La "missione" di Giovanni Battista e di Gesù nel deserto - cammino quaresimale a cura di don Nicola Casuscelli - quinta parte

News del 20/03/2010 Torna all'elenco delle news

Il deserto nella tradizione neotestamentaria
     
L’idea neotestamentaria di éremos non è diversa da quella registrata per l’A.T: e il giudaismo. Anche qui i quarant’anni di peregrinazione nel deserto sono considerati un fatto significativo dell’intervento storico di Dio (Gv 3,14, 6,31.49; At 7,30ss; 13,18; 1Cor 10,5; Eb 3, 8.17) ed è ancora costante la concezione secondo la quale i fatti escatologici inizieranno nel deserto (Mt 24,26; At 21,38). La fuga della donna nel deserto (Ap 12,6.14) si spiega per l’alta considerazione che il tempo del deserto ha avuto per Israele e testimonia pure che l’atteso messia viene dal deserto (cfr Mt 2,15 secondo Os 11,1)
     

Giovanni Battista e il deserto
    
Nel Nuovo Testamento incontriamo per primo Giovanni il Battista, che segna il passaggio dall’epoca giudaica ai tempi messianico-escatologici. «La parola di Dio scese su di lui...» (Lc 3, 2), perché egli sia voce di colui che sta per venire e prepari a lui la strada.
Giovanni svolge questa sua missione nel deserto, ricordando così il tempo forte dell’esodo, quando Israele sperimentò la vicinanza di Dio suo salvatore.
In tale contesto anche per Giovanni il deserto ha un significato ben preciso, essendo un richiamo a tutta la storia della salvezza, culminata nell’Alleanza del Sinai e continuamente ricordata durante la peregrinazione nel deserto e nei tempi successivi.
    
Il Precursore sa bene che il deserto è stato un “tempo” e un “luogo” di prova, di tentazione e di privazione, ma soprattutto un “luogo d’incontro” con Dio in una esperienza di amore sponsale.
    
Il Battista è l’araldo del tempo messianico (Mc 1,4 e //) che predica nel deserto. En te erèmo kerussein sembra essere un contro senso; che cosa, infatti, deve annunciare un araldo, là dove non vi sono uomini? Ma Giovanni Battista va a predicare nel deserto perché il Regno di Dio è prossimo e il tempo della salvezza è vicino.
    
Rifacendosi perciò alle parole di Isaia, egli ripete: «Io sono la voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore...» (Gv 1, 23), «raddrizzate i suoi sentieri! / Ogni burrone sia riempito, / ogni monte e ogni colle sia abbassato; / le strade tortuose siano raddrizzate, / i luoghi impervi spianati. / Così ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!» (Lc 3, 4-6).
     
    
Gesù nel deserto

Il Figlio di Dio è stato condotto dallo Spirito per quaranta giorni nel deserto dove, come già per Israele, ha sentito il morso della fame e tre tentazioni analoghe a quelle dell’antico Israele, sottolineate da altrettante citazioni bibliche:
    
a) cercare il proprio cibo al di fuori di Dio: «Dì che queste pietre diventino pane» (Mt 4, 3). Gesù respinge la tentazione appellandosi alla parola di Dio: «Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo...» (Dt 8,3);
    
b) soddisfare all’orgoglio e alla superbia dell’uomo che sfida Dio: «Gettati giù (dal pinnacolo del Tempio)... perché gli angeli ti sorreggeranno con le loro mani...» (Mt 4, 6; cfr Sai 91, 11-12). Gesù respinge anche questa tentazione dicendo: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore tuo Dio...» (Dt 6, 16);
    
c) rinnegare il vero Dio per seguire i falsi idoli, con il miraggio dei potere sul mondo: «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai» (Mt 4, 9). Ma Gesù risponde: «Vattene, Satana! Sta scritto: Adora il Signore tuo Dio e a lui solo presta il tuo servizio» (Mt 4,10; cfr Dt 6, 13).

La tentazione è superata con l’affidamento di sé a Dio e alla sua parola. Come per Israele, così anche per Gesù il deserto è il luogo della prova. La fedeltà di Gesù nella prova trasforma anche il deserto in un luogo paradisiaco: « Era con le fiere e gli angeli lo servivano» (Mc1,13).
    
Gesù vi si reca sospinto dallo Spirito, perché nel superamento della tentazione si manifesti l’obbedienza del Figlio di Dio alla volontà del Padre: in qualche modo Gesù , all’inizio del proprio ministero pubblico, è guidato nel deserto per “imparare” la fede e maturare la propria identità.
    
L’evangelista Luca vede nella triplice tentazione a cui Gesù è sottoposto dal diavolo quasi una prefigurazione di tutto il suo cammino, in cui sarà tentato a più riprese di separasi da Dio, fino alla tentazione suprema di deviare dal suo destino di morte, rifiutando il calice della passione e scendendo dalla croce. Nella tentazione, Gesù rivela davanti al tentatore la propria fedeltà a Dio, assumendo il proprio ruolo di Figlio e di Messia, senza sfuggire allo scandalo della morte e senza cedere alla tentazione idolatra di agire autonomamente da Dio.
Il tempo che Gesù ha condotto nel deserto è sintesi di tutta l’esperienza esodica di Israele e stile perfetto di adesione alla volontà del Signore. Inoltre, è paradigma dell’esistenza umana di tutti i tempi: solo confidando in Dio, anche nelle situazioni più estreme, la speranza e la fede possono dar vita all’esistenza nuova.
    
Più volte Gesù si ritirò «in un luogo deserto» per pregare o per sfuggire al fanatismo messianico delle folle (Mt 14,13; Mc 1,35; ecc). Ma in questi passi non si tratta più del deserto vero e proprio. Gesù si rifugia in luoghi solitari. Per lui, la regione solitaria è il luogo in cui nulla lo separa da Dio, o in cui egli cerca di sottrarre all’inquietudine i suoi discepoli (Mc 6,31ss), ma dove talvolta seguono anche le folle (Mt 15,33; Mc 8,4). Là egli ricerca anzitutto la quiete della preghiera (Mc 1,35; Lc 5,16).
È possibile intendere anche in tal modo il soggiorno dei quaranta giorni di Gesù nell’éremos. L’inizio (nestèusas Mt 4,2) e la fine (àngheloi diekònun autò Mc 1,13) della narrazione fanno pensare che vi si alluda ad un periodo (occasionato dal neuma Mc 1,12) di solitaria unione con Dio, che il tentatore cerca di turbare.
 

testo di don Nicola Casuscelli, vicedirettore dell' Ufficio Liturgico diocesano e presidente della Commissione pastorale liturgica.