Nell'Ascensione del Signore la meta finale della nostra esistenza

News del 15/05/2010 Torna all'elenco delle news

Con la liturgia della Solennità dell'Ascensione del Signore al Cielo, siamo chiamati a fissare il nostro sguardo oltre i confini dell'universo e a collocarlo nell'eternità. Questa festa cristiana, infatti, che chiude il lungo periodo della Pasqua durante il quale ci siamo messi in ascolto del Risorto, è un forte appello ad andare oltre il tempo e pensare la nostra vita in un futuro che non è di oggi, ma che sarà di sempre e permanente. Il futuro della città di Dio, della Gerusalemme celeste che comunque ci impegna a vivere nella città dell'uomo, nel tempo, con la stessa dinamicità che è ipotizzabile nell'eternità.
I testi biblici di questa giornata certo ci aiutano a capire il senso di questo partire di Cristo, del suo ritorno al Padre, per sempre e nella stessa realtà misteriosa da cui era provenuto, ma con la differenza sostanziale che Cristo entra nella sua gloria con l'umanità redenta con la sua morte in croce e la risurrezione. E' Cristo, vero uomo e vero Dio che ritorna al Padre, dopo aver compiuto perfettamente la sua missione ed aver iniziato una nuova storia, quella della salvezza eterna, per tutto il genere umano, dalla quale non si può prescindere se vogliamo giudicare realisticamente e oggettivamente ciò che è avvenuto nel mondo da oltre 2000 anni. Gesù Cristo, redentore dell'uomo, non è una parentesi storica, né un avvenimento passato nel silenzio; anzi la sua presenza nel tempo ha segnato la storia e soprattutto ha segnato d'amore la vita dell'uomo. Il suo passaggio, per quanto breve nel tempo, su questa terra è stato un passaggio di Dio che ha condiviso dell'uomo tutto, tranne il peccato, a partire dalla sofferenza, dalla povertà, dal rifiuto e dall'emarginazione, per poi vivere anche esperienze di gioia, amore, condivisione, amicizia ed amore sincero. Un Dio fatto uomo, per fare dell'uomo un figlio di Dio redento nell'amore e per amore. La comunità dei credenti, riuniti oggi nella santa assemblea così prega, all'inizio della celebrazione eucaristica: "Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria".
L'Ascensione del Signore è la festa della Speranza, perché tra le vicende non sempre liete di questo mondo noi abbiamo chiara la meta finale, verso la quale siamo indirizzati: quella di raggiungere il nostro Capo nella gloria. Questo è l'unico vero capo con il quale vale la pena compromettersi in questo mondo e soprattutto per l'eternità. Davanti ad una cultura sempre più cercatrice di speranze in questo mondo, riponendole nelle mani di uomini o della scienza, dell'economia e del progresso, della giovinezza, della bellezza, dell'efficienza, c'è da interrogarsi come cristiani quali tipi di messaggio, con la vita e la parola, trasmettiamo agli altri, al di sopra delle righe dai nostri apparenti modi di vivere in sintonia con la propria fede e la propria vocazione. C'è una ricerca spasmodica di leaders in ogni campo che esprimano soprattutto la superficialità e non la coerenza, il buonismo a buon mercato e non la fedeltà alle proprie scelte di vita; mentre il mondo ha bisogno di capi che siano soprattutto santi e coraggiosi nel lottare contro tutto ciò che espressione di egoismo ed appiattimento verso il basso. Quel basso che sempre più rappresenta ed esprime il livello morale più degradato perché compromesso con il potere, il soldi e i piaceri di ogni genere, che facilmente sale sul carro dei vincitori per sfruttare la vittoria a proprio vantaggio e soprattutto a danno degli altri.
Gesù è il Capo vero che offre la vita per i suoi discepoli, per i suoi amici. Essere degni di sedere a fianco a questo Capo significa camminare in santità di vita, fino al martirio. In questa ottica è di conforto a ciascuno di noi il testo degli Atti degli Apostoli che ascoltiamo oggi e che ci descrive il momento dell'ascensione del Signore al cielo: "Nel mio primo libro ho già trattato, o Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre "quella, disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni". Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: "Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?". Ma egli rispose: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra". Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo". Nel brano troviamo significativi motivi di riflessione e meditazione circa il dono dello Spirito Santo, la missione di battezzare, evangelizzare andando a predicare il Vangelo fino agli estremi confini della terra, di farsi testimoni di Cristo con il coraggio della fede che la grazia sostiene e potenzia quotidianamente, della seconda e definitiva venuta di Dio tra gli uomini al termine della storia e della prima creazione.
Ulteriori motivi di riflessione e meditazione su questi temi dottrinali e teologici troviamo nel brano della Lettera agli Ebrei, molto esplicito al riguardo: "Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore, e non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote che entra nel santuario ogni anno con sangue altrui. In questo caso, infatti, avrebbe dovuto soffrire più volte dalla fondazione del mondo. E invece una volta sola, ora, nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso. E come è stabilito che gli uomini muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio, così Cristo, dopo essersi offerto una volta per tutte allo scopo di togliere i peccati di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione col peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza. Avendo dunque, fratelli, piena fiducia di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, per questa via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne; avendo noi un sacerdote grande sopra la casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero in pienezza di fede, con il cuore purificato dalla cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso". L'invito alla purificazione della coscienza per entrare nel Regno di Dio ci viene ribadito anche in questa circostanza. Quante persone vivono in situazione di compromesso con la coscienza, hanno una coscienza cattiva e vivono per fare cattiverie a se stessi e agli altri; quanti si giustificano comportamenti evidentemente immorali nel privato e magari appaiono santi in pubblico. Lavare la coscienza dalle proprie colpe è il primo passo verso una purificazione vera che richiede tempo, soprattutto quando il male si è insinuato fortemente in noi ed è cresciuto come un fungo.
Il breve brano del Vangelo di Luca ci porta nuovamente a riflettere sul mistero della gloria del Signore che si rivela nella sua ascensione al cielo. E' da sottolineare in questo brano l'impegno degli apostoli nella preghiera dopo l'ascensione del Signore. La gioia di sapere che Dio comunque è vicino, anche se apparentemente lontano, oltre le nostre umane possibilità, ti fa scoprire l'importanza della preghiera che è un mezzo per avvicinare Dio a te e tu a Dio. I cristiani hanno questa grande opportunità ogni giorno ed ogni momento della loro vita, quella di farsi prossimo a Dio mediante la preghiera che non è altro immergersi nella sua volontà e sentirla come unica via di salvezza per se stessi e per gli altri. 

Testo di padre Antonio Rungi


Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo

Contempliamo il mistero di Gesù che "ascende" al cielo. I discepoli gli avevano chiesto se era finalmente venuto il momento in cui lui avrebbe ricostituito il regno di Israele. Era una domanda importante, come a dire: "Possiamo finalmente non preoccuparci più? Abbiamo vinto una volta per tutte il male? Quando dimostri definitivamente che sei tu il Messia?". Non era la prima volta che chiedevano a Gesù se era giunto il momento in cui tutto si sarebbe manifestato e si sarebbe chiarita ogni cosa. In questa domanda c'è forse il desiderio pigro di non dovere faticare più contro la divisione e le difficoltà, ma anche l'attesa di discepoli deboli e incerti di fronte a un mondo ostile, segnato dal male. È una domanda che si affaccia particolarmente quando vediamo il male abbattersi accanto a noi. Quando vincerà l'amore e la morte sarà sconfitta per sempre? Quando le lacrime degli uomini saranno asciugate? Gesù non risponde a questa domanda dei suoi. Noi capiamo così poco della vita che facilmente la riduciamo a quello che capisco io, alle mie cose, a quello che io provo. La vita, sembra suggerire Gesù, è ben più grande, e non spetta certo a noi conoscerne i tempi ed i momenti! Ma il Signore non lascia soli e promette la forza vera, quella dello Spirito di amore che scende sui discepoli.
Gesù è salito nel santuario del cielo, un santuario non fatto da mani d'uomo, come invece sono le nostre chiese. Eppure ogni volta che celebriamo la santa liturgia siamo come coinvolti nel mistero stesso dell'Ascensione. Ogni domenica, quando entriamo nelle nostre chiese, non siamo accolti alla presenza di Dio? Non viviamo assieme a Gesù il mistero dell'ascensione? Dall'ambone, come dal monte, egli parla ai suoi e li benedice. E la nube che lo avvolse nascondendolo agli occhi dei suoi, non è simile forse alla nube d'incenso che circonda l'altare e che avvolge il pane santo e il calice della salvezza mentre vengono elevati al cielo?
L'ascesa di Gesù al cielo non vuol dire che egli si sia allontanato dai discepoli. Significa piuttosto che egli ha raggiunto il Padre e si è assiso accanto a lui nella gloria. Ascendere perciò vuol dire entrare in un rapporto definitivo con Dio. In alto, non è da intendere in senso spaziale, oppure, se così vogliamo intenderlo, significa che Gesù è presente ovunque: come il cielo ci copre e ci avvolge, così il Signore ascendendo al cielo ci copre e ci avvolge tutti. Gesù ascendendo al cielo avvolge e copre tutta la terra, così come il cielo avvolge tutta la terra. Non è, quindi, un allontanarsi; semmai è un avvicinarsi più ampio e coinvolgente. Se così non fosse non si comprenderebbe la gioia dei discepoli. Com'è possibile gioire mentre il Signore si allontana? Eppure scrive Luca: "Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia". Gli apostoli non solo non sono tristi per la separazione, addirittura sono pieni di gioia per una nuova pienezza di presenza di Gesù.
Cos'è accaduto? Quel giorno i discepoli hanno vissuto una profonda esperienza religiosa; hanno cioè sperimentato che il Signore era ormai definitivamente accanto a loro con la sua Parola e con il suo Spirito; una vicinanza certo più misteriosa, ma forse ancor più reale di prima. Senza dubbio sono tornate loro in mente le parole che avevano sentito da Gesù: "dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro" (Mt 18,20). In quel giorno dell'ascensione le compresero fino in fondo: in qualunque parte della terra, in qualunque epoca, in qualunque ora si fossero radunati assieme due o più discepoli del Signore, Egli sarebbe stato in mezzo a loro. Da quel momento in poi la presenza di Gesù sarebbe stata ancor più larga nello spazio e nel tempo; per sempre avrebbe accompagnato i discepoli, dovunque e comunque. Da qui il motivo della grande gioia. Nessuno al mondo avrebbe ormai potuto allontanare Gesù dalla loro vita. Questa gioia dei discepoli è ora la nostra gioia.
Il cielo sembra una dimensione poco concreta, lontana, quasi un sogno irraggiungibile, che può incantare per la sua bellezza, ma che non ha niente a che fare con le nostre scelte concrete. La vita terrena sembra una cosa e quella del cielo totalmente un'altra. In realtà c'è una continuità della vita. Lo stesso Signore Gesù risorto non appare ai suoi con un corpo nuovo e perfetto ma con quel suo stesso corpo segnato dalla storia, dalla violenza. Gesù risorto, uomo della terra e del cielo, non è un fantasma, anche se il più bello. La concretezza di Gesù risorto stabilisce proprio questo legame tra la vita della terra e quella del cielo. L'apostolo Paolo afferma con solennità nella lettera ai Colossesi che "è piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli" (Col 1,19-20). L'Ascensione ci mostra qual è il futuro che Dio ha riservato ai suoi figli. È il cielo raggiunto da Gesù dove, come aveva detto, va a prepararci un posto, perché siamo anche noi dove è lui. E lui ci prende da oggi con sé. I discepoli di Gesù non hanno risolto tutti i loro problemi: sono uomini deboli, increduli, pieni di paura. Ma possiamo essere testimoni di questo amore sempre e fino ai confini della terra. Cioè a tutti, anche a quelli che non consideriamo o che ci sentiamo in diritto di trattare male. Troveremo un po' di cielo nella vita di ognuno e saremo anche noi uomini del cielo. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia
 
tratti da www.lachiesa.it