Seconda Domenica di Pasqua: Domenica della Divina Misericordia

News del 10/04/2010 Torna all'elenco delle news

Nesso fra le letture.

In questa seconda domenica di Pasqua si celebra il giorno della divina misericordia. Il 30 aprile del 2000, Giovanni Paolo II ha canonizzato Suor Faustina Kowalska, testimone e messaggera dell´amore misericordioso del Signore, e istituì questa nuova festa che tanto opportunamente si inserisce nel ritmo liturgico e risponde alle necessità più vive degli uomini del terzo millennio.

L´elevazione agli onori degli altari di questa umile religiosa, figlia della Polonia, ha rappresentato un dono per tutta l´umanità. ´Il messaggio, infatti, di cui ella è stata portatrice costituisce la risposta adeguata e incisiva che Dio ha voluto offrire alle domande e alle attese degli uomini di questo nostro tempo, segnato da immani tragedie.

A Suor Faustina Gesù ebbe a dire un giorno: "L´umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla divina misericordia" (Diario, p. 132).

La divina Misericordia! Ecco il dono pasquale che la Chiesa riceve dal Cristo risorto e che offre all´umanità, all´alba del terzo millennioª (cfr. Giovanni Paolo II, Omelia della Domenica della Divina Misericordia, 22 aprile 2001).

Il salmo 117 (118) invita ad elevare un canto di gratitudine a Dio perché eterno è il suo amore, perché eterna è la sua misericordia. La seconda lettura, tratta dal libro dell´Apocalisse, spiega perché l´uomo non deve temere: Cristo, l´Alfa e l´Omega, ha trionfato sulla morte e vive per sempre (seconda lettura). Nel vangelo, Cristo risorto appare al collegio apostolico e invita alla pace, alla fiducia, alla sicurezza, perché la misericordia divina si è riversata in Cristo Nostro Signore. Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre.

Invito alla fiducia. ´"Non temere! Io sono il Primo e l´Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre" (Ap 1,17-18). Abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tratta dal libro dell´Apocalisse, queste consolanti parole. Esse ci invitano a volgere lo sguardo verso Cristo, per sperimentarne la rassicurante presenza. A ciascuno, in qualsiasi condizione si trovi, fosse pure la più complessa e drammatica, il Risorto ripete: "Non temere!"; sono morto sulla croce, ma ora "vivo per sempre"; "Io sono il Primo e l´Ultimo e il Vivente". ´Il Primoª, la sorgente, cioè, di ogni essere e la primizia della nuova creazione; ´l´Ultimoª, il termine definitivo della storia; ´il Viventeª, la fonte inesauribile della Vita che ha sconfitto la morte per sempre. Nel Messia crocifisso e risuscitato riconosciamo i lineamenti dell´Agnello immolato sul Golgota, che implora il perdono per i suoi carnefici e dischiude per i peccatori pentiti le porte del cielo; intravediamo il volto del Re immortale che ha ormai "potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1,18) (Cf Giovanni Paolo II, Omelia della Domenica della Divina Misericordia, 22 aprile 2001).
 

La misericordia divina. ´"Celebrate il Signore perché è buono, perché eterna è la sua misericordia" (Sal 117,1). Facciamo nostra l´esclamazione del Salmista, che abbiamo cantato nel Salmo responsoriale: eterna è la misericordia del Signore! Per comprendere sino in fondo la verità di queste parole, lasciamoci condurre dalla liturgia nel cuore dell´evento di salvezza, che unisce la morte e la risurrezione di Cristo alla nostra esistenza e alla storia del mondo. Questo prodigio di misericordia ha radicalmente mutato le sorti dell´umanità. È un prodigio in cui si dispiega in pienezza l´amore del Padre che, per la nostra redenzione, non indietreggia neppure davanti al sacrificio del suo Figlio unigenitoª (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n.7).
Parlando della misericordia divina, san Bernardo commenta con grande ispirazione (cfr. Sermone 1, sull´Epifanìa del Signore, 1-2 PL 133, 141-143): "Ora, pertanto, la nostra pace non è promessa, ma inviata; non è differita, ma concessa; non è profetizzata, bensì realizzata: il Padre ha inviato sulla terra una sorta di sacco pieno di misericordia; un sacco, direi, che si romperà nella passione, affinché si versi quel prezzo del nostro riscatto che esso contiene... sotto i veli dell´umanità [di Cristo], fu conosciuta la misericordia divina, perché quando fu conosciuta l´umanità di Dio, non poté più rimanere celata la sua misericordia. In che cosa poteva manifestare meglio il Signore il suo amore se non assumendo la nostra stessa carne?... Comprenda, dunque, l´uomo fino a che punto Dio ha cura di lui; rifletta su quel che Dio pensa e sente per lui... Quanto grande e manifesta è questa misericordia e questo amore di Dio per gli uomini! Ci ha fatto una grande prova d´amore, nel voler che al nome di Dio fosse aggiunto il titolo di uomo".

