la vita di Angelo si è «spezzata» - e continua - «Quando uno inizia è per gioco, poi viene la patologia. Dai 27 anni in poi non sono riuscito più a controllarla, ho perso la gioia di vivere perché pensavo solo al gioco. Ho perso tutto, tranne il lavoro, perché superava il vizio del gioco. Non uscivo più con gli amici perché mi interessava solo vedere le partite. Anche quando uscivo con loro, mi appartavo per vedere le partite. L’adrenalina che mi dava il gioco era superiore a tutte le altre. Non riesci a uscirne perché il vizio a poco a poco si radica dentro. Anche la comprensione dei genitori è difficile, ma loro, me ne accorgo solo ora, mi hanno sempre aiutato». Ad Angelo il sostegno e l’affetto della famiglia, nonostante tutto, non sono mai mancati.
«Ho trascorso 20 anni così, a preoccuparmi di trovare i soldi per il gioco. Mi facevano credito perché sapevano che ero una persona di sani principi, mi impegnavo nel lavoro per i soldi che mi servivano, ho perso, anche tanto, e poi cercavo di vincere per recuperare. A un certo punto vincere 200 euro non ti gratifica, vuoi sempre più soldi, non c’è più controllo. Ero sempre nervoso, agitato, non dormivo la notte per i pensieri, avevo alcuni momenti di lucidità, ma non riuscivo a uscirne. Ho lottato 20 anni, forse più, con questo demone che c’era dentro di me. Perdere tutti questi anni della mia vita non è normale, me ne sto accorgendo ora che sono guarito».
La “guarigione” per Angelo, è iniziata il giorno in cui si è ritrovato nella Chiesa di S. Maria della Candelora, quella chiesa davanti alla quale per più di 20 anni era sempre passato per andare a giocare le sue schedine, senza mai fermarsi. «Una domenica stavo andando a giocare la schedina e ho sentito una forza che mi spingeva ad entrare in chiesa. Quando sono entrato in chiesa mi sentivo bene, come rinato, qualcosa che non so descrivere. Sono rimasto lì una mezzoretta e dopo quella prima volta ci sono ritornato ogni domenica. Da lì è partito tutto, è nato qualcosa in me, Il mio cuore si è aperto, è scattato l’impulso a cambiare. Dopo due mesi ho deciso di curarmi, di incontrare uno psicologo per trovare una soluzione alla mia patologia. Il mio cuore era predisposto a cambiare e con l’aiuto di tutti ci sono riuscito. I miei genitori sono stati fondamentali, non ce l’avrei fatta senza il loro aiuto».
È partito da lì anche il «bisogno di un percorso di fede» per Angelo, secondo una strada che sembrava tracciata apposta per lui, con il vento favorevole: «quando ho deciso di cambiare, era come se fosse quella la direzione da seguire, come se un filo conduttore legasse gli eventi, un passo dietro l’altro, e ho iniziato a frequentare anch’io, insieme a mio fratello Francesco, il cammino di preparazione ai sacramenti».
«Penso che era il mio cuore che era chiuso, ma il Signore mi parlava» - dice adesso Angelo con piena consapevolezza. Quella Mano tesa, mentre stava per affondare, quella carezza del Padre che ama i suoi figli, quel sentirsi chiamato per Nome, gli hanno dato «la forza interiore di ripartire da zero, la volontà e la determinazione» di uscire da una non vita. È qui che attinge ancora «il coraggio per affrontare tutte le difficoltà e per affrontare il futuro con una forza interiore immensa, perché si deve avere» ci tiene a puntualizzare.
«La dipendenza schiavizza la vita, la fede è stata la mia libertà»: riassume così, in due battute, la sua storia, e aggiunge: «è la prima volta che la racconto, perché spero che possa aiutare altri. Spero che questa mia testimonianza serva a qualcun altro per uscirne, perché è peccato perdere la vita così».
In questo percorso di fede Angelo ha ritrovato con la sua vita anche il suo più caro amico, che il giorno del suo battesimo in Cattedrale gli ha fatto da padrino: Antonino Lorenzo Laganà era un suo compagno di scuola ma sono rimasti molto legati anche dopo il diploma. «Ci sentivamo ogni tanto, mi è stato sempre vicino ma da quando ho iniziato a curarmi ci siamo riavvicinati. Mi ha reso partecipe del suo cambiamento avvenuto attraverso il suo riavvicinarsi alla chiesa, che prima anche lui seguiva sporadicamente: mi ha aiutato a capire molte cose, andiamo insieme a messa e alle catechesi». Anche lui, riconosce adesso Angelo, con una lucidità che rilegge la sua storia con gli occhi della fede, «è stato una pedina in questo disegno che mi ha portato al mio passo verso il battesimo».
Anche l’amicizia, in questa storia, è stato un ingrediente fondamentale. Antonino afferma infatti che per lui «è stato proprio un dono il fatto di essere stato scelto per accompagnare Angelo in questo percorso. È stata la prima volta ma mi sentivo pronto: ho avuto la possibilità di trasformare l’amicizia in qualcosa di più, cercando di fargli conoscere quello che Gesù è per noi, nella nostra vita, e trasferendo la “teoria” nella vita di tutti i giorni. Se anche io fossi rimasto quello di prima non mi sarei messo in gioco, ma Gesù ha trasformato anche me e adesso attraverso questo confronto con Angelo posso cambiare anche il mio aspetto interiore. Bisognerebbe partire da questo: inculcare a quelli che ci stanno vicino quello che ci insegna Gesù, possiamo anche andare a messa per routine, ma quello che conta è sentire le letture nella propria vita, metterle a confronto sul campo».
di Antonia Cogliandro (LEGGI SU su www.avveniredicalabria.it)