Quinta Domenica di Quaresima: Chi è senza peccato, scagli la prima pietra

News del 20/03/2010 Torna all'elenco delle news

Con questa quinta domenica, la Quaresima volge alla fine e si avvia verso la grande e santa settimana della passione, morte e risurrezione di Gesù.
Più volte, in questo tempo, siamo stati esortati alla conversione del nostro cuore, eppure ognuno di noi si scopre ancora tanto simile a se stesso.
Forse abbiamo ascoltato poco la parola di Dio, e non si è radicata nel cuore e nella realtà della nostra vita; insomma, ci ha trasformati poco. Non diciamo questo per la mania di fare bilanci o per riproporre un inutile pessimismo.

Credo, invece, che tutti siamo ben consapevoli della difficoltà che ha il tempo del Signore a inserirsi nello scorrere convulso del nostro tempo quotidiano; e degli ostacoli che i sentimenti e gli inviti di Dio trovano nella selva dei nostri sentimenti e dei tanti inviti che ogni giorno riceviamo. Questo tempo opportuno di Quaresima spesso lo abbiamo soffocato con gli impegni, con le preoccupazioni, e perché no, con le banalità che ci prendono e ci soggiogano. E così ognuno è rimasto quel che era.

Questa domenica ci viene nuovamente incontro, e in certo modo ci prende e ci trascina davanti a Gesù ancora una volta. E di fronte a lui non è possibile sentirsi come quel fariseo che si lodava da solo, perché è il Signore della misericordia e non un esattore esigente.

È l'alba di un nuovo giorno e Gesù, scrive il vangelo di Giovanni (8,1-11), sta di nuovo nel tempio a insegnare. Una calca di gente lo circonda. Improvvisamente il cerchio degli ascoltatori viene aperto da un gruppo di scribi e farisei che spingono davanti a loro una donna sorpresa in adulterio. La trascinano, gettandola in mezzo al cerchio, proprio davanti a Gesù, e gli chiedono se si debba o no applicare la legge di Mosè. Questa legge, dicono, impone di «lapidare donne come questa» (gli scribi e i farisei si riferiscono alle disposizioni contenute nel Levitico, 20,10; e nel Deuteronomio, 22,22-24; che prevedono la morte per gli adulteri). Ma non sono mossi dallo zelo per la legge, tanto meno sono interessati al dramma di quella donna. Vogliono tendere un tranello al giovane profeta di Nazaret per screditarlo davanti alla gente che sempre più numerosa corre ad ascoltarlo.

Se condanna la donna, ragionano, va contro la tanto conclamata misericordia; se la perdona, si mette contro la legge. In ambedue i casi ne esce sconfitto. Gesù, chinatosi, si mette a «scrivere con il dito per terra». È un atteggiamento strano: Gesù sta in silenzio, come farà durante la passione davanti a personaggi come Pilato ed Erode.

Il Signore della parola, l'uomo che aveva fatto della predicazione la sua vita e il suo servizio fino alla morte, ora tace. Si china e si mette a scrivere nella polvere.
Non sappiamo cosa Gesù scrive e cosa pensa in quel momento; possiamo invece immaginare i sentimenti indispettiti dei farisei e forse intuire cosa c'è nel cuore di quella donna la cui speranza di sopravvivenza è legata a un uomo da cui, peraltro, non esce né una parola, né un cenno. Dietro l'insistenza dei farisei Gesù alza il capo e pronuncia una frase che getta un poco di luce sui loro pensieri: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (v. 7). E si china di nuovo a scrivere per terra. La risposta disarma tutti. Colti nel segno da queste parole, «se ne vanno uno per uno cominciando dai più anziani fino agli ultimi» (v. 9), nota con arguzia l'evangelista. Rimane solo Gesù con la donna. Si trovano l'una davanti all'altro, la miseria e la misericordia.

A questo punto Gesù riprende a parlare; lo fa come di solito, con il suo tono, la sua passione, la sua tenerezza, la sua fermezza. Alza la testa e chiede alla donna: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella risponde: «Nessuno, Signore». La parola di Gesù diviene profonda, per nulla indifferente, anzi piena di misericordia. È una parola buona, di quelle che solo il Signore sa pronunciare: «Neanche io ti condanno; va'e d'ora in poi non peccare più» (v. 11).