´Nel Cristo umiliato e sofferente credenti e non credenti possono ammirare una solidarietà sorprendente, che lo unisce alla nostra umana condizione oltre ogni immaginabile misura. La Croce, anche dopo la risurrezione del Figlio di Dio, "parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l´uomo... Credere in tale amore significa credere nella misericordia"ª (Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, n.7).

Il vangelo di oggi ´ci aiuta a cogliere appieno il senso e il valore di questo dono. L´evangelista Giovanni ci fa come condividere l´emozione provata dagli Apostoli nell´incontro con Cristo dopo la sua risurrezione. La nostra attenzione si sofferma sul gesto del Maestro, che trasmette ai discepoli timorosi e stupefatti la missione di essere ministri della divina Misericordia. Egli mostra le mani e il costato con impressi i segni della passione e comunica loro: "Come il Padre ha mandato me anch´io mando voi" (Gv 20,21). Subito dopo "alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20,22-23). Gesù affida ad essi il dono di "rimettere i peccati", dono che scaturisce dalle ferite delle sue mani, dei suoi piedi e soprattutto del suo costato trafitto. Di là un´onda di misericordia si riversa sull´intera umanitઠ(Giovanni Paolo II, Omelia della Domenica della Misericordia, 22 aprile 2001).
 

Il cuore di Cristo. ´Il Cuore di Cristo! Il suo "Sacro Cuore" agli uomini ha dato tutto: la redenzione, la salvezza, la santificazione. Da questo Cuore sovrabbondante di tenerezza santa Faustina Kowalska vide sprigionarsi due fasci di luce che illuminavano il mondo. "I due raggi — secondo quanto lo stesso Gesù ebbe a confidarle - rappresentano il sangue e l´acqua" (Diario, p. 132). Il sangue richiama il sacrificio del Golgota e il mistero dell´Eucaristia; l´acqua, secondo la ricca simbologia dell´evangelista Giovanni, fa pensare al battesimo e al dono dello Spirito Santo (cfr Gv 3,5; 4,14). Attraverso il mistero di questo cuore ferito, non cessa di spandersi anche sugli uomini e sulle donne della nostra epoca il flusso ristoratore dell´amore misericordioso di Dio. Chi anela alla felicità autentica e duratura, solo qui ne può trovare il segretoª (Giovanni Paolo II, Omelia della Domenica della Divina Misericordia, 2001). La devozione al sacro cuore di Gesù è in sostanza il culto dell´amore che Dio ha per noi in Cristo, e al contempo la pratica del nostro amore verso Dio e verso tutti gli uomini.


La fiducia in Gesù. Giovanni Paolo II esprimeva con grande emozione: ´"Gesù, confido in Te". Questa preghiera, cara a tanti devoti, ben esprime l´atteggiamento con cui vogliamo abbandonarci fiduciosi pure noi nelle tue mani, o Signore, nostro unico Salvatore. Tu bruci dal desiderio di essere amato, e chi si sintonizza con i sentimenti del tuo cuore apprende ad essere costruttore della nuova civiltà dell´amore. Un semplice atto d´abbandono basta ad infrangere le barriere del buio e della tristezza, del dubbio e della disperazione. I raggi della tua divina misericordia ridanno speranza, in modo speciale, a chi si sente schiacciato dal peso del peccato. Maria, Madre di Misericordia, fa´ che manteniamo sempre viva questa fiducia nel tuo Figlio, nostro Redentore. Aiutaci anche tu, santa Faustina, che oggi ricordiamo con particolare affetto. Insieme a te vogliamo ripetere, fissando il nostro debole sguardo sul volto del divin Salvatore: "Gesù, confido in Te" (cf Giovanni Paolo II, Omelia della domenica della Divina Misericordia, 2001).

 
La misericordia di Dio è infinita: la conversione del cuore. ´La misericordia in se stessa, come perfezione di Dio infinito, è anche infinita. Infinita quindi ed inesauribile è la prontezza del Padre nell´accogliere i figli prodighi che tornano alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza di perdono che scaturiscono continuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato umano prevale su questa forza e nemmeno la limita. Da parte dell´uomo può limitarla soltanto la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, cioè il perdurare nell´ostinazione, contrastando la grazia e la verità, specie di fronte alla testimonianza della croce e della risurrezione di Cristo.
Pertanto, la Chiesa professa e proclama la conversione. La conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell´amore che è paziente e benigno a misura del Creatore e Padre: l´amore, a cui ´Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristoª, è fedele fino alle estreme conseguenze nella storia dell´alleanza con l´uomo: fino alla croce, alla morte e risurrezione del Figlio. La conversione a Dio è sempre frutto del "ritrovamento" di questo Padre che è ricco di misericordiaª (Giovanni Paolo II, Dives in misericordiae, n.13). 

Testo di Totustuus, tratto da www.lachiesa.it
 


Commento al Vangelo di Giovanni 20,19-31

La sera del giorno di Pasqua gli apostoli stavano ancora rinserrati nel cenacolo. Gesù aveva trascorso quasi tutta la giornata con due anonimi discepoli che se ne ritornavano tristi ad Emmaus, loro villaggio. Il Vangelo ci riporta alla sera di quel giorno, "mentre erano chiuse le porte" del luogo ove si trovavano i discepoli. Gesù entrò e si fermò in mezzo a loro. Glielo aveva detto il giovedì sera precedente, durante l'ultima cena: "Ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più. Voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi pure vivrete" (Gv 14, 18-19). Ma non avevano capito e comunque non gli avevano creduto.
Dalla sera di Pasqua inizia per loro una nuova comprensione di Gesù. Essi vedono un Gesù diverso, risuscitato, anche se è lo stesso di prima: nel suo corpo sono evidenti i segni dei chiodi e lo squarcio della lancia; essi stanno a dire che siamo all'inizio della resurrezione (molti sono ancora oggi i corpi, segnati da ferite e da sofferenze, che aspettano una risurrezione). Gesù risorto è lì, in mezzo ai suoi per affidare loro la sua stessa missione: "Come il Padre ha mandato me, così anch'io mando voi".
Si tratta di un'unica missione che parte dal Padre e attraverso Gesù si trasmette ai discepoli: è la missione di portare al mondo la pace e il perdono. Fu una sera piena di gioia per quei dieci discepoli: avevano ritrovato il loro Signore. I due di Emmaus, tornati a Gerusalemme a sera inoltrata, aumentarono la letizia di tutti. Non c'era però Tommaso, uomo disponibile e generoso; una volta s'era dichiarato pronto a morire per Gesù, anche se poi era fuggito assieme a tutti gli altri. Quando i dieci gli riferiscono: "Abbiamo visto il Signore!", Tommaso, non solo è scettico, ma li fredda con la sua risposta: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò". Dice subito: se non vedo. Poi aggiunge, considerando che anche gli occhi possono tradire, una prova fisica anche un po' brutale: mettere il dito nel foro dei chiodi e la mano nello squarcio fatto nel petto. Tommaso non accetta il Vangelo dei dieci e resta, seppure con le sue ragioni, triste e senza speranza.
Dopo otto giorni, proprio come in questa domenica, mentre sono di nuovo insieme e Tommaso sta con loro, Gesù torna. Le porte sono ancora una volta chiuse per paura; tutti la sentono, anche Tommaso: incredulità e paura vanno spesso insieme. Gesù, dopo il saluto di pace, subito cerca con gli occhi Tommaso, lo chiama per nome e gli si accosta: "Metti qua il tuo dito - gli dice - e guarda le mie mani. Accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; smetti di essere incredulo e diventa uomo di fede". Tommaso confessa la sua fede: "Signore mio e Dio mio!" E Gesù: "Perché hai veduto, hai creduto? Beati quelli che pur non avendo visto, crederanno". E' la proclamazione dell'ultima beatitudine del Vangelo, quella che sta a fondamento delle generazioni che da quel momento sino ad oggi si uniranno al gruppo degli undici. La fede, da quel momento in poi, non nasce dalla visione ma dall'ascolto del Vangelo degli apostoli. Narra un'antica leggenda che la mano destra di Tommaso rimase, sino alla sua morte, rossa di sangue. Il Signore, quasi raccogliendo la nostra poca fede, esorta ognuno di noi, come fece con Tommaso, a sporcarci le mani nelle ferite degli uomini, ad accostarci alle situazioni martoriate e abbandonate: la nostra incredulità è presa dal Signore e trasformata in amicizia e fonte di pace. L'ascolto del Vangelo e la carità sono la via della nostra beatitudine. 

Testo di mons. Vincenzo Paglia

tratti da www.lachiesa.it