Il deserto: luogo e tempo dell'incontro con Dio - cammino quaresimale a cura di don Nicola Casuscelli - prima parte
News del 13/02/2013 Torna all'elenco delle news
La vita cristiana è una continua esperienza di fede in Dio che si fa conoscere come Provvidenza e Misericordia, soprattutto quando la prova è particolarmente dolorosa.
Nel tessuto biblico questa speciale esperienza di Dio ha un nome che indica contemporaneamente un “luogo” e un “tempo”: il deserto.
Il tempo quaresimale ci aiuta a vivere l’incontro con il Signore gustando l’essenziale della vita per cogliere l’assoluto di Dio.
L’esperienza di morte al peccato diventa possesso di Vita beata.
Il cammino del popolo di Israele nel deserto e l’esperienza di Gesù in esso, dove fu tentato e dimostrò la sua totale adesione all’amore del Padre, sono modello per tutta la Chiesa a peregrinare con fiducia e coraggio in questo tempo storico, guidata dallo stesso Spirito che sospinse il Signore nel luogo inospitale (il deserto, appunto) cui diede la forza di rimanere fedele nonostante le innumerevoli tentazioni.
PRIMA SETTIMANA DEL TEMPO DI QUARESIMA
Il deserto: luogo e tempo dell'incontro con Dio
«Perciò, ecco la attirerò a me, / la condurrò nel deserto
/ e parlerò al suo cuore» (Os 2,16).
Introduzione
I termini midbàr ed èremos non hanno accezione univoca e, pertanto, vanno sempre cercati di comprendere nel loro contesto storico – linguistico.
Probabilmente il deserto, nel suo riferimento geografico, è all’origine del vasto campo semantico che sta dietro ad esso.
Il deserto, luogo dell’incompiutezza, dell’inospitalità, luogo delle fiere e della morte è scelto da Dio per condurre il suo popolo alla conoscenza di S/sé. Nel deserto Dio si manifesta a Israele come l’unico Signore; nel deserto la pedagogia divina conduce il popolo dell’alleanza a scoprirsi nella sua verità: capace di fede di YAHWE, ma anche di tradirlo. Ne scopre la provvidenza e la misericordia.
Il deserto è luogo dell’essenziale e della nudità, in cui per poter vivere e seguire il Signore, è necessario mai dimenticarsi dei prodigi di Yahvè in mezzo e dinanzi al suo popolo.
Il deserto non è solo “luogo”, ma è anche “tempo” che conduce alla verità di Dio che si rivela.
Ma il deserto non è luogo di permanenza, è di transizione, è tempo di rivelazione e di purificazione.
È la venuta del Cristo, che compie ogni cosa, che trasforma il deserto, spettatore dell’infedeltà di Israele, in luogo della vittoria su Satana e sul peccato.
Lui il Giusto, il Fedele ha fatto l’esperienza del deserto perché il suo totale e fiducioso abbandono al Padre potesse trasformare il deserto da caos in chairòs (tempo di grazia).
L’etimologia del termine deserto, sia nella lingua ebraica midbàr che nella lingua greca èremos, non è ben chiara.
Per quanto riguarda il termine ebraico midbar, è stata supposta una connessione con dabar (parola, cosa, fatto), ma ciò “è molto improbabile, e la derivazione dalla radice dbr è discussa”. Potrebbe, invece, esservi un rapporto con il termine dober (Is 5,17; Mich 2,12), che significa “pascolo”, o con dibber (2 Cr 22,10), “soggiogare, sottomettere”, o con rbd/rbs (Prov 7,16), “accovacciarsi, rannicchiarsi”, specialmente in riferimento agli animali selvatici (Gen 49,9; Is 11,16 e 13,21; Ez19,2) e animali domestici (Gen 29,2; Is 13,20 e 27,10; Ger 33,12; Ez 34,14). La parola è inoltre attestata in altre lingue semitiche: tra gli Ugarittimi ha il significato di “terra da pascolo”; nel linguaggio aramaico e siriaco “campo”.
Il termine greco èremos probabilmente ha la radice in ra: ar, che significa “separare”, attestato sin da Omero (Iliade 10,520). Accanto a eremos, nel greco antico abbiamo i termini eremìa (solitudine), eremòsis (devastazione). Eremìa è attestato a partire dai tragici (p.e. Eschilo, Euripide), eremòsis si trova per la prima volta nei LXX. Il verbo eremòo, nel greco non biblico, può anche significare: privare, abbandonare, lasciar solo.
Significato
Sia nel linguaggio biblico che postbiblico che nelle altre lingue semitiche, il termine ha un diverso e vasto campo semantico. Nonostante questa grande varietà, la parola midbar si riferisce ad un’arida o semiarida regione in cui la scarsità di acqua la rende inospitale e inadatta per l’agricoltura e l’allevamento di animali. Questo luogo desolato indica anche il primitivo stato di caos (Dt 32,10) o un ritorno ad esso a causa della punizione divina per il peccato dell’uomo (Is 64,9; Ger 22,6).
Però, midbar è utilizzato anche come termine tecnico indicante il pascolo, recando in sé connotazioni positive (Ct 3,6 e 8,5).
Per il mondo antico, il deserto non è soltanto una regione priva di acqua e di vegetazione, e quindi disabitata, ma anche il territorio devastato, abbandonato.
Per l’antichità greco-romana, la rivelazione divina avviene proprio in luogo solitario (p.e. Euripide), ma, nonostante ciò, esso è temuto, in quanto concepito come dimora dei demoni.
Uso di midbar nell’Antico Testamento
Il campo semantico del termine midbar, per tutto l’Antico Testamento, implica diversi fattori.
a) connotazioni spazio-temporali. Il ricordo di un periodo di peregrinazione nel deserto presta al concetto di deserto inteso come spazio anche il senso di una dimensione temporale.
b) Il “deserto” simboleggia il passaggio da un polo negativo (la schiavitù in Egitto) ad uno positivo (la Terra Promessa).
c) Due periodi nella peregrinazione nel deserto.
Il primo periodo (Nm 10,11ss) è relativo al passaggio del Mar Rosso fino all’arrivo al monte di Dio. Es 19,1-2: « Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti fino al monte di dal paese d’Egitto, proprio in quel giorno, essi arrivarono al deserto del Sinai. Levato l’accampamento da Refidim, arrivarono al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte». Durante questo primo periodo, la tradizione non menziona ribellioni o mormorazioni di Israele. È questo il periodo in cui il popolo Dio (Es 3,12; 18,5; 19,2) eletto si abbandona completamente al suo Dio, ponendo fiducia unicamente in lui:
« Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, / dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, / quando mi seguivi nel deserto, in una terra non coltivata» (Ger 2,2).
Il secondo periodo dura circa trentotto anni (Dt 2,14) e comincia dalla transizione dal monte Sinai fino all’ingresso nella Terra Promessa, attraversando midbar pa’ran. È questo il periodo caratterizzato dalle afflizioni e tribolazioni imposte come punizione divina a causa dei peccati di Israele (Nm 11,1-31,5). È importante notare per la nostra trattazione, che nei dodici capitoli che costituiscono il cuore di Nm 11,1-31,5 il termine midbar ricorre 24 volte e negli altri capitoli solo 19. Ciò influenzò molto la letteratura biblica successiva il Pentateuco circa la nozione di midbar. Ezechiele vede questo periodo come il prototipo del giudizio divino che deve precedere una futura riconvocazione del popolo d’Israele (Ez 20,35-38).
d) Il deserto, nel pensiero di Israele, come del resto anche nelle altre culture del Medio Oriente, assume una connotazione estremamente negativa nel considerarlo come un luogo abitato da esseri “infernali”: yemin (Gn 36,24), iyyim, siyyim (Is 13,21; Ger 50,39); lilit (Is 34,14) e seirim(Is 13,21). La presenza di “mostri”, esseri mitologigici, è indice anche del deserto inteso come caos primordiale.
e) Dio è pastore di Israele. Nella tarda letteratura profetica, come in alcuni salmi, la nozione di Dio come padre (Dt 32,16), protettore e custode del suo popolo (Es 19,4; Dt 32,10ss), che ha le sue radici nel periodo della peregrinazione nel deserto, si fonde con l’immagine di Jhave come il Pastore d’Israele.
f) Amore nel deserto. È questo il motivo che incontriamo nel Cantico dei Cantici (3,6; 8,5).
g) Amore nel deserto nella tradizione dei profeti preesilici. La fusione dell’amore nel deserto con la tradizione della permanenza nel deserto, molto presente in Osea e in Geremia (questi, però, dipendente dal primo), giocò un ruolo decisivo per una idealizzazione del deserto. In Os 1-3 la relazione tra Israele e il suo Dio è concepita come una relazione tra il marito e la moglie. Il popolo infedele (la moglie) deve essere soggetto di nuovo all’esperienza del deserto per espiare i suoi peccati lì e per ritornare all’antica fede verso il proprio Dio (il marito). Il deserto è inteso non come luogo di permanenza, ma temporaneo, fino al ritorno dell’antico amore.
«Perciò, ecco la attirerò a me, / la condurrò nel deserto
/ e parlerò al suo cuore» (Os 2,16).
h) Midbar negli scritti profetici postesilici. Il Deutero-Isaia intende gli eventi postesilici come un riflesso dell’esperienza fondamentale della storia del popolo d’Israele: la deportazione, l’esilio e il ritorno sono visti come un nuovo esodo, un nuovo deserto, una nuova conquista della Terra Promessa. Sin dalla distruzione del Tempio e l’esilio in Babilonia, Israele ha passato un periodo di purificazione e il nuovo lungo viaggio di ritorno assume aspetti di promessa e speranza (Is 35,1s; 41,18s; Sal 107,33-38).
testo di don Nicola Casuscelli, vicedirettore dell' Ufficio Liturgico diocesano e presidente della Commissione pastorale liturgica.