Gesù era l'unico che avrebbe potuto alzare la mano e lanciare le pietre per lapidarla; l'unico giusto. La prese per mano e l'alzò da terra; in verità la sollevò dalla sua condizione di miseria, e la rimise in piedi: non era venuto per condannare, e tanto meno per consegnare alla morte per lapidazione; è venuto per parlare e per rialzare alla vita. Dice a quella donna: «Va'», come dire: ritorna alla vita, riprendi il tuo cammino. E aggiunge: «Non peccare più», ossia: percorri la via sulla quale ti ho posto, la via della misericordia e del perdono. È la via sulla quale il Signore, di domenica in domenica, mette coloro che si avvicinano a lui.

Testo di mons. Vincenzo Paglia
 

Nesso tra le letture

La liturgia di oggi, a proseguimento di quella della domenica precedente, ci parla della novità della vita in Cristo. La donna peccatrice, sorpresa in adulterio, vede che i suoi accusatori si ritirano e resta sola di fronte a Gesù. E lì, in quell'incontro, sorge qualcosa di nuovo nella sua anima: ascolta parole di misericordia e di perdono che la restituiscono alla vita (Vangelo). Anche il profeta Isaia, pensando al ritorno dalla prigionia di Babilonia, parlava di una novità: il Signore camminerà di fronte al suo popolo, facendogli strada nel deserto (prima lettura). Quando Dio parla, tutto diventa nuovo. Per questo motivo, san Paolo ci dice che tutto deve essere reputato una perdita a paragone della conoscenza di Cristo Gesù, cioè della conoscenza dell'amore di Dio per l'uomo (seconda lettura).


La durezza di cuore dei farisei e l'atteggiamento di Gesù. I farisei erano certamente uomini duri da cambiare. Una scorza di orgoglio, autosufficienza, autocompiacimento li teneva lontani da Dio. Guardavano con disprezzo e alterigia gli altri, che — secondo loro — moralmente non erano alla loro altezza. Perciò, non hanno il minimo scrupolo a mettere in imbarazzo ed esporre pubblicamente una donna che era stata sorpresa a commettere peccato. La persona umana ha un nucleo interiore nel quale si sviluppa il suo rapporto con Dio: sa di possedere grandi possibilità e di sperimentare grandi miserie. Svelare in pubblico le miserie altrui, solo per smania di autogiustificazione, è una viltà di cuore. Chi fa questo si è allontanato dalla verità e, pertanto, dall'amore. Chiediamo a Dio di non permettere mai che formiamo in noi stessi una coscienza farisaica, per evitare che, ritenendoci migliori, permettiamo a noi stessi di calpestare il nostro prossimo e di esporlo davanti agli altri. Piuttosto, preghiamo che il nostro parlare e il nostro agire, riguardo al peccato del prossimo sia sempre accorto, dosato, caritatevole, imparando nell'intimo a perdonare le mancanze.
Gesù, davanti ai farisei, difende simultaneamente la verità e la misericordia con una risposta meravigliosa. Se si limitasse a perdonare la donna, i farisei l'accuserebbero di andare contro la legge (Gesù non può giustificare un comportamento obiettivamente peccaminoso); se la condannasse, sarebbe andata contro la misericordia che aveva mostrato in altre occasioni. I farisei credono di averlo incastrato. Non c'è uscita. Gesù, però, risponde: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". La frase ha l'effetto di un raggio di sole nel cielo scuro. Chi oserebbe dire di essere senza peccato? Se qualcuno lo facesse, gli altri l'accuserebbero di essere bugiardo; ma, in più, la propria coscienza lo accuserebbe. Nessuno può semplicemente dire di essere senza peccato. Ogni volta che l'uomo entra nell'intimo del suo animo scopre la propria miseria. Ogni cuore farisaico viene messo a nudo da queste parole, e riconosce tutta la propria miseria interiore.

