Gettate la rete

News del 17/04/2010 Torna all'elenco delle news

Nesso tra le letture


La figura centrale delle letture di questa domenica è Cristo risorto, che appare agli apostoli sulla riva del lago. Simon Pietro prende l´iniziativa e va a pescare e gli altri apostoli lo seguono.
Proprio loro, che pure erano esperti nell´arte della pesca, trascorrono l´intera notte senza prendere niente. All´alba, odono la voce di uno sconosciuto che li chiama dalla spiaggia, invitandoli a gettare la rete sul lato destro: ´Quando già era l´alba Gesù si presentò sulla rivaª (Gv 21,4). L´evangelista precisa che quella notte ´non presero nullaª (Gv 21,3), e aggiunge che non avevano nulla da mangiare. All´invito di Gesù: ´Gettate la rete dalla parte destra della barca e trovereteª (Gv 21,6), obbedirono senza esitazione. Pronta fu la loro risposta e grande la loro ricompensa, perché ´gettarono [la rete] e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesciª (Gv 21,6), la stessa rete che era rimasta vuota nella notte. Fu lo sguardo acuto di Giovanni a scoprire che si trattava del Signore (Vangelo).
Nella prima lettura contempliamo gli Apostoli che danno testimonianza della resurrezione del Signore con coraggio e si ritengono degni di soffrire per il nome di Gesù (prima lettura). Il libro dell´Apocalisse manifesta la lode e l´onore che si deve all´Agnello sacrificato (seconda lettura). Egli ha conseguito il trionfo per mezzo della sua umiliazione.

Il comando di Cristo a Pietro: pasci le mie pecorelle. Gesù risorto appare ai suoi Apostoli sulle rive del lago di Galilea. È un´apparizione nella quale traspare l´amore e l´affetto che Gesù nutre per i suoi apostoli. Qui risulta espresso più chiaramente quanto il Signore desideri "consolarli" tutti quanti, ma in modo particolare Pietro, tanto ferito nell´animo dal suo triplice rinnegamento. Gesù osserva Pietro con uno sguardo di benevolenza e lo conferma nel suo compito di fronte alla Chiesa. Gli chiede di amarlo di più. Gli chiede, nonostante la sua umana fragilità, di fidarsi della grazia divina e di intraprendere con ardore il grande compito della predicazione del vangelo e dell´estensione della Chiesa. Pietro nota che quelle parole, come olio su una ferita, venivano a lenire e guarire il suo cuore pentito e ferito. Forse avrà rammentato quelle altre parole: ´io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelliª (Lc 22,31-32).
Nel XXV anniversario della sua elevazione al soglio pontificio, il papa Giovanni Paolo II commentava questo passaggio con un accento affettuoso: ´Oggi, cari Fratelli e Sorelle, mi è gradito condividere con voi un´esperienza che si prolunga ormai da un quarto di secolo. Ogni giorno si svolge all´interno del mio cuore lo stesso dialogo tra Gesù e Pietro. Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo" (Gv 21,17). E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidatoª (Giovanni Paolo II, Omelia del 16 ottobre 2003, XXV anniversario di pontificato).

La fede scopre Gesù risorto. Questa scoperta la fa Giovanni. La fa in base a quello che sta vivendo: una pesca infruttuosa, uno sforzo vano, uno sconosciuto che appare all´orizzonte, un´indicazione, un frutto... Le trasformazioni della nostra vita possono essere così: molto sacrificio, poca pesca, un comando del Signore, una pesca inattesa... È il Signore! Scoprire che è il Signore colui che sta guidando la barca della Chiesa, che è il Signore colui che dice a me di tirar su le mie reti, che è il Signore che mi invita a pranzare con lui, che è il Signore che mi chiede di camminare sulla spiaggia. È il Signore! La mia vita apostolica, la mia missione nella vita è la mia vita nel Signore. Giovanni ci svela quella sensibilità della fede che sa scoprire nelle trasformazioni della vita la presenza e l´azione salvìfica di Gesù risorto.
La scoperta di Giovanni è magnifica, e cambia immediatamente tutta la situazione. Passa da una notte infruttuosa e piena di fatica ad un´esperienza gioiosa di Cristo presente; giunge all´esperienza di Cristo che agisce sui compiti e sulle reti degli apostoli. Nella vita dell´apostolo ci sono a volte notti apparentemente infruttuose, potenziali fallimenti, momenti di intenso dolore e di vuoto, ma per il cristiano quei momenti sono solo come presagi dell´arrivo di Cristo risorto, sono solo momenti che, uniti a Cristo paziente, ci indirizzano verso l´esperienza di Cristo trionfante. In ogni caso, l´importante è perseverare nel bene, perseverare nel lavoro apostolico fatto per amore e con purezza d´intenzione. Mai arrancare o abbandonare. L´importante è ravvivare la fede, per scoprire che il Signore resta sempre sulla riva del lago per dialogare con me e invitarmi nuovamente alla pesca.
L´esperienza di Giovanni, che riconosce il Signore, è quella che lo sostiene nel suo camminare, è quella che lo porta a verificare che Dio è amore e che dobbiamo amarci gli uni gli altri, come l´evangelista scriverà più tardi nelle sue lettere. In più, possiamo dire che le notti sono necessarie, che i momenti di apparente fallimento sono indispensabili, perché provano la fedeltà dell´apostolo, la purificano, l´affinano; evidenziano se quell´apostolo opera fidando solo in se stesso, o se tutta la sua speranza è riposta solo nel Signore. Le notti sono necessarie, perché sono come le dita di Dio, che modellano il cuore dell´uomo e lo alleggeriscono del peso che lo trattiene e degli affetti disordinati del cuore.

Il buon pastore offre la vita per le pecoreª (Gv 10,11). ´Mentre Gesù pronunciava queste parole, gli Apostoli non sapevano che parlava di se stesso. Non lo sapeva nemmeno Giovanni, l´apostolo prediletto. Lo comprese sul Calvario, ai piedi della Croce, vedendolo offrire silenziosamente la vita per "le sue pecore". Quando venne per lui e per gli altri Apostoli il tempo di assumere questa stessa missione, allora si ricordarono delle sue parole. Si resero conto che, soltanto perché aveva assicurato che sarebbe stato Lui stesso ad operare per mezzo loro, essi sarebbero stati in grado di portare a compimento la missioneª (Giovanni Paolo II, Omelia del 16 ottobre 2003, XXV anniversario di pontificato).
Effettivamente, solo perché il Signore ci ha assicurato la sua compagnia, la sua presenza, il suo amore, possiamo, proprio come i primi apostoli, slanciarci nella vita a compiere il mandato missionario, per compiere la missione di annunciare agli uomini il Regno di Dio. E pastori sono i vescovi, sono i sacerdoti, sono i religiosi e le religiose, ma pastori sono anche, al loro proprio livello, i genitori, che devono dare la vita per i loro figli; gli insegnanti, che alimentano con la verità i loro alunni; tutti gli uomini che sanno di avere una missione nella vita, una missione che va oltre loro stessi. L´uomo, essendo l´unica creatura amata da Dio di per se stessa, non può trovare la propria realizzazione se non nella donazione sincera di se stesso agli altri. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore, e ogni uomo che voglia essere realmente uomo, dà la vita per gli altri, dona sinceramente se stesso agli altri. 

Testo di Totustuus (2004)


Dopo la resurrezione di Gesù Cristo, è giunta per gli apostoli l'ora della missione. Il numero centocinquantatré di pesci pescati miracolosamente simboleggia il carattere pieno ed universale della missione dei discepoli e della Chiesa. A Pietro, Cristo risorto dice per tre volte quale deve essere la sua missione: "Pasci le mie pecorelle" (vangelo). Dopo la Pentecoste, i discepoli cominciarono a porre in pratica la missione che avevano ricevuto, predicando la Buona Novella di Gesù Cristo (prima lettura). Fa parte della missione che gli uomini non soltanto conoscano Cristo, ma anche che lo adorino come Dio e Signore (seconda lettura).

La missione della Chiesa. Ogni evangelista, a suo modo, mostra, come parte fondamentale del messaggio di Gesù, la missione universale della Chiesa. San Giovanni nel vangelo di oggi ricorre, seguendo il suo proprio stile, ai simboli. Il mare, come immagine del mondo, dell'insieme degli uomini, era comune ai tempi di Gesù e dell'evangelista; era altrettanto comune, almeno tra greci e romani, l'immagine della nave, per esempio la nave dello stato. I primi cristiani, basandosi su alcuni testi del Nuovo Testamento (Lc 5,3; Mt 8,23; Mc 1,17; Gv 21, 1-14), parlarono della nave della Chiesa. C'è un altro simbolo che è esclusivo di Giovanni. Mi riferisco al numero dei pesci raccolti: 153. È risaputo che, nella cultura contemporanea di Gesù, il simbolo numerico aveva un grande valore ed era usato con non poca frequenza. Centocinquantatré indica pienezza e totalità. Si suole spiegare in due modi: 1 + 3+ 5 è uguale a 9, che, essendo multiplo di 3, sottolinea la pienezza in sommo grado. Un altro modo di spiegare il valore pieno e totale di questo numero è il seguente: il multiplo di 12 è 144; se a 144 sommiamo 9, otteniamo 153. È una maniera di accentuare ancora di più la totalità. Riassumendo, la missione della Chiesa, nel mare del mondo, non è altra che quella di essere pescatori di tutti gli uomini senza eccezione, e di condurli al porto sicuro della fede e dell'eternità. A questa immagine della nave e della pesca, ne segue senza interruzione un'altra: quella del pastore e delle pecore. Gesù Cristo, Buon Pastore, affida a Pietro: "Pasci le mie pecorelle". Ezechiele aveva parlato del Dio come Pastore di Israele; adesso Gesù ricorre alla stessa immagine per parlare di se stesso come Pastore della Chiesa, e dà a Pietro la sua stessa missione. Buon Pastore è colui che cura, ama, protegge, pasce le proprie pecore, e le difende dai lupi fino a dare la vita per esse. La missione di Pietro e dei pastori nella Chiesa è far sì che tutte le pecore ottengano la salvezza di Dio.

Due forme di realizzare la missione. Negli Atti degli Apostoli (prima lettura), si realizza la missione mediante la predicazione. Gli apostoli hanno predicato Gesù Cristo, soprattutto il grande mistero della sua morte e resurrezione, e le reti cominciano a riempirsi di pesci. È tale l'efficacia della predicazione, che le autorità giudee si spaventano e mettono gli apostoli in carcere. "Ma Pietro e gli apostoli risposero: Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". Chi ha ricevuto la stessa missione di Gesù Cristo, potrà rinunciarvi? Potrà eguagliarla a qualsiasi altra missione nella vita? Agli apostoli sembra impossibile, e non hanno paura di pagare qualsiasi prezzo per realizzare la loro missione. La seconda maniera di portare a compimento la missione è il culto, particolarmente l'atteggiamento di adorazione verso Gesù Cristo, l'Agnello immolato. "L'agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione" (seconda lettura). Affinché la missione degli apostoli si realizzi pienamente, la predicazione deve sfociare nel culto. Sapere che Cristo è morto e risorto per noi, senza adorarlo come nostro Dio e Signore, è lasciare incompleta la missione. Separare queste due realtà oppure trascurare eccessivamente una di esse, equivarrebbe a una specie di monofisismo apostolico e pastorale.


La missione nel villaggio globale. Ai nostri giorni, il mondo è diventato un villaggio globale. Per i mezzi dell'informazione, delle finanze, delle idee non esistono frontiere. Una cerimonia pontificia può essere vista simultaneamente in qualsiasi angolo della terra dove esista un televisore, e, grazie ad internet, puoi intavolare un chat su qualsiasi tema con uomini e donne a migliaia di chilometri di distanza dalla tua abitazione. I cristiani, mediante tutti questi strumenti, entrano in contatto con persone che hanno un'altra visione della vita, che vivono secondo altri modelli di esistenza, che praticano un'altra religione ed accettano altre credenze. Questo fenomeno può suscitare un certo stato di crisi nei cristiani, può perfino farli cadere in un certo relativismo religioso, ma può essere allo stesso modo una stupenda occasione per mettere in pratica, in grandissima scala e con i mezzi più avanzati, la missione universale della Chiesa. Quando mai la Chiesa ha avuto più mezzi per predicare Cristo dai tetti, con le sue numerosissime antenne? Ci troviamo forse davanti alla sfida storica più importante nell'opera missionaria universale della Chiesa. Questa grande missione universale non la portano a compimento pochi missionari in terre non evangelizzate; la può compiere qualsiasi cristiano, tu stesso la puoi portare avanti, da casa tua o dal tuo ufficio. Si vede chiaramente che la missione universale della Chiesa richiede che ogni cristiano sia un uomo convinto della sua fede, e sia preparato per dare ragione di essa a chi glielo chieda: per strada, all'ufficio, o su
internet.

Il culto di adorazione. Penso che in questi ultimi decenni tra i fedeli sia diminuito il culto di adorazione. Può essere che si sia insistito molto sull'assemblea liturgica, e meno sulla Persona intorno alla quale l'assemblea si riunisce. O si è sottolineato molto il carattere festivo dei sacramenti, e meno il carattere cultuale. Forse si è anche posto l'accento su Gesù Cristo amico, maestro, modello in quanto uomo uguale a noi, e si è lasciata un po' in silenzio la figura di Gesù Cristo, come nostro Dio e Signore. Queste ed altre ragioni hanno fatto abbassare il senso cristiano dell'adorazione. L'inizio del terzo millennio, incentrato sul mistero dell'incarnazione del Verbo, è un'occasione magnifica per rinnovare e recuperare lo spirito di adorazione dovuta a Gesù Cristo. Ci dice il catechismo: "Approfondendo la fede nella presenza reale di Cristo nell'Eucarestia, la Chiesa ha preso coscienza del significato dell'adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie eucaristiche" (CCC 1379). Non si dovrà forse avvivare e ravvivare la coscienza di questa presenza di Gesù Cristo Dio nell'Eucarestia? Lo stesso catechismo aggiunge al n. 2145: "La predicazione e la catechesi devono essere compenetrate di adorazione e di rispetto per il nome del Signore nostro Gesù Cristo". Un momento di riflessione e di esame per i catechisti e i predicatori! Il mondo, per rinnovarsi, ha bisogno di una Chiesa più adorante. 


Testo di Totustuus (2001) 
tratti da www.lachiesa.it