L'atteggiamento di Cristo verso il peccatore. La donna è spaventata e turbata. Sa che con quell'insidia, non la lapideranno, perché Gesù non lo permetterebbe mai, ma sente la vergogna di essere stata esposta al pubblico ludibrio; ma, in più, ha paura che Gesù la condanni in segreto. Quella sì che sarebbe la sua più grande disgrazia!
Gesù, con estrema delicatezza, le domanda: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". La donna, ancora piena di spavento, gli risponde: "Nessuno, Signore". Gesù conclude: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". Così Gesù Cristo tratta le anime bisognose: con grande delicatezza, comprensione e misericordia. Tuttavia, non avrà la stessa compassione per se stesso: si lascerà accusare, condannare, crocifiggere ed assassinare, perché la punizione non cada su di noi.
Come sarà uscita da quell'esperienza quella donna! Quale sensazione di gioia, di pace, di liberazione interiore! Quando il nemico, colui che c'accusa davanti al tribunale di Dio, è messo in fuga dall'amore di Cristo, l'anima sperimenta una gioia indicibile. Anche oggi Cristo dice a noi: "Neanche io ti condanno". Perciò, "non condannare te stesso, non ti deprimere, non ti abbattere. Abbi piena fiducia in me, rialzati, e percorri con amore la parte della tua vita che hai ancora davanti". "Neanche io ti condanno". In realtà, queste sole parole sono sufficienti a cambiare una vita, perché se Dio non mi condanna, se Dio mi salva, se Dio non mi abbandona, se Dio sta sempre al mio fianco: cosa posso temere? "Se Dio sta con noi, chi sarà contro noi?". Potrò avere malattie, perfino quelle che sono più dolorose o umilianti; potrò subire fallimenti di ogni tipo, umiliazioni profonde... Cristo mi dice: "Neanche io ti condanno, va' e non peccare più".

Lanciarci verso ciò che abbiamo davanti. San Paolo in questa liturgia ci esorta a dimenticare quel che resta alle nostre spalle e a lanciarci verso ciò che sta per venire. Spesso, ci compiacciamo troppo delle nostre passate vittorie, ci soffermiamo a lungo a considerare le nostre realizzazioni, e ci incantiamo di noi stessi. Altre volte, guardiamo al passato con nostalgia o, peggio ancora, con amarezza, ci deprimiamo per i nostri fallimenti. Vediamo tutto quello che non abbiamo potuto realizzare, e ci abbattiamo psichicamente e spiritualmente. San Paolo, basandosi sull'amore di Cristo, ci esorta a superare questa tentazione: il cristiano deve imparare a guardare al futuro con speranza, ed aiutare i suoi fratelli a fare altrettanto. Certamente gli eventi del mondo, come gli attentati terroristici, le ingiustizie, la fame... possono creare in noi un senso di depressione, o di impotenza, ma davanti a questo bisogna reagire con amore. È questo il momento in cui il cristiano entra in azione, amando di più, donandosi di più, lottando per un mondo in cui regnino la verità e l'amore!

Il pericolo della superbia. Dio è sempre vicino a noi e, anche se abbiamo peccato, siamo suoi, gli apparteniamo e troviamo ampia accoglienza nel suo cuore. C'è sempre un posto per noi nel cuore di Dio. Tuttavia, c'è una cosa che può allontanarmi da Dio, e ricacciarmi molto lontano: è la superbia. È la superbia che vediamo nei farisei, che si ritengono giusti, immacolati, superiori agli altri... Dio e la superbia non possono stare insieme. Dove c'è superbia umana, lì non c'è Dio. Non può esserci. Se ci ragioniamo con calma, vedremo che la maggior parte dei nostri peccati nascono della superbia, dal non voler essere umili alla presenza di Dio e dei nostri fratelli. Se vogliamo vivere vicino a Dio, incamminiamoci sulla via della semplicità di cuore e della vera umiltà.

Testo di Totustuus


Foglietto della Messa di domenica 21 marzo 2010, V di Quaresima anno C 

Liturgia della Parola di domenica 21 marzo 2010, V di Quaresima anno C 

tratti da www.lachiesa